Business e sport, fatti e opinioni

BASEBALL, SCHIROPENSIERO, SPORT
Victor Uckmar
Victor Uckmar

C’è una cosa che nessuno considera mai, quando si parla di sport e business: che l’oggetto sociale di una società sportiva è vincere campionati, non fare utili. E ne individuerei una seconda, non meno importante: che le 2 cose potrebbero entrare in conflitto.
Diceva bene Victor Uckmar, quando era presidente della COVISOC (la società di vigilanza sui bilanci delle squadre di calcio) che trasformare i club di calcio in s.p.a. a fini di lucro non era la soluzione. Allora io ero fortemente contrario a quanto diceva Uckmar, ma i fatti gli hanno dato clamorosamente ragione.
Una società a fine di lucro non può continuare a infilare esercizi in perdita, perché dopo un po’ rischia di finire in liquidazione. Lasciando perdere i tecnicismi (si può creare una società sportiva onlus, che però ha un braccio operativo a fine di lucro), quello che voglio dire è che dall’attività sportiva non è facile ricavare utili (Siena nel basket ha vinto 7 titoli consecutivi e ha un buco da 5 milioni, oltre una contestazione per evasione fiscale per più di 20; ovviamente, non se n’era accorto nessuno…). Ed è ancora meno facile collocare in borsa le azioni di una società sportiva, proprio perché è difficile che produca utili e soprattutto perché i risultati sportivi sono influenzati da talmente tante variabili che proporre al pubblico queste azioni è molto difficile, per non dire di peggio.
Il business sportivo è qualcosa di relativamente alieno alla mentalità italiana. Il tessuto forte di quello che è pur sempre il settimo paese industrializzato al mondo e il terzo in Europa (dopo Germania e Francia e prima dell’Inghilterra) è rappresentato da piccole e medie imprese che proliferano grazie al know how, ovvero conoscenza che hanno solo loro. Il grande capitalismo italiano è abituato invece a porre al di sopra di tutto le cosiddette relazioni. E’ un modo di vedere le cose vagamente ottocentesco, ma sfido a contraddirmi sul fatto che le relazioni in Italia sono importanti.
Nello sport non si sopravvive sulle relazioni, semplicemente perché prima o poi si va in campo e lì conoscere qualcuno non aiuta (nemmeno se è l’arbitro….) e poi perché non c’è  know how segreto. Per vincere bisogna essere più bravi (più dotati e anche più preparati) e per essere bravi e preparati bisogna avere i mezzi per farlo.

A questo punto, la domanda è dove si vanno a prendere i mezzi.
Se fate un sondaggio in Italia, vi risponderanno dagli sponsor. Ma è una risposta che va bene in un esame del primo anno all’Università (al secondo, già vi bocciano…), perché il successo nell’ottenere una sponsorizzazione è qualcosa che non si può controllare. E nella costruzione di un budget bisogna invece agire su quel che si può controllare.
Il pubblico pagante è la nostra principale risorsa. Perché il pubblico, specie in questo secolo 21esimo nel quale la gente ha molto più tempo libero che in passato, c’è e non dobbiamo inventarlo. Dobbiamo solo convincerlo a venire a vedere lo spettacolo che abbiamo da offrire. E sottolineo la parola spettacolo, perché se non offriamo qualcosa di interessante, non vedo perché il pubblico dovrebbe essere attirato da noi.
Certo, anche qui vale il discorso fatto prima: i risultati sportivi dipendono da troppe variabili e chiunque abbia studiato algebra alle medie sa bene che è impossibile risolvere un’equazione con troppe variabili (in verità, da 2 in su si devono fare ipotesi arbitrarie, rendendo di volta in volta costante una variabile). Infatti ho detto pubblico e non tifosi. Se ci affidiamo solo ai tifosi, rischiamo delle magre, se la squadra non risponderà alle aspettative. E per attirare un pubblico non necessariamente tifoso, dovremo avere ben chiari un paio di concetti. Il primo è che questo pubblico dovrà pur sapere dove offriamo il nostro spettacolo e il secondo è che il luogo dove intendiamo ospitare il pubblico deve essere accogliente.

