Se lo squalo batte Michael Phelps

SPORT, squali

Michael Phelps per me è un mito inarrivabile. Fino a pochi giorni fa, non pensavo potesse stupirmi ancora. Uno che vince 23 medaglie d’oro olimpiche, di cui 8 nella stessa edizione (Pechino 2008; mai avrei pensato che qualcuno avrebbe battuto Mark Spitz e il record di 7 stabilito a Monaco 1972…) cos’altro può fare nel nuoto? Ad esempio, gareggiare con uno squalo.

Ho voluto pubblicare il video della puntata di Shark Week di Discovery all’inizio dell’articolo per chiarire subito che non è che Phelps abbia nuotato assieme a uno squalo. Nella trasmissione lo dicono ripetutamente: “Non possiamo mettere Phelps in una corsia e lo squalo in un’altra”. Quindi quel che è successo è che Phelps ha nuotato e poi si è fatto il paragone con quello che avrebbe fatto lo squalo nelle stesse condizioni e ammesso che avesse nuotato per 100 metri in linea retta.

Sulla carta, si tratta di una lotta impari. Phelps arriva al massimo a 9 chilometri orari, mentre gli squali, a seconda della tipologia, toccano velocità massime dai 25 ai 40 chilometri orari. Naturalmente, nessuno sa per quanto uno squalo può resistere al massimo della potenza, per cui sono stati raccolti dati per ottenere una stima accurata.
Phelps si è prima misurato con uno squalo martello e uno squalo grigio nelle acque di Bimini, alle Bahamas. Si è rivelato più veloce dello squalo grigio e più lento dello squalo martello.
Per essere competitivo, l’uomo è stato dotato di una mono pinna, che dopo il primo esperimento è stata migliorata. Per affrontare lo squalo bianco (virtuale), per Phelps è stata creata una muta in un tessuto che riproduceva le caratteristiche della pelle di uno squalo.

In questa immagine al microscopio (Università di Città del Capo) i “dermal denticles” che compongono la pelle di uno squalo

La pelle degli squali non è formata dalle stesse squame che caratterizzano gli altri pesci ma da squame dermiche. A vederle ingrandite, hanno lo stesso aspetto dei denti dello squalo ed è per questo che sono detti dermal denticles. Sono in realtà scaglie, caretteristiche dei pesci cartilaginei. Sono formate da una cavità carnosa e da un strato esterno di smalto. Danno alla pelle di squalo la stessa sensazione al tatto della carta vetrata.
Lo scopo principale che hanno è di proteggere lo squalo dalle ferite. Ma la loro utilità è anche che funzionano più o meno come le setole di una pelliccia e fanno scorrere l’acqua lungo il corpo dello squalo in modo più efficiente, riducendo la frizione dell’acqua contro il corpo e quindi le turbolenze.

Phelps, che ha studiato anche aggiustamenti tecnici per muoversi nel modo più coerente a quello dello squalo, ha fatto il suo test nelle acque al largo di Gaansbai, in Sudafrica. Attorno a Dyer Island e Geyser Rock si trova il braccio di mare al mondo nel quale è più facile imbattersi nello squalo bianco.
Quello a cui Phelps non aveva pensato è la temperatura dell’acqua, che nella nostra estate (l’inverno del Sudafrica) è inferiore ai 15 gradi, insopportabile per un uomo, soprattutto uno abituato a nuotare (e trionfare) in piscina, in condizioni perfette.
La natura ha invece dotato lo squalo da millenni di un sistema che gli permette di alzare anche di 20 gradi la temperatura di alcuni organi del corpo e quindi di mantenersi efficiente in qualsiasi condizione climatica. D’altra parte, per lo squalo da questo dipende la sopravvivenza. Per Phelps solo il togliersi uno sfizio. Come dicono gli esperti intervistati nel programma di Discovery, benchè le motivazioni a vincere di Phelps siano straordinarie, quelle di chi lotta per sopravvivere sono impareggiabili.

Insomma, alla fine Phelps ha beccato 2 secondi su 100 metri. Un po’ il destino che riservava lui a chi osasse sfidarlo in piscina. E sembrava anche piuttosto dispiaciuto e deluso (se non seccato…) per il risultato.
Io non faccio parte dei telespettatori delusi perché si aspettavano di vedere il nuotatore gareggiare fianco a fianco con uno squalo. Piuttosto, mi sono molto emozionato nel vedere Phelps nella gabbia mostrare più o meno le stesse reazioni che ho avuto io quando nel 2002 ho fatto cage diving a Gaansbai. Perché quando siete in acqua e un grande squalo bianco vi si avvicina, anche se siete protetti da una gabbia, le scariche di adrenalina sono di tutto rispetto.
Ricordo bene l’acqua gelida, la sospensione che faceva sembrare che fossimo immersi in qualcosa di lattiginoso, le urla dalla barca “arriva, arriva”. Io che mi appiattisco sul fondo della gabbia per rubare qualche secondo di visione in più al passaggio del grande squalo.

Un grande squalo bianco si avvicina a un sub protetto dalla gabbia

Ma questa è un’altra storia, che mi riprometto di raccontare presto.