Non si sa bene cosa andarci a fare, a Caracas. Un po’ perchè non c’è troppo da vedere (i classici sono 2: la salita al Monte Avila, ma deve esserci il cielo sereno, e il Museo Bolivar, che si visita in circa 21 minuti; ci si può aggiungere la gita alla città coloniale di El Hatillo, ma i nativi vi consiglieranno in alternativa un centro commerciale…) e soprattutto perchè tutti cercano di terrorizzarvi: non andate in giro da soli, non prendete il taxi per strada ma solo da un parcheggio per taxi, dopo il tramonto è pericoloso, tutti cercheranno di fregarvi…In effetti, è vero che spesso cercano di fregarvi. Come in tutta l’America latina e anche in buona parte dell’Italia, per la verità. La tattica è: partire un po’ prevenuti (discutendo tutti i prezzi) e dimostrare che siete disponibili a farvi fregare…il giusto. Voglio dire, ci può anche stare che a noi turisti chiedano prezzi maggiorati, ma non lasciamoli esagerare.
Comunque, girare per Caracas è abbastanza faticoso. Guidare un’auto personalmente, non è neanche da pensare. E anche in taxi, il traffico è qualcosa che finirà con lo snervarvi.
Ovunque vi giriate a Caracas, troverete i segni della presenza del presidente Hugo Chavez. Un bell’esempio del suo populismo è un cartello che faceva bella mostra di sè nella stazione della teleferica che porta da Caracas città (800 metri sul livello del mare) al Monte Avila (2.200). L’arepa è una specie di tortino di mais (per gli emiliani, una tigella gigantesca) che viene riempito tendenzialmente della cosiddetta carne mechada (striscioline di carne), formaggio e tutto quel che si vuole. E’ un po’ il piatto nazionale venezuelano. Bene, il nostro Hugo ha voluto evidenziare che, con la stazione nazionalizzata, l’arepa costa il 63% in meno. Ovviamente, omettendo lo stato di degrado nel quale versa ora la struttura o il fatto che i dipendenti hanno aperto la teleferica con 2 ore di ritardo perchè impegnati in una assemblea sindacale.
Chavez basa il suo consenso sulla propaganda, che si affretta a spiegare ai cittadini (specie i più poveri) come lui stia togliendo ai troppo ricchi (eccetto lui e i membri del suo Governo, ovvio) per migliorare le loro condizioni. In particolare, nazionalizzando.
Fascista per me è un termine spregiativo. Per molti, è sinonimo di violenza. Scrive ad esempio Paolo Flores d’Arcais su ‘Micromega’: “Il fascismo è stato essenzialmente violenza, è indisgiungibile dalla violenza, è stato conquista violenta del potere, in esplicita eversione delle leggi”.
Flores d’Arcais si riferisce ovviamente al Fascismo propriamente detto, quello di Mussolini e del ventennio tra le 2 Guerre Mondiali. Ma fascista è diventato un termine che ha un significato più ampio e su questo significato non sempre ci si intende. Lo spagnolo Francisco Franco era un fascista, ma per gli stessi motivi per cui lo era Franco, lo potrebbe essere anche Stalin. Che, istintivamente, chiameremmo comunista.
Noi in Italia tendiamo purtroppo a ridurre tutto al campanilismo. Così, in maniera piuttosto imbecille, si è finito con il mettere la rivalità tra fascisti e comunisti sullo stesso piano di quella, che so, tra milanisti e interisti. Finendo con lo spogliare i 2 termini del loro significato e dimenticare che, in Italia, abbiamo un esempio non troppo lontano di applicazione del fascismo (di cui, in teoria, sarebbe vietata l’apologia) mentre di comunista conosciamo solo un partito assolutamente democratico, che ha spesso (a livello nazionale, sempre) perso le elezioni e mai governato con la forza.
Detto questo, io non ho mai avuto risposta alla domanda: “Ma che ideologia aveva, il fascismo?”. Che ho posto a diverse persone fin dai tempi della scuola media. Non lo ha avuta fino alla fine di novembre del 2010, quando ho trovato una definizione interessante a pagina 10 del libro ‘The progressive patriot’ di Billy Bragg: “Il fascismo è l’ideologia che prova a trarre benefici dall’ansia provocata dalla sensazione che nessuno sta ascoltando il volere della maggioranza”.
