Scoop di Enrico Franceschini: ma era davvero così il giornalismo?

LETTERATURA, MULTI MEDIA

Facevo scouting dentro la libreria Feltrinelli di via Farini a Parma e un libro che si intitola Scoop ha inevitabilmente carpito il mio sguardo. Quando ho iniziato a sfogliarlo e ho visto che l’autore è Enrico Franceschini, ho deciso di comprarlo. Dopo averlo letto mi chiedo: ma era davvero così il giornalismo?
Di Franceschini leggo sempre i corsivi che scrive per la pagina di Bologna di Repubblica. Classe 1956, è stato corrispondente del quotidiano da New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e Londra. E dalla Capitale del Regno Unito sta raccontando la BrexIt dal punto di vista di un Italiano.
Franceschini ha un suo blog e, questo l’ho scoperto grazie a Wikipedia, ha tradotto 3 libri di poesie di Charles Bukowski: La canzone dei folli (2000), Il grande (2002) e Quando eravamo giovani (2007).

La copertina di “Scoop”

Scoop non il primo libro di Franceschini e nemmeno il primo di narrativa (su Wikipedia trovate la sua bibliografia). Nei ringraziamenti finali però l’autore dichiara di essersi ispirato a libro omonimo di Evelyn Waugh, tradotto in Italiano come L’inviato speciale. La premessa di entrambi i libri è un errore: giornalisti che portano lo stesso cognome vengono confusi quando si tratta di scegliere un inviato per raccontare una crisi politica. Franceschini però avverte: “Lo stile non potevo prenderglielo, perché nessuno scrive come Evelyn Waugh”.
Lo stile di Franceschini è per altro una garanzia. Le pagine scorrono lievi e il libro (200 pagine tonde) si può completare in un paio di serate, anche grazie al fatto che suscita la classica voglia di vedere come va a finire. Che è certamente un merito dell’autore.

Andrea Muratori è un ex giovane scrittore, che ha avuto successo con un libro d’esordio sul 1968 ma che al decimo romanzo (e con le vendite in picchiata) si rende conto di non aver più nulla da dire. Si convince allora che un reportage da un paese del centro America (l’immaginario Cusclàtan) potrebbe rilanciarlo, oltre che fargli venire qualche idea per un nuovo romanzo. Chiede a una facoltosa amica (la contessa Matilde Valera del Dongo) di intervenire su Alberto Massari, il direttore (“un mestiere un po’ diverso da quello di giornalista…un po’ domatore di circo, un po’ impresario teatrale…”) di un quotidiano milanese che evidentemente rappresenta il Corriere della Sera.
Massari convince la redazione a mandare Andrea Muratori. Solo che non sa che alla redazione sportiva c’è un giovane cronista, appena arrivato dopo il praticantato a Bologna, che porta lo stesso nome e cognome.
Mentre Andrea Muratori lo scrittore cambia idea e se ne va in Malesia a scrivere una mezza marchetta per una rivista di viaggi, Andrea Muratori il bolognese vola in Cusclàtan a conoscere la vita dell’inviato speciale.

L’ambientazione è quella degli anni ’80 del secolo scorso, perché i giornalisti, scrivono con le leggendarie Olivetti, dettano ancora gli articoli compitando “golpe…genova-otranto-livorno-parma-empoli” e si fa strada a malapena l’uso di una diavoleria moderna chiamata fax.
Per me, leggere è stato un tuffo al cuore, perché anch’io ho iniziato a fare il giornalista in quegli anni.
Ricordo il mio primo articolo: la cronaca di Milano-Parma di baseball. Mi incaricò un tipo belloccio con al seguito una tipa supergnocca che mi avvicinò spudorato: “Senti, io avrei di meglio da fare. Tieni 10.000 lire, puoi mandare al mio posto 20 righe al Carlino? Questo è il numero…”.
Quando lessi l’articolo (a firma sua, ovvio) sul Carlino del giorno dopo, non cera un nome scritto correttamente: Watanabe era diventato Guardanave, per dire. Il tizio mi ritelefonò per ringraziarmi e dirmi che mi avrebbe allungato altre 10.000 lire se lo avessi coperto anche la sera successiva. Mi insegnò anche a compitare i nomi e i termini tecnici (foul ball lo avevano scritto faulbol).
Era la primavera del 1985.

Ma era davvero così il giornalismo?

Franceschini ci descrive un mondo nel quale gli inviati italiani si inventano letteralmente gli scoop, “tanto quello che conta è lo stile”. Gli americani, quelli sì, sono bravi e stanno ai fatti “ma scrivono da cani”. I tedeschi sono probabilmente bravi come gli americani “ma tanto nessuno ha mai letto un giornale tedesco”.
I giornalisti inviati in Cusclàtan vanno anche a puttane, imbrogliano sulle note spese.
Mi verrebbe da dire che Franceschini ci vuole dare un indizio su come mai il giornalismo sia entrato nella crisi profonda in cui versa. Fa dire a Muratori il bolognese a pagina 178: “Scusa se te lo dico, ma è una presa per il culo. Non è informazione questa…”.
Poi però succede (faccio un altro riferimento ai ringraziamenti) che l’autore puntualizza che gli inviati e i corrispondenti all’estero dei giornali italiani sono “il gruppo di persone più affascinanti, divertenti, originali e talentuose che abbia mai incontrato”.
L’autore mi ha poi risposto attraverso Twitter: “Voglio far divertire e, se possibile, innamorare del giornalismo…”

Il tweet di risposta di Enrico Franceschini

Quello di Franceschini è certamente un romanzo di formazione. Diciamo che in ciascuno dei 2 Andrea Muratori ha messo un po’ di sè stesso.
I personaggi degli altri giornalisti sono sostanzialmente schizzi (in una delle 2 donne credo di aver riconosciuto Oriana Fallaci, ma non ci giurerei), a parte quello di Leandro Tarchetti, ex grande inviato che ora dichiara di “essere sceso in serie B”. Scrive per un giornale minore e, in qualche modo, si è ritagliato il ruolo di capo comitiva e normalizzatore. Quello che si accerta che tutti abbiano le stesse notizie e nessuno possibilmente prenda un buco, in modo che il soggiorno duri il più possibile. “Il giornalismo è il maggior divertimento che puoi avere con i calzoni addosso” è la sua massima più memorabile.

Ai giornalisti consiglio di leggerlo e magari di rifletterci su. Avvertendoli del fatto che questo libro, parlando di romanzi sul giornalismo scritti in Italiano, non arriva certo alle vette di Azzurro tenebra di Arpino (ne parlerò su questo sito).
All’autore vorrei invece chiedere se mi può togliere il dubbio: ci vuol dire che i giornalisti che ha frequentato sono stati dei cialtroni o ci vuol solo far divertire?

A ben pensarci, Andrea Muratori che sale sul taxi di Pedro appena arrivato in America mi ha ricordato me stesso (1987) a pranzo a Bari in un ristorante con tutti gli inviati, commosso perché dividevo la tavola con chi avevo solo visto in TV e assolutamente perplesso quando mi è stato chiesto da quanto volevo la ricevuta (“per quel che ho speso” fu la risposta e alle risate ci rimasi male…).
Il suo scoop lo farà (in Guaranà, altro Stato immaginario). E scoprirà anche altro. Ma niente spoiler: voglio che leggiate il libro, per conoscere altri dettagli.

2 thoughts on “Scoop di Enrico Franceschini: ma era davvero così il giornalismo?

  1. By the way… parlando di scoop: quel Massimo Fochi che si candida nelle file del Sindaco Scarpa è l’ex campione italiano di baseball?

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