Fin dalle prime esperienze da radio e telecronista, ho notato che quel che dicevo io non aveva lo stesso peso di quello che dicevano giocatori o allenatori. Nel senso: la squadra che intona il coro: “Giornalisti figli di puttana” è spiritosa (anche se la madre di uno dei giornalisti è morta da pochi giorni), ma se voi dite al loro capitano, che ha appena preso un fly nel naso, che ormai è ora che smetta, se no rischia di farsi male, siete cattivi.
Nel 2014 le cose non sono cambiate. Una pseudo tifosa vi può dire che siete prevenuti e, anzi, portate sfiga alla sua squadra. Ma se le rispondete un onesto e piuttosto meritato “vai a cagare” casca il mondo.
Nel ribadire il “vai a cagare” con fermezza, provo a spiegare un concetto.
La peggior offesa che si possa fare a un giornalista è dirgli che è prevenuto. Nel mondo anglosassone lo sanno, tanto che ci sono studiosi da Premio Nobel che ricercano su come un giornalista possa superare i suoi bias quando lavora.
In psicologia il bias è quell’idea errata che non c’è modo di toglierci dalla testa. Per esempio, che Berlusconi sia vittima di un complotto della Magistratura.
Dal 2010 a oggi sono stato accusato di fare il tifo attraverso i microfoni RAI per Nettuno (dal fratello di un dirigente del San Marino), San Marino (da alcuni tifosi del Nettuno), Bologna (dai tifosi del Parma e del Rimini). Incredibilmente, nessuno mi ha mai accusato di fare il tifo per Parma, cosa che al limite mi avrebbe fatto venire il dubbio, in quanto tifoso del Parma lo sono stato sul serio e per tanti anni. La squadra geograficamente più vicina a Parma di cui sono stato tifoso, sempre stando ai bias (in questo caso di un coach e un giocatore del Bologna) è il Modena. Parliamo della finale 2003.
Vi posso dire che avete a che fare con una persona che prende molto sul serio il suo lavoro. Mi può scappare un commento esagerato o infelice (come quello su Minotti da Catanzaro in cui parlavo nel pezzo precedente), ma se me ne accorgo chiedo scusa. E se mi viene fatto notare e non me ne sono accorto, vado ad ascoltare. E semmai chiedo scusa.
Va però chiarito che la RAI mi chiede un commento tecnico e quindi io fornisco un commento tecnico. Qualcuno non lo ritiene autorevole? Non è un mio problema: io faccio del mio meglio, vado in onda quanto più preparato posso e descrivo quel che vedo. Commento secondo le mie conoscenze e le mie idee.
Quando alla RAI non starà più bene, prenderanno qualcun altro.
Voglio anche far notare che io non vado dai Presidenti di società a dire che dovrebbero cambiare allenatore o dagli allenatori a dire che il loro pitching coach ha fatto il suo tempo o che il fisioterapista è sempre in ritardo quando qualcuno si fa male. Non vado nella segreteria della società a dire che la fila al botteghino è organizzata male o al bar a dire che le salsicce arrivano in ritardo e avrebbero bisogno di più personale e il caffè sa di acqua sporca e quindi devono cambiare macchinetta.
Io rispetto il lavoro degli altri e posso al limite dare un consiglio, se mi viene chiesto e se mi ritengo competente al riguardo. Sulle cose di cui non so nulla, difficilmente do un’opinione. Sto con Kant quando dice (parafraso): “Per non sbagliare mai, basta non dare opinioni quando non si hanno gli elementi per darle”.
So che quella di Kant è un’utopia, ma quello che è diventata l’Italia di oggi (e il mondo del baseball e del softball italiani non possono fare eccezione) è una distopia che neanche George Orwell si sarebbe potuto immaginare. Anni di celodurismo della Lega e il recente straparlare ad alta voce di Grillo hanno dato un colpo mortale alla capacità di discutere. Insultare chi ha un ruolo, ormai sembra che meriti una medaglia, a prescindere.
Sappiate che, anche a dirle ad alta voce, le cazzate restano cazzate e che insultare è indice di una cosa sola: maleducazione. Una discussione onesta, anche se si usano toni duri, parte dal rispetto dell’interlocutore, sempre.
Detto questo, nel prossimo articolo parlerò di qualche scelta che è stata fatta quest’anno per le dirette di baseball e softball su Rai Sport.