Dopo 23 puntate, si chiude la pubblicazione del Diario di un cronista itinerante, rubrica nata per il sito Baseball.it. Devo dire che è stato abbastanza faticoso, andare a recuperare tutto questo materiale. Ma è stato un bel viaggio in compagnia del me stesso degli inizi dell’avventura a tempo pieno nel baseball che sognavo fin da bambino. Non ho pubblicato tutti i Diari, pensando che avrei successivamente prodotto un e-book con la collezione completa. Ma nel corso dei mesi (la prima puntata risale al 24 aprile), ho in parte cambiato punto di vista. Voglio dire: ho sempre l’idea di un e-book sui miei anni alla FIBS, ma non vorrei limitarlo ai Diari. Ci medito e, quando le giornate si accorceranno, vi farò sapere
5 aprile- “The innocent man”: per riflettere sul Farm System
Leggere The Innocent Man (in italiano Innocente, edito da Mondadori) di John Grisham è un po´ come prendere un pugno nello stomaco all´improvviso. Me ne rendo conto quando il comandante del volo che mi deve riportare a Orlando annuncia che stiamo sorvolando Albuquerque, New Mexico. A quel punto sono circa a metà delle 360 pagine del volume e i miei vicini di posto (crudelmente, l´America West Airlines mi ha piazzato nel sedile centrale) hanno perso ogni speranza di ricevere altro che monosillabi alle loro domande.
Non avevo fatto troppo caso all´uscita di questo libro, nemmeno quando Marco Landi lo aveva recensito sul sito della FIBS poco prima di Natale. Probabilmente perchè invidioso, non ho molto feeling con i cosiddetti best seller e, benché sia un appassionato del processo penale anglosassone, non ho mai letto uno dei fortunati legal thriller di questo ex avvocato e oggi scrittore miliardario (probabilmente, sto ancora ragionando in lire; penso che Grisham sia più milionario che miliardario, in dollari). Ho visto un paio di film tratti dai suoi libri (Il socio e Il rapporto Pelikan) e li ho sempre trovati abbastanza ricchi nelle premesse, ma alla fine piuttosto confusi e deludenti nelle conclusioni.
The Innocent Man è invece un capolavoro. Questo libro è scritto talmente bene che azzardo non vi sia nemmeno una parola in più del necessario. E penso sia una lettura obbligatoria per ogni appassionato di baseball che (come me) mitizza il farm system inventato dai Brooklyn Dodgers mezzo secolo fa e che oggi è la prassi per i club di Grande Lega.
Ron Williamson doveva essere il nuovo Mickey Mantle. Nato in Oklahoma, battitore formidabile alla scuola superiore, Williamson era un vero e proprio eroe cittadino. Gli Oakland A´s lo misero sotto contratto appena diplomato alla High School (lo so, oggi con Billy Beane non succederebbe, perchè si legge chiaramente in Money Ball che gli A´S non firmano atleti di 18 anni, specie se lanciatori), sia per le sue doti di battitore che per il suo braccio, che ne avrebbe di certo fatto almeno un rilievo, se non si fosse rivelato un battitore di spessore. La vita di Ron corre velocissima: la fama, qualche soldo, il matrimonio. Poi però le cose non vanno come lui si aspettava e battere un lanciatore pro, anche se di Singolo A, diventa un´impresa difficilissima. Ron cerca di riciclarsi come lanciatore, ma ad Oakland gli danno il benservito. Inizia a bere, gli dà il benservito anche la moglie.
Dietro un angolo spuntano gli Yankees e Ron crede di poter ancora essere il nuovo Mickey Mantle. Ha male al braccio, ma lo nasconde. L´inganno dura poco e Ron è ancora lontano dai 30 anni, quando la sua carriera di giocatore è solo un ricordo.
Vivendo alle spalle della famiglia, Ron Williamson si può permettere poco e quel poco lo sperpera per farsi bello nei bar (la sua frottola preferita è spacciarsi per un avvocato di Dallas). Ha il fisico del ruolo e un certo successo con le donne, che qualche anno dopo si rivelerà una maledizione.
