Purtroppo internet ha un difetto. Che ha creato spazio per le opinioni a favore di gente che non avrebbe niente da dire e, anche avesse qualcosa da dire, non sarebbe qualificata a farlo. In tempi in cui si pensa che essere aggressivi, alzare il tono di voce e usare il turpiloquio sia da duri, così tanto spazio da riempire può essere pericolosissimo.
In teoria, non se il sito o il blog sono gestiti con il filtro di un giornalista.
Chi fa il giornalista di mestiere, deve superare un esame di Stato. Durante la preparazione dell’esame, la cosa che ci si sente ripetere più spesso è che “noi lavoriamo per i lettori”. Il che, per essere più chiari e non troppo ingenui(perchè è ovvio, che lavoriamo per chi ci paga), significa che dobbiamo informare correttamente, senza cercare vantaggi personali per noi o per il nostro editore.
Indro Montanelli mi scrisse nell’estate del 2000 (in risposta a una mia lettera alla sua rubrica ‘La Stanza’ , pubblicata dal Corriere della Sera, nella quale dicevo, più o meno, “non so se posso definirmi suo collega”): “Il nostro mestiere non conosce né anagrafe né gerarchie. Conosce solo una linea di demarcazione: fra chi lo fa come fine a se stesso e cho lo fa per trarne vantaggi”.
Come vedete, siamo sulla stessa linea.
Io vi posso dire che il giornalista l’ho iniziato a fare per raccontare delle storie. Che è la cosa che mi riesce meglio. Ma capisco anche chi il giornalista lo fa per cercare degli scoop. Non è il mio genere (nel senso: anche a me piace fare gli scoop, ma non posso alzarmi la mattina pensando “adesso faccio uno scoop“; non so se rendo l’idea). Però, proprio non capisco chi lo fa per compiacere qualcuno. E ve lo dico da giornalista “di parte”. Perchè io coordino un Ufficio Stampa, quindi faccio informazione (come si dice in gergo) timbrata. Il che, non vuol però dire “scorretta”.
Mi chiedo da un po’ di tempo con quale motivazione fa il giornalista Giorgio Gandolfi.
Nel 1980, a 17 anni scarsi, scrissi a Tuttobaseball chiedendo di collaborare. Quando Gandolfi, il direttore del periodico, mi rispose, provai gioia e orgoglio. La copia di Tuttobaseball rimase sul mio banco a scuola per settimane.
Stimavo Gandolfi. Stimavo il lavoro che faceva. Mi piaceva come scriveva. Dopo quella parentesi, negli anni ’90 fu Gandolfi stesso a propormi di collaborare a Tuttobaseball. Mi propose anche un piccolo compenso. Che, per inciso (mi ero appena sposato), mi faceva abbastanza comodo. E accettai.
Mi rifiutai di continuare a mandargli articoli dopo che dalla mia frase: “Liverziani è stato tagliato perchè, dopo 2 stagioni in America, i Mariners hanno cercato in lui le qualità del giocatore di Major. Che Claudio indubbiamente non ha” è stato tolto il “non” prima di “ha”. Così io ho firmato il seguente concetto cervellotico: “Liverziani è stato tagliato perchè ha le qualità per giocare in Major League”.
Motivazione? “Sai, come si fa. Bisogna esprimere un concetto positivo”.
Nel corso di questi ultimi anni, Gandolfi mi aveva fatto perdere quasi tutta la residua stima che avevo in lui. Ma da quando ha aperto Tuttobaseball on line, siamo veramente andati sottozero.
Oggi, ad esempio, ho letto 2 articoli per i quali provo veramente tanta tristezza.
Nel primo, Gandolfi rimpiange i “bei tempi andati” nei quali si faceva “vera comunicazione” (e magari i treni erano pure in orario…). Che (a quanto leggo) per Gandolfi significa portare in giro giornalisti famosi a spese della Federazione. A vedere il baseball serio e non quella tristezza che si vede da noi. Che poi gli ospiti pubblichino anche articoli o servizi, appare secondario.
Il suo editore, ha (credo saggiamente) cancellato l’articolo dal server.
Ma è il secondo, che veramente mi lascia sgomento. Gandolfi pubblica una foto della nazionale di baseball degli anni ’80 e scrive: “D’accordo, c’è qualche oriundo. Ma erano oriundi veri”.
A parte che ci sarebbe da mettersi d’accordo su questa definizione di “veri”. Stando al dizionario Devoto Oli, oriundo è un giocatore di calcio di nazionalità straniera, ma di origine italiana, che fa parte di una squadra italiana”. Insomma, se non fosse chiaro, un “oriundo” è uno “straniero di origine italiana”.
Ne consegue, se tanto mi dà tanto, che questi “oriundi veri” non erano cittadini italiani?
E’ possibile, perchè fino al 1992 la doppia cittadinanza non era tanto facile da ottenere e, comunque, era subordinata allo svolgimento del servizio militare.
Ma a parte questo, su 21 giocatori gli “oriundi” (“veri” o meno, non lo so) della foto di Gandolfi sono (se non ho contato male) 10. Quindi non tanto “qualche”, ma la metà dei giocatori. Comunque, tanti.
Sono Roberto (“Bob”) Turcio, Davide “Dave” Farina, John Guggiana, Lou Colabello, David Chiono, Mark Talarico, Mike Romano, Tony Lonero, David Di Marco e anche quel Kit D’Amato. Che, essendo “Kit” intraducibile, venne a suo tempo spacciato per “Rino”. Come se non bastasse, uno di questi è anche passato alla storia per aver giocato con un nome falso.
Insomma, una tristezza. Intendo, quella storia. Intendo, scrivere questo articolo. Intendo, pubblicarlo.
A mai più risentirci, Giorgio Gandolfi.
Ricordo che a Firenze Kit D’Amato fu chiamato Concetto D’Amato. Lo ricodo bene perchè risi per 3 giorni.
Appunto…