San Pietroburgo, maggio 2013

SCHIROPENSIERO, VIAGGI

Quando Mark Adams, Direttore della Comunicazione del CIO, ha iniziato l’elenco degli sport ancora in lizza per entrare nelle Olimpiadi dal 2020 con “wrestling”, non ho neanche avuto tempo di tremare. Perchè subito dopo ha detto “baseball softball”. Ho avuto l’istintiva reazione di girarmi. Poi ho preso il cellulare e ho scritto su Tiwtter che il baseball e il softball erano nella shortlist. E in quel momento ho realizzato di essere a San Pietroburgo.

La Chiesa del Salvatore sul sangue versatoLa sera prima avevo camminato sulla Prospettiva Nevsky (prospettiva perchè? “Prospekt” in Russo significa “viale”. Chi è stato il primo a tradurlo così?) e avevo visto la Chiesa del Salvatore sul sangue versato (diciamolo: solo i russi possono inventarsi un nome così melodrammatico). Avevo anche mangiato il Borsch (una zuppa di barbabietola, che ha diverse varianti; l’importante è la barbabietola, che per la cronaca io adoro) e bevuto la vodka. Ma insomma, non avrei mai potuto conservare un ricordo positivo di San Pietroburgo, senza quell’annuncio.

Sono arrivato lunedì 27 maggio, il giorno del compleanno della città. Nel 1703 lo Zar Pietro il Grande conquistò il territorio sulle rive della Neva, dove il fiume sfocia nel Golfo di Finlandia, in una guerra contro gli svedesi. Pietro il Grande, che inspiegabilmente aveva studiato in Olanda sotto falso nome, ancora più inspiegabilmente diede il nome alla città in olandese (anche gli Zar, ogni tanto erano fuori…): Sankt Piter Burkh.
Chiamata Leningrado nel 1924, ritornò a essere San Pietroburgo dopo un referendum popolare nel 1991.
Ammetto che mi son chiesto cosa ne penserebbe Lenin deggli agglomerati di attività commerciali che sorgono ovunque (specie attorno alle stazioni della metropolitana). Non sono il primo a notarlo, ma leggere Mac Donald’s (il simbolo delle multinazionalimac americane) scritto in cirillico è quanto meno inquietante, per chi ha vissuto l’adolescenza e una parte della giovinezza negli anni della Guerra Fredda.

Allora: in Russia ci dovrebbe essere freddo. E invece c’è caldo. Non dev’essere tanto normale, visto che molte auto passano ostentando le gomme chiodate. Un po’ come le abitanti di San Pietroburgo ostentano gambe lunghissime e tacchi di 15 centimetri, sui quali camminano con la disinvoltura con cui io cammino con le mie scarpe da ginnastica quando vado in centro a Parma tutti i giorni. Non è la prima volta che vengo in Russia (in Ucraina è uguale) e mi sono sempre chiesto come mai qui le donne siano così belle.

Affermo che mi rifiuto di chiamare San Pietroburgo la Venezia del nord. Perchè di Venezie del nord ce ne sono veramente troppe (Amsterdam, Rotterdam, Stoccolma…) e nessuna assomiglia a Venezia. San Pietroburgo è semplicemente una città bellissima. Almeno, il centro.
Io ero alloggiato in un hotel comodo per raggiungere il centro esposizioni LenExpo, vicinissimo al porto. A destra, a sinistra e davanti all’hotel si dipanano viali lunghissimi, di quelli proprio sovietici. Come sovietici sono i casermoni che sorgono a fianco dell’albergo: avranno 10.000 finestre.
Davanti all’hotel c’è un pulmino a 12 posti che pretende di essere l’autobus 248 e che porta alla fermata del metro di Primorskaya. Da lì parte la linea verde (la 3: in totale devono essere 5). Dopo 2 fermate arriva a Gostny Dvor, che corrisponde con la Prospettiva Nevsky. Quindi con il centro delle operazioni. In tutto, si spendono 60 rubli, quindi neanche 1.5 euro. Lo stesso tragitto in taxi costa 310 rubli (sempre buono) se si chiama un taxi diciamo semi ufficiale (ma per farlo, bisogna conoscere il numero da chiamare e parlare il russo). Fermando un taxi per strada, quel che si paga non si sa (mi sono stati richiesti da 800 a 2000 rubli: da poco meno di 20 a poco meno di 50 euro).

In questa stagione il sole non tramonta praticamente mai. I locali infatti sono in giro fino a tardissimo. Li vedi anche che vanno a fare jogging a mezzanotte. Loro le chiamano le notti bianche e se sei qui per lavorare, sono un bel problema. Quando la sveglia suona poi al mattino, dico.
Le giornate di San Pietroburgo non iniziano prestissimo. Il celeberrimo museo Hermitage apre alle 10.30 e chiude alle 18. Peggio che da noi, insomma.
Visitarlo tutto in una volta sola è al limite dell’impossibile. Io ho gironzolato tra Michelangelo, Leonardo e compagnia del Rinascimento, ho buttato un occhio a Rembrandt e poi mi sono concentrato sulla mia passione: Cezanne, Gauguin. E, soprattutto, Van Gogh e Matisse.
La dance di MatisseAll’Hermitage c’è il quadro “La danza” di Matisse. Quello che poi Picasso (che le sue belle 3 stanze le ha anche lui, all’Hermitage) studiò e dal quale partì la corrente del cubismo. Un quadro di una qualche importanza, insomma. E’ un quadro, soprattutto, che mi ha ha aiutato a capire a suo tempo che analizzare un quadro si può e che studiare la storia dell’arte non è una cosa da fighetti. Un quadro che mi ha, diciamolo senza drammatizzare, cambiato.
Ce lo avevo lì davanti. Quando ho pagato i 400 rubli per entrare all’Hermitage, ammetto che non sapevo che c’era. Ma non ho nemmeno provato a fotografarlo, per paura che scattasse il flash e lo rovinasse un po’.

Lungo la Nava, pensavo che senza quell’annuncio di Mark Adams sarebbe stato meno facile godersi tutto questo.