Social media e post verità

L'Ufficio Stampa, MULTI MEDIA

Durante questa settimana concluderò il ciclo di articoli dedicati all’Ufficio Stampa, che avevo iniziato il 29 marzo. Dopo i primi 2 articoli introduttivi (cenni storici e l’esplicitazione del mio punto di vista), ho parlato del perché l’Addetto Stampa secondo me deve essere un giornalista; della differenze che ci sono con Portavoce e Uomo delle Pubbliche Relazioni; sono poi passato a introdutte il tema come ottenere visibilità sui media. L’ho approfondito con 2 articoli: uno dedicato a conferenze stampa e comunicati, l’altro alla produzione di contenuti in autonomia.
Adesso è il momento di parlare di social media e post verità.

La rivoluzione dei social media

“Un giorno dei primi mesi del 2010 ero all’Esecutivo della Federazione Internazionale di baseball (IBAF) e mi stavo annoiando in maniera gloriosa”.  Inizia così un articolo che avevo scritto per questo sito nel novembre del 2014. Quel giorno la “noia gloriosa” che stavo provando mi portò a creare un account Facebook. Non fu una scelta rivoluzionaria né azzardata. Non ero certo uno dei primi utenti e, anzi, molta gente si stupiva del fatto che io non avessi ancora un account. Ma trovo il momento importante, perché Facebook ha avuto un impatto notevole sulla mia vita professionale. E non sempre positivo. Ma andiamo con ordine.
Inizio con questa affermazione: non esiste un Ufficio Stampa che possa fare a meno di Facebook. Basterà questa considerazione banale: quasi tutti i vostri interlocutori abituali hanno di certo un account Facebook. Di suo, si tratta di uno strumento potenzialmente formidabile, perché permette di interagire con tutto il mondo in tempo reale e a costo zero. Ma come qualsiasi strumento (specie quelli gratuiti…), Facebook ha una contro indicazione: diventa difficile scindere la propria presenza personale da quella pubblica, che un Addetto Stampa ha in rappresentanza di qualcun altro. A un corso sull’uso dei social network, mi sono sentito rispondere che “basta crearsi profili diversi”. Non è così facile come sembra: se per errore postate con il profilo sbagliato, sappiate che quasi di certo non basterà cancellare. C’è sempre qualcuno velocissimo con l’uso dei tasti ALT e STAMP e che tirerà fuori lo screen shot quando vorrà imbarazzarvi.
Di questo ho parlato nell’articolo che cito sopra, ma forse ancora più rilevante è il caso che trovate sviscerato in questo articolo di qualche mese prima.
Fino a novembre, sarei stato portato a dire che questo tipo di equivoci  sono meno frequenti su Twitter. Sia perché il social media è meno popolare (specie in Italia), sia per la sua natura (ogni messaggio, o post, se vogliamo usare il linguaggio dei social, ha un numero limitato di caratteri), sia per l’uso meno dedito al cazzeggio in libertà che ne fa l’utente medio. Ma dallo scorso autunno un utente non medio (ha 27.6 milioni di follower…) ha cambiato le carte in tavola. Parlo naturalmente di Donald Trump. Da quando è Presidente degli Stati Uniti, ha così tanto abusato di Twitter da far sembrare i dubbi di coscienza che ho espresso nei 2 articoli linkati a questo testo assolutamente ingenui.
Trump ci aiuta a definire meglio Twitter come social network. Anzi, per la verità ci spiega in una frase perché possiamo tranquillamente definirlo social medium: “Se non fosse per Twitter, non sarei qui”. The Donald ritiene che la stampa tradizionale sia al servizio dei suoi nemici e non è che lo manda a dire. I “suoi nemici” invece insinuano che lui usi i social media per  divulgare falsità. E su questo torneremo.
Consentitemi di puntualizzare che io consiglio a qualsiasi Ufficio Stampa di aprire una pagina Facebook e un profilo Twitter. Facebook si rivelerà sicuramente più efficace a livello di gestione delle community nei settori di nicchia, Twitter consentirà di dialogare con i media in modo più professionale. Se oltre ai profili aziendali volete gestire quelli personali, fate bene i conti con il tempo e con la composizione del vostro staff. Ad esempio, se vi muovete nell’ottica della one man band, sappiate che siete umani e le vostre giornate durano 24 ore come quelle di tutti.

Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook

Social media e post verità

 E’ bene chiarire che non è che le notizie false e le bufale le abbiano inventate i social media. Il problema è che attraverso i social media si diffondono in un attimo e ovunque.  Chiariamo anche che c’è una bella differenza tra una notizia falsa che si fa circolare ad arte (come i classici pesci d’aprile, che però vengono subito rivelati come tali; quest’anno ne ho bevuto uno io del giornalista RAI Mazzocchi, che annunciava il suo abbandono della testata sportiva verso una fantomatica entità specializzata in documentari) o una bufala che circola perché qualcuno ha preso una cantonata. La differenza può essere sottile, ma non è irrilevante. Se a essere ingannato è il pubblico abbiamo un problema enorme, ma almeno abbiamo gli strumenti per fare qualcosa, cercando di controbattere alla notizia falsa. E noi giornalisti ci sentiamo anche un po’ eroi. Ma se prende la cantonata un giornalista è quasi sempre perché non ha fatto bene il suo lavoro. Questo non bisogna mai dimenticarlo: “Un giornalista non deve mai dare per scontato nulla. Deve sempre verificare tutto. Solo così rimane una fonte di notizie di cui fidarsi”. Non lo dico io, bensì Santiago Lyon, Vice Presidente di Associated Press. Io lo sottoscrivo solamente.
So che mi state per dire che “siamo sempre meno, i ritmi di lavoro sono infernali e poi come si fa”. E io posso solo rispondervi che in qualche modo bisogna fare, perché se i giornalisti non verificano, crolla tutto.
Si trova per altro on line (gratis e in Italiano) l’interessante Verification Handbook, che guida i giornalisti all’uso del cosiddetto “user generated content” (i post sui social media di fonti non ufficiali, quindi difficili da verificare) durante le emergenze.
Tornando alle notizie false che ingannano il pubblico, il tema (in buona parte grazie a Trump) è particolarmente caldo. Il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg sul punto non ha le idee chiarissime. Prima ha affermato che Facebook non si può prendere responsabilità, in quanto non è “produttore di contenuti” e semplicemente “li ospita”. Ma ha anche un profilo Facebook (ci mancherebbe, se non lo usasse lui) con un bel 3.5 milioni di follower (e un potenziale da quasi 90 milioni di audience, mica scherzi…) e lo ha utilizzato per dire che Facebook si sta impegnando per “proteggere i suoi utenti”. Ad esempio, contribuendo con First Draft (della Columbia Journalism Review) e altre entità a realizzare una guida alle fake news. Chi vuole vederne una bozza, può richiederla via internet. Se la versione definitiva sia a pagamento, ancora non lo so. Un’altra bella iniziativa è Faktisk  (ovvero “effettivamente” o “di fatto”), un sito al quale stanno lavorando in Norvegia il Governo e gli organi di stampa più importanti. Lo annuncia Niemanlab in modo decisamente trionfale. Sfortunatamente, la prima bozza del sito è solo in norvegese
Come Ufficio Stampa, saremo però più facilmente produttori di contenuti che non utilizzatori di quanto si trova sui social media. Ma potremmo trovarci nella condizione di dover reagire a fake news. Come nel caso della notizia che la terra è piatta (di cui ho parlato nell’articolo sulla differenza tra Addetto Stampa, Portavoce e Pierre) , ci saranno casi in cui semplicemente non vi sarà possibile ristabilire la verità. E’ proprio per questo, oggi più che mai, che un Ufficio Stampa deve essere attivo, arrivando dunque per primo ad affrontare gli argomenti potenzialmente imbarazzanti per la sua organizzazione. Lo dico con certezza: una versione plausibile di un fatto increscioso quasi sempre evita speculazioni. Personalmente, non ho mai capito i comunicati stampa con cui le società di calcio licenziano gli allenatori affermando: “è una separazione consensuale, nell’interesse delle parti; auguriamo a Tizio le migliori fortune per il futuro”. Concorderei più una  versione ammorbidita della realtà (per dire: se i calciatori gli fanno la guerra, lui stesso che dice “sentivo di aver perso il feeling con i ragazzi”). E se una versione morbida non c’è, diciamo la verità: “i vertici della società hanno deciso di sollevarlo dall’incarico”. Anche sulla posizione economica (“si è raggiunto un accordo per la transazione sugli stipendi che Tizio avrebbe dovuto percepire” o “per il momento, continua a percepire regolarmente lo stipendio”)

Hate speech

Una delle cose più spiacevoli dei social network è il cosiddetto hate speech (letteralmente, “discorso basato sull’odio”). Ci sono parecchi leoni da tastiera che si sfogano dicendo di tutto e di più nei confronti di un personaggio pubblico. È sorprendente il livello di sofisticazione (e anche di fantasia, perché no…) a cui si arriva nella cattiveria degli insulti.
Anche in questo caso ho una pubblicazione da suggerirvi che si trova gratuitamente in rete: L’odio non è un’opinione.
Come Ufficio Stampa dovete prepararvi a intervenire. Ma non è assolutamente il caso di rispondere con odio a uno hate speech. Che va piuttosto segnalato al vostro Ufficio Legale, per valutare che non sia il caso di intervenire con una querela. Con chi critica (magari anche duramente) ma usando un linguaggio, se non appropriato, almeno educato bisogna invece dialogare.  Questo è uno degli ambiti in cui un Ufficio Stampa può fare la differenza oggi.

In conclusione

Avrete notato che ho parlato indistintamente di social network e social media. Non tutti sono convinti di accedere a Facebook per informarsi (quindi per loro si tratta di un social network), ma in verità quasi tutti lo fanno (e quindi diventa un social medium).
Avrete anche notato che ho fatto riferimento in maniera prevalente a Facebook. Credo che in Italia, da questo social medium non si possa davvero prescindere. Twitter è obbligatorio se vi occupate di calcio (non mi è chiaro come mai, ma i calciatori lo amano) o di politica. E in generale, per un giornalista è bene avere un profilo Twitter. Per quel che riguarda Instagram, è vero che è in grande crescita. Ma vi consiglio di addentrarvici se la vostra organizzazione fa un ampio ricorso alle foto come mezzo di comunicazione. Non è che avere un account Instagram disturbi, ma ricordate che le ore disponibili in una giornata restano 24 e non aumenteranno. Google+ come alternativa a Facebook ha fallito, ma i post qui pubblicati ricevono un prevedibile trattamento di favore dal motore di ricerca.
Infine, non credete ai miracoli: per bravi che siate, il seguito sui social dipenderà prima di tutto dalla visibilità che la vostra organizzazione aveva prima di creare il profilo. Le eccezioni ci sono, ma sono (appunto) eccezioni. E va da sé: pubblicare foto sexy della ragazza più carina dell’ufficio, anche se inevitabilmente produrrà un certo numero di LIKE, non è un buon modo di fare il vostro lavoro di Ufficio Stampa. Poco meglio è ottenere i MI PIACE pagando. Il vostro lavoro è ottenere visualizzazioni da gente interessata a quel che avete da dire, non da un robot.

8-CONTINUA