La polizia di Ada (la sua città natale) ha a che fare da anni con un terribile omicidio, del quale non si conosce il colpevole. Una cameriera di nome Debbie Carter, in servizio presso un frequentato locale notturno, è stata barbaramente uccisa nel suo appartamento. La scena è piena di sangue, ma siamo nei primi anni ´80 e le tecniche di investigazione che lo stesso Grisham renderà celebri 15 anni dopo nei suoi romanzi non esistono ancora. Williamson, per la sola colpa di essere uno spaccone e un nullafacente che spesso si accompagna a belle ragazze, si ritrova accusato di omicidio. E diventa ostaggio di un sistema giudiziario nel quale è troppo rischioso ricevere un´accusa così pesante, se non si ha un buon avvocato. In Oklahoma c´è la pena di morte e difendere chi rischia l´iniezione letale è troppo costoso, perchè richiede un lavoro investigativo e burocratico che una persona sola non può svolgere. Si rischia di coprire a malapena le spese, se si è un avvocato d´ufficio nominato dal Tribunale.
Quando sono arrivato a metà del libro e ho cominciato a scorrere una serie di foto, mi sono sentito malissimo. Ron Williamson infatti è bianco. Lo dovevo immaginare, visto che si parlava di lui come del nuovo Mickey Mantle, ma avevo dato per scontato che fosse nero. Perchè dentro di me, evidentemente, si è fatta strada l´idea che in certe vicende in America siano coinvolti solo i neri.
Un pugno nello stomaco, vi dicevo. Che ha fatto traballare con un solo fendente la mia sicurezza di liberal (come direbbero qui) dalle idee giuste, il sistema a fattoria nel quale si allevano le super star di Major del domani e il sistema giudiziario americano.
Avevo quasi le lacrime agli occhi, mentre procedevo verso il parcheggio dell´autonoleggio AVIS per ritirare la solita macchina giapponese con la quale sarei rientrato all´ovile del Disney Wide World of Sports. E chissà con che occhi osserverò quei ragazzi che si affannano sui campi dello Spring Training dell´organizzazione dei Braves di Atlanta, a partire da domani.
P.S. Ovviamente sono arrivato alla fine di Innocent Man e altrettanto ovviamente non ve la racconterò. Ma lasciatemi dire che spero che tutti coloro che sono arrivati in fondo a questo Diario lo leggano quanto prima.
7 aprile- Quel foul ball di Gino Lollio
Una cosa mi ha sempre impressionato del centro di allenamento dei Mets a Port St. Lucie: il fatto che le decine di giocatori sotto contratto per l´altra New York si muovono costantemente correndo. Qualcuno sostiene lo facciano per impressionare col rumore degli spikes quando arrivano a contatto col selciato, ma io trovo davvero bella l´immagine di queste decine di ragazzi che si muovono a sciami nelle loro casacche nere, arancioni e blu.
L´amichevole con una selezione dei Mets è un classico delle primavere italiane in Florida.
Nel recente passato ho avuto modo di assistere a sfide con formazioni di Rookie League o comunque partite giocate contro atleti che stavano svolgendo quello che le organizzazioni chiamano Extended Spring Training, ovvero atleti che non hanno trovato posto nelle squadre di Minor che disputano una stagione intera e che si giocheranno il posto, in Rookie o in Classe A short season, con coloro che firmeranno un contratto dopo il draft di giugno.
Quelle sfide non mi erano mai sembrate soddisfacenti, perchè in linea di massima la nostra nazionale è formata da giocatori più esperti dei ragazzi al primo anno di professionismo e quel tipo di confronto non lascia niente, nè all´una nè all´altra parte.