Eccolo, allora! Hugo e le sue dichiarazioni: “Quando governavano i borghesi, si facevano le leggi tra di loro. Con me, si fanno le leggi che volete voi”.
Fascista, sì. Anche perchè in democrazia le leggi le fa il Parlamento, nel quale i cittadini eleggono i loro rappresentanti, appunto, per…fare le leggi. Non “IO”!
Ma a Caracas, davanti al Parlamento, la sensazione di legalità c’è abbastanza poco. Loschi figuri si offrono di comprare oro o argento. O al limite, di cambiarvi dollari ed euro ad un tasso particolarmente conveniente.
Circa 6 unità della valuta locale (il bolivar) consentono (dicembre 2010) al cambio ufficiale di acquistare un euro. Che però, ai venezuelani nessuno vende (acquistare valuta pregiata richiede di fare domanda agli uffici governativi). Allora i venezuelani si procurano gli euro, offrendo anche 10 bolivar per una unità della nostra valuta.
Insomma, con 100 euro avete 600 bolivar ufficiali e 1000…ufficiosi. Va da sè che utilizzare il cambio non ufficiale e pagare poi in contanti permette di risparmiare un bel 40% sul costo del vostro viaggio. Ma va altrettanto da sè che il cambio nero (perchè di questo si tratta) è illegale e va fatto solo con persone di cui vi fidate ciecamente, per evitare di finire nei guai. Sperimentare un carcere ed un processo venezuelani mi sembra in effetti sconsigliabile.
Come avete notato, non sto facendo moralismo. Ma aggiungo comunque che in queste operazioni è anche abbastanza facile essere imbrogliati, magari vedendosi rifilare banconote fuori corso. In Venezuela è stato introdotto il bolivar fuerte. Insomma, se vi capita in mano una banconota da 100.000 bolivar, sappiate che probabilmente non vale nulla.
Altra maniera in cui è facile essere fregati a Caracas è accettare l’aiuto delle varie persone che vi avvicineranno all’aeroporto per supplire al fatto che in Venezuela tutto viene annunciato in spagnolo. Non avete bisogno di loro, nè per compilare le carte di espatrio all’inizio del viaggio di ritorno, nè per superare il check in, nè per pagare le tasse aeroportuali.
In aeroporto, sperimenterete (specie al terminal nazionale) lo strepitoso sistema di imbarco a voce, classico del Venezuela. I tabelloni luminosi raccontano spesso il falso (non spaventatevi, insomma, se il vostro volo risulta chiuso), gli orari sono solo indicativi, ma in linea di massima al check in vi diranno il numero giusto del gate al quale imbarcarvi. Che sarà, per i voli con destinazione vicina a Caracas, quasi sempre il mitico gate 5. Questo gate consiste di 3 uscite e il vostro volo sarà chiamato a voce, con indicazione sbraitata della compagnia aerea (esempio: venezolana) e della destinazione (esempio: Porlamar).
Un altro consiglio: non andate mai al bar dell’aeroporto se avete tempi stretti, perchè servirvi è solo una delle attività che le bariste svolgono. E sicuramente, è meno importante del racconto alle amiche (di persona o al telefono) della serata precedente, del truccarsi e del farsi le unghie.
Se poi vi capita, raccontatemi se avete mai visto ‘Domino’s pizza’ dell’aeroporto di Caracas (che si chiama ‘Maiquetia’, per essere precisi, un po’ come il “Leonardo Da Vinci” di Roma noi lo chiamiamo “Fiumicino”) servire…una pizza. Io ho sempre e solo visto il personale mettere a posto e pulire.
Una cosa che mi è piaciuta davvero di Caracas è però la gentilezza della gente. Sarà vero che in certi quartieri non entra nemmeno la polizia, che tra Natale e l’Epifania ci sono stati oltre 130 omicidi (numero che anche Al Capone all’apice a Chicago avrebbe considerato eccessivo, per altro…), ma se avete bisogno di una indicazione non avrete problemi ad averla e nei negozi, bar, ristoranti troverete molti sorrisi.
Un ricordo che porterò sempre con me di Caracas è quello di un gruppo di persone non più giovani che, in pieno centro, passava il tempo ballando per strada. Non so se era un’iniziativa particolare o se è sempre così, ma vedere queste persone in azione stimolava indubbiamente la serenità.