Il calcio italiano, se prendiamo per buoni i concetti che ho espresso sopra, ha fallito su tutta la linea. Se c’era una certezza delle nostre vite, era la partita di calcio alla domenica pomeriggio e adesso non si sa bene se si gioca il sabato, la domenica o addirittura il venerdì o il lunedì. Gli stadi poi sono ancora quelli degli anni ’60, con la pista di atletica intorno se no non ti davano il finanziamento per costruirli.
Il baseball americano invece riempie stadi su stadi anche per le noiosissime partite di Spring Training. Che si giocano però in stadi comodi, in Florida o in Arizona dove c’è tendenzialmente bel tempo e a orari che sono perfetti per chi è lì in vacanza.
Gli americani sanno infatti che hanno eventi che si vendono da soli (le World Series) anche se le giochi in novembre a New York (ci sono stato, si moriva di freddo ma la gente era disposta a pagare fino a 500 dollari per un upper deck). Non esamineremo perché le World Series si vendono comunque. Ne prenderemo atto (facciamo di una variabile una costante…). Vogliamo solo dire che ci sono altri eventi che si vendono meno (lo Spring Training, ma anche un bel mercoledì pomeriggio con i Kansas City Royals) e che quindi bisogna reagire di conseguenza.

Lo storico "Europeo" di Parma ha chiuso nel 2009
Lo storico “Europeo” di Parma ha chiuso nel 2009

Ho letto con un certo interesse un articolo di Ezio Cardea su BaseballMania. Si tratta di un’analisi sviluppata con impegno e passione. Anche se, senza alcun intento polemico, devo dire a Cardea che deve stare bene attento a separare i fatti dalle sue opinioni. Che sono rispettabili, ma non necessariamente condivisibili.
Ad esempio, Cardea parla (opinione) di declino del baseball italiano iniziato nei primi anni ’80. Nell’immaginario di molti appassionati, i primi anni ’80 erano invece un periodo in cui si doveva cacciare la gente dagli stadi (opinione influenzata dai ricordi). Io non condivido nè l’una nè l’altra opinione.
Sono cresciuto a Parma, che dalla metà degli anni ’70 alla metà degli anni ’80 è stata in assoluto la città italiana con più pubblico di baseball. Ma nemmeno Parma era una dependance della Costa Est degli USA. Nel senso: il baseball non faceva parte della cultura della gente. Nessuno ha fatto caroselli di auto per il primo scudetto del baseball (1976, la grande Germal), ma la città è scesa in piazza per la promozione dalla C alla B del 1973 (vittoria 2-0 nello spareggio con l’Udinese a Vicenza, gol di Sega e Volpi). Certo, il baseball è stato di moda. A Parma se dici baseball sanno di cosa parli. Ma il posto del calcio nella vita di un parmigiano il baseball non lo prenderà mai. A Nettuno è diverso, ma Nettuno resta una cittadina con un quarto degli abitanti di Parma.
Penso (opinione) che la svolta negativa nella storia del baseball sia stata il mancato spareggio tra Parma e Rimini del 1977. Si litigò sulle modalità dello spareggio: gara secca (voleva il Rimini) o serie al meglio delle 3 partite (voleva il Parma). Le carte federali parlavano, se non sbaglio (sto andando a memoria), di spareggio in una giornata di gara. Il Rimini non si presentò, il Parma vinse a tavolino. Ricordo a Sport Sera su Rai Due un servizio che annunciava (tono giustamente ferale) che il Rimini non si sarebbe presentato. Ricordo che i miei genitori litigarono con gli organizzatori del pullman per Rimini (dove sarebbe iniziata la finale) perché non rimborsarono quanto anticipato. Non entro nel merito delle ragioni, ma dico che ci deve essere voluto un bel coraggio a far saltare quell’evento che tutto il baseball e buona parte del mondo sportivo italiano aspettavano. Gioia contro Romano, Castelli contro Orrizzi. E ce lo hanno tolto, perché litigavano tra di loro. Questa è un’opinione, ma è purtroppo anche un fatto. E’ un’opinione (di Cardea) che Beneck fosse un “fenomeno della comunicazione”. Che immagine ha comunicato del baseball quel mancato spareggio?
E’ un opinione che il Mondiale 1998 e il Mondiale Universitario 2002 abbiano ottenuto un gran successo “di pubblico e stampa” al sud. Io nel 2002 c’ero e posso dire (opinione) che non mi sembra tanto vero. Per entrare allo stadio non si pagava (fatto) e Corea-Italia (storica vittoria azzurra) l’avranno vista in 50 (altro fatto). Lo stadio di Messina è in una zona “popolosa”, ma tutt’altro che “quasi centrale”. Ed è difficile da raggiungere a piedi, perché va superata una salita terrificante (doloroso fatto).
Se il progetto sud è stato abbandonato da qualcuno, questi non è la Federazione. Nel 2010 una Franchigia siciliana giocò nella IBL. Le società fulcro della Franchigia erano Paternò e Catania, ma la Franchigia ma non riuscì ad accordarsi con Messina per giocare su un campo solo pochi mesi prima omologato per i Mondiali IBAF (e anche ad appena un’ora di distanza) e si trasferì a Palermo (di fatto giocando in trasferta tutto l’anno) in uno stadio che secondo me non aveva le caratteristiche per ospitare una gara IBL. Durante una diretta RAI (maggio 2010, partita con Nettuno), mancò la corrente. Io scrissi sul sito FIBS: “Se quanto è stato ottenuto quest’anno è un inizio, la Franchigia Siciliana ha davanti a sè un futuro luminoso. Se è considerato un punto d’arrivo, non credo che la Sicilia sarà mai la nostra Florida”.
Lo stadio di Palermo venne costruito nel 1998 e praticamente lasciato andare in malora dal giorno dopo.
Se aveva ragione Goethe (“La Sicilia è la chiave per capire tutto il resto”), penso ci siano in quella esperienza molti elementi per cominciare a capire.
Che il sud d’Italia sia potenzialmente una grande risorsa per il baseball italiano è un’opinione che condivido. Ma c’è un fatto che rappresenta una spina nel fianco: come può diventare una risorsa, se ogni volta che una squadra siciliana partecipa a un campionato veniamo coperti di insulti dalle altre squadre inserite nel girone?