Questa volta però i Mets si sono mossi diversamente e hanno preparato una selezione di tutto rispetto, formata da giocatori di Singolo A avanzato e Doppio A e un gruppo di lanciatori che ritroveremo facilmente nella rosa di Triplo A della stagione, come Muniz e Maldonado (Per la cronaca, entrambi hanno giocato nel 2007 in Triplo A, Muniz ha esordito anche in Grande Lega, nessuno dei 2 ha fatto davvero carriera). Quest´ultimo illumina il radar a 94 miglia all´ora e contro di lui ovviamente tutti i battitori sono in ritardo. Gino Lollio spizza una palla dietro casa base, dove il cronista sta prendendo appunti. La distrazione data dal capo chino sul blocco note è sufficiente per ricevere una pallina sull´esterno del ginocchio sinistro.
“Non hai fatto neanche una piega” mi dice un azzurro.
In effetti, appena sono stato colpito mi sono alzato e diretto verso il fisioterapista della nazionale, che aveva già in mano la provvidenziale bomboletta di ghiaccio spray. Poi mi sono rimesso al mio posto, dove mi ha raggiunto l´arbitro per chiedere se andava tutto bene. Se devo essere sincero, ero un po´ confuso. Soprattutto pensavo a cosa sarebbe successo se quella palla mi fosse arrivata in faccia e anche a quanto poco tempo ci ha messo la pallina a uscire dalla mazza di Lollio e arrivare al mio ginocchio.
Lollio sorride e dice “scusa”, Elio Gambuti (c´è Elio Gambuti, non sono impazzito; è ospite dei Mets per lo Spring Training) si fa beffardo e dice “Non l´hai caricata bene”. Arriva anche Rick Waits (che lavora per i Mets, non ho un´allucinazione) e mi chiede come mai mi sono fatto crescere il pizzetto, come se questa novità di look (novità per modo di dire, risale al 1999) potesse essere responsabile della pallinata.
I 2 test coi Mets comunque hanno presentato una nazionale italiana perfettamente a suo agio nella sfida con il livello Singolo A avanzato e Doppio A, meno contro i lanciatori di Triplo A. Direi tutto nella norma, anche perchè i nostri giocatori nella prima metà di marzo sono sicuramente meno pronti di atleti che iniziaeranno la loro stagione 15 giorni prima e che, soprattutto, hanno lottato fin qui per un posto in squadra.
I Mets vincono entrambe le partite, ma in Spring Training il risultato conta fino lì, visto che si gioca con 2 battitori designati per vedere più gente in battuta e al lancio numero 25 il pitcher sul monte esce, che abbia ottenuto 3 out o meno. Quest´ultima norma costa la vittoria all´Italia nel secondo test e, dal tono con cui un po´ tutti pronunciamo la frase “il risultato in questi casi non conta”, si capisce che vincere non sarebbe dispiaciuto a nessuno.
Il viaggio di ritorno da Port St. Lucie a Orlando (2 orette, che secondo i nativi significa che Port St. Lucie “è vicino” a Orlando) è di fatto l´ultimo atto del mio Spring Training.
Mi massaggio il ginocchio sinistro, che si è gonfiato solo leggermente. Piuttosto, cerco di riempirmi gli occhi della Florida, delle sue pianure, delle sue strade dall´asfalto liscio come un tavolo da bigliardo. Un alligatore prende il sole pigro al bordo di un laghetto; lo indico ai miei compagni di viaggio, ma sono tutti troppo impegnati a cantare a squarciagola le canzoni anni ´80 che 101.5 di Tampa trasmette dalla radio della nostra auto giapponese a noleggio.
10 aprile- Il Diario del cronista itinerante esce di scena
Rispetto alla precedente puntata di questo Diario sono ripartito da Orlando e sono rientrato a Parma, Italia, dove risiedo e dove ho scritto tutti gli articoli che Baseball.it ha pubblicato.
E´ stato un piacere, tornare a scrivere questa rubrica, anche se tanto tempo è passato da quando ho iniziato a scriverla (luglio del 2001) che nè io, nè Baseball.it, nè la rubrica possiamo essere più gli stessi.
