Quando un giornalista sbaglia e quando ha semplicemente un’opinione sbagliata

La formazione continua dei giornalisti, LOTTA AL DOPING, SCHIROPENSIERO

Quando lo scandalo legato a Lance Armstrong deflagrò, la giornalista Sally Jenkins prese con decisione le difese del ciclista sul Washington Post. La Jenkins è la co autrice di Every second counts, la biografia di Armstrong. E si definisce sua amica. Aveva anche detto pubblicamente: “Non parlatemi male di Lance, perchè non vi crederò”.
Siamo al cuore del problema: un giornalista non deve, non può farsi influenzare dai suoi sentimenti personali. Deve solo raccontare la verità.
La Jenkins è stata accusata di aver violato le regole etiche del Washington Post, con la sua difesa di Armstrong. “E’ co autrice di un suo libro, sua amica , il conflitto di interessi è molto grande e lei non avrebbe dovuto prendere posizione”.
Ma chi l’ha detto?
Ipotizzare che un giornalista dello staff del Washington Post abbia un conflitto di interessi è circa come sostenere che l’acqua del mare è dolce. E’ semplicemente assurdo. Parliamo del non plus ultra del giornalismo indipendente. Cosa è successo, dunque?

Sally Jenkins
Sally Jenkins

Nel gennaio del 2012 ho trovato un articolo di Patrick Pexton e ne ho parlato su questo sito.
Pexton spiega molto bene che la Jenkins non ha violato nessuna regola etica del Post. Ha detto chiaro che non era imparziale, quando si parlava di Lance Armstrong, ha detto chiaro che aveva scritto un libro con lui. Ma ha voluto comunque esprimere un’opinione. Che si è rivelata sbagliata.
Jenkins ha creduto a tutto quello che le ha detto Armstrong e ha fatto male. Ma ha tenuto ed espresso una posizione disinteressata. Di questo sono certo e posso dire che, così facendo, ha fatto bene il suo mestiere di giornalista.
Non si può impedire a nessuno di avere un’opinione. Sentire che la signora Jenkins pensa che la questione del doping: “non può essere vista in bianco o nero” mi fa un po’ venire i brividi. Io penso esattamente che vada vista in bianco o nero: fare uso di sostanze che migliorano le prestazioni atletiche è sbagliato punto e basta. Nessuno mi convincerà mai che ha un senso somministrare farmaci a una persona sana. Al contrario di me, Sally Jenkins pensa che il doping sia “Una vicenda molto complessa dal punto di vista morale, giuridico e filosofico“.

In un articolo del dicembre 2015 Jenkins dice, senza mezzi termini, che l’ambiente in cui Armstrong ha messo in piedi il suo programma era quello di un ciclismo nel quale “Le siringhe erano così tanto la norma che l’atleta era di fronte a un’alternativa: usarle o smettere di correre“.
Ci può essere anche del vero, in quello che sostiene Jenkins, ma se ci fate caso si tratta della stessa argomentazione di difesa usata dai politici finiti nell’uragano di Tangentopoli nel 1992, a cominciare da Craxi. Che è poi la stessa dall’ex dirigente della squadra di calcio della Juventus Luciano Moggi quando la squadra finì in Serie B per aver (siamo nell’eufemismo) intrattenuto rapporti non consentiti con gli arbitri: come si fa a parlare di reato, se tutti facevano così.
E’ una logica alla quale mi ribello.

Con tutto questo, voglio dire che continuo a meditare su questo: la Jenkins ha tutto il diritto di pensarla come crede, così come io ho tutto il diritto di pensare che si sta sbagliando di grosso. Se le cose stessero come dice lei, Armstrong avrebbe dovuto fare outing e porre il problema, specie dopo l’apertura dell’inchiesta che gli toglierà la vittoria nei 7 Tour. Invece ha solo e soltanto continuato a mentire. Anche dopo che era apparso chiaro come non avesse vie d’uscita. Avesse deciso di collaborare, avrebbe davvero potuto fare qualcosa di importante. Avrebbe ad esempio potuto allargare la discussione a un ambito filosofico. Ovvero, tornando al Moser del primo articolo di questo ciclo (il link è in fondo a questo pezzo), iniziare a ipotizzare che gli aiuti farmacologici potessero diventare parte della regola. O almeno aprire un dibattito.
La verità è che Lance Armstrong non aveva subito la cultura dell’ago. Aveva semmai contribuito a imporla. Non era in buona fede, cercava solo di ottenere grandi vantaggi per sè stesso. Era un baro, che voleva vincere e capitalizzare sulle sue vittorie.
E poi, diciamocelo chiaro: le regole non si adattano alle esigenze di chi le dovrebbe osservare. Le regole antidoping sono chiare, cristalline e chi è tesserato per una Federazione, ancora di più se è un atleta professionista, prende solenne impegno di rispettarle. Le regole di oggi dicono, ad esempio, che l’EPO non si può usare e i ciclisti non dovrebbero al riguardo porsi dei problemi.

Spero di essermi spiegato sul ruolo di un giornalista e di aver chiarito che Jenkins non ha violato regole di etica, ma ha comunque sbagliato di grosso. La sua posizione sul doping, questa invece è la mia posizione, non è accettabile.

Nel quarto e ultimo articolo di questo ciclo andremo a vedere un caso che non riguarda solo il doping e che ci mostrerà come di giornalisti che facciano a regola d’arte il loro mestiere ce ne sono. Solo, non sono la maggioranza.

3- CONTINUA

1-GLI EROI DISTRUTTI DAL DOPING    2-LANCE ARMSTRONG