Chiudo ricordando che io ho seguito e raccontato campionati con le grandi città. A Milano negli anni ’80 mi trovai a fianco di un giornalista di Sports Illustrated venuto dall’America per scrivere una storia su Rick Waits del Rimini. Iniziò il pezzo scrivendo: “Al momento del play ball ci saranno 30 persone sugli spalti. Va bene che Waits era abituato a giocare a Cleveland, ma non credo si aspettasse questo”. Sempre a Milano, accadde che Sandro Cepparulo (che riposi in pace), giornalista della Gazzetta dello Sport e dirigente, mi abbia fatto pagare il biglietto perché non contento di una mia definizione del Milano come squadra mediocre. A Roma nel 1985 dovetti tirare una prolunga per qualche centinaio di metri per poter raccontare la gara che avrebbe assegnato lo scudetto al Parma. Vidi negli anni ’90 Torino ritirarsi dal campionato in corso d’opera. Questi sono fatti.
Il campionato a 20 squadre l’ho già visto nel 1990. Ricordo stadi deserti e una finale a novembre. Che, va riconosciuto, ebbe un gran pubblico a Rimini per la gara decisiva. Quella finale fu vinta dal Nettuno. Per dire di chi pensa che oggi il campionato sia troppo emiliano-romagnolo (considerando romagnolo anche San Marino, che è come considerare romano il Papa, ma almeno ci capiamo), faccio notare che dal 1974 al 1985 ha sempre vinto una tra Bologna, Parma e Rimini. Dal 1973, se si va indietro fino al 1950 (nel 1949 si giocarono 2 campionati e nel 1948 Bologna fu l’unica squadra non milanese), lo scudetto lo hanno vinto praticamente solo Milano e Nettuno, con le eccezioni di Bologna (1969, 1972), Lazio (1955) e Roma (1950 e 1959). Anche questi direi che sono fatti.

Un’opinione invece è che il baseball di oggi i suoi geni li abbia ricavati da quello di ieri.

2 thoughts on “Business e sport, fatti e opinioni

  1. Sono di Caserta,nella mia citta c ‘ era una squadra di baseball che giocava in A1, inoltre abbiamo un campo di baseball e uno di softball.Ho sentito che anche quella di softball rischia di non iscriversi al campionato.Vorrrei chiedere al dottor Schiroli se si ricorda di quella squadra e anche se ha mai visto una partita sul campo del Caserta. Inoltre che opinione ha di tali impianti presenti nella mia citta. La ringrazio anticipatamente.

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