Scrivere il Diario è stata un´esperienza professionale molto importante per me. La rubrica era nata con uno scopo preciso: portare in casa di chi seguiva una manifestazione in programma all´estero un pizzico di quella terra, di quelle abitudini, viste attraverso gli occhi del cronista che era lì per il limitato periodo in cui si svolgeva il torneo. E inizialmente sul Diario erano arrivati solo consensi. Improvvisamente, da quando ho firmato un contratto con la Federazione, c´è chi ha iniziato a storcere la bocca.
Come fanno i portali internet, vi propongo quindi anch´io un elenco di FAQ al riguardo:
-> su un sito di baseball bisogna parlare solo di baseball
-> è inaudito che la delegazione italiana all´estero abbia persino tempo libero
-> l´addetto stampadella Federazione non dovrebbe esprimere opinioni
-> l´addetto stampa della Federazione non dovrebbe sottrarre tempo alla sua missione facendo altre cose
Io penso sinceramente che in questo tipo di osservazioni (che ho generalizzato, ovviamente tra il serio e il faceto, ma penso cogliendo abbastanza bene il punto di vista di chi si è opposto al Diario) siano racchiusi non pochi dei germi che fanno male al nostro baseball e continuo a credere che un´operazione di quel genere facesse molto bene alla comunicazione del baseball.
Chi ha un privilegio (e io ritengo che lavorare nel baseball sia per me un grosso privilegio) non dovrebbe perdere l´occasione di utilizzarlo in favore di tutti coloro che condividono la sua passione e i suoi ideali. Un po´ come fa l´avvocato Alan Shore, interpretato dal grande attore americano James Spader nella serie Boston Legal, della quale è in onda la seconda stagione su Fox Crime, bouquet di Sky.
Shore è un personaggio che ha molte contraddizioni e vive un continuo conflitto etico sul suo ruolo di legale a disposizione di chi lo paga meglio. Per questo si lancia spesso in battaglie incomprensibili per gli altri legali dello studio e scarsamente redditizie dal punto di vista economico.
Personalmente, non vivo grossi conflitti etici al momento. Ma sono fermamente convinto che gli appassionati di baseball abbiano avuto veramente poca informazione fino al 2002. Per questo ho cercato di fare tutto quello che era in mio potere per aiutarli ad averne di più. Ad esempio, scrivendo Diari e altri articoli da luoghi (Panama per la Qualificazione Olimpica americana del 2003, Atene per le Olimpiadi del 2004…) nei quali la Federazione mi aveva inviato. Ovviamente togliendo tempo al mio riposo o al mio svago e, come tutti i collaboratori di Baseball.it, senza guadagnare un centesimo.
Peccato che non tutti abbiano apprezzato. E non sto parlando dei giudizi di qualità sugli articoli, che sono ovviamente sempre liberi. Anzi, vi dirò che le critiche disturbano, ma sono certamente più utili degli elogi e vi dirò anche che non mi stupisce se qualcuno non è interessato a quel che scrivo e non lo legge. L´unico che era riuscito a mettere d´accordo tutti (un 1974 anni fa, proprio di questi tempi) una settimana dopo lo hanno crocefisso…
Il Diario finisce qui. Almeno, come avevo detto nel pezzo di apertura di questa nuova serie, fino a quando lavorerò per la Federazione. Quel che sarà dopo, non si sa e non è il caso di parlarne, anche perchè spero che quel giorno arrivi il più tardi possibile.
Il pezzo originale pubblicato su Baseball.it conteneva un invito a scrivere via e mail, che naturalmente vale ancora (è solo cambiato l’indirizzo: info@riccardoschiroli.com), a chi avesse gradito e volesse dialogare sull’argomento.
Non lo ricordavo, ma la serie di articoli l’avevo scritta interamente una volta rientrato in Italia. E’ un altro dei segni che la rubrica non poteva più andare avanti. Era figlia di un momento più spensierato che, nel corso degli anni, si era evoluto in qualcosa di più riflessivo. E comunque diverso. Insomma, non sarebbe mai più stata il Diario di cui narro la genesi (l’idea definitiva risale a una vacanza a Mauritius) nella prima di questa serie di 23 puntate.