“Trouble with the curve” è una risposta a “Moneyball”?

BASEBALL, CINEMA, SCHIROPENSIERO, SPORT

Tutte le volte che parto dall’aeroporto “Kennedy” di New York resto impressionato dalla fila di aerei che si prepara al decollo. La piantina del Gaylord Opryland di NashvilleMa non dovrei. Perchè negli Stati Uniti è tutto fatto in grande.
Prendiamo il Gaylord Opryland dove ho soggiornato per 3 notti a Nashville: penso che solo negli Stati Uniti ci possa essere un albergo nel quale è necessaria la piantina per orientarsi. E, lo devo ammettere, mi chiedo se un tale sfoggio di benessere e opulenza ha un senso. Fuori dall’ipocrisia: ritrovarcisi, non è che sia una cosa di cui ci si può lamentare. Ma diciamo anche, e con serenità, che per alloggiare comodi serve molto meno.

Non so più quante volte sono stato negli USA, ma sono certo che ogni volta torno a casa egualmente affascinato e perplesso. E ogni volta mi chiedo come sarebbe abitarci per qualche anno, negli Stati Uniti. Sicuramente, so che mi ucciderei di partite di baseball.
Andare negli Stati Uniti d’inverno, ha quel punto debole lì: non ci sono partite di baseball da andare a vedere allo stadio. Allora, per rimediare, non appena sono rientrato a Parma sono andato a vedere “Trouble with the curve” con Clint Eastwood. E lo riporto nel titolo originale perchè sono andato a vedere una versione proiettata in Inglese.

E’ da quando sonoBaseball Winter Meetings 2012 a Nashville uscito dal cinema che ho la tremenda curiosità di sapere come hanno tradotto in Italiano l’espressione “his hands drift”. Perchè in effetti non è un’espressione tanto facile da rendere. E quella semplice espressione, mi fa dire che “Di nuovo in gioco” (questo è il titolo, sinceramente poco convincente, in Italiano…”Il problema della curva” non è che fosse incomprensibile) non è un film destinato a fare presa sul pubblico di queste parti. Perchè, benchè non sia proprio un film sul baseball, se non si capisce lo spirito del baseball, è ben difficile che si possa apprezzare questo film.

E’ un film riuscito a metà, sia chiaro.
Eastwood è bravissimo in un ruolo che si era disegnato addosso anche in film memorabili come “Gli spietati” e “Gran Torino” (diretti da lui; ma questo è diretto da Robert Lorenz, che nei film sopra citati era il suo assistente, quindi non deve essere cambiato granchè), Amy Adams (la figlia Mickey, Amy Adams e Clint Eastwood in "Trouble with the curve"come Mickey Mantle…) è molto carina e appropriata, Justin Timberlake è credibile nel ruolo dell’ex lanciatore e aspirante telecronista Flanagan e John Goodman (che sulla scena fu già Babe Ruth) è perfetto nel ruolo del capo scout. Però il rapporto tra padre è figlia che vediamo sullo schermo è talmente stereotipato da sembrare tagliato con l’accetta e al tono favolistico con cui il film si conclude non può credere nessuno. Dico la verità: mi piacerebbe credere che viviamo in un mondo nel quale si può essere scelti dagli Atlanta Braves per un provino lanciando nel prato di un motel con il fratellino che fa il catcher. Ma insomma…

Trovo ben spesi i soldi per entrare il cinema comunque. Perchè la visione di “Trouble with the curve” mi ha fatto molto riflettere. Sul fatto che il baseball momento di integrazione del melting pot americano (descritto così bene da Don De Lillo in “Underworld”), il baseball della rivalsa sociale, il baseball che portava allo stadio i top manager e i lustrascarpe figli di immigrati, quel baseball non esiste più. Ed è un peccato, perchè con quel baseball se ne è andata per sempre la speranza di una generazione di persone che era convinta di poter lasciare a chi veniva dopo un mondo migliore.
Pensavo anche che a me è molto piaciuto leggere il libro “Moneyball” e che trovo la trasposizione in film estremamente ben fatta ed efficace. Ma alla fine, sono d’accordo con Clint Eastwood-Gus quando dice: “Ma quei computer, vi grattano anche il culo, quando prude?”. Perchè è vero che l’uso dei dati statistici, soprattutto l’interpretazione dei dati statistici fatta dai sabermetrici, ha molto arricchito la capacità di analisi del rendimento di un giocatore, ma non posso accettare che si possa scegliere ad un draft senza giudicare per quel che si vede e metterci la faccia.
Non è che “Trouble with the curve” possa essere definito un anti “Money ball”. Ma insomma, diciamo che…la giusta via (decidere a occhio o sui numeri) sta nel mezzo.

Tornando al discorso del Gaylord Opryland, andare negli stadi da baseball super moderni di oggi è bello, ma anche con qualcosa di meno a livello di comodità resterebbe il gioco più bello del mondo.
E sinceramente, mi faceva star meglio l’idea che chiunque si potesse permettere di entrare allo stadio.