Quando ero redattore capo di Teleducato a Parma

FICTION E PROGETTI EDITORIALI, Il praticante

“Abbiamo tutti iniziato a fare i giornalisti per il gusto di leggere la nostra firma in fondo all’articolo” Enzo Biagi

Nell’agosto del 1996, a 33 anni, mi sento un giornalista fatto. Non ho ancora sostenuto l’Esame da professionista (ma l’Ordine si è dimostrato possibilista sulla eventualità di accettare la mia domanda di praticantato) ma, in compenso, ho vissuto la breve e sfortunata (e incauta, diciamolo) esperienza de La Tribuna di Parma.
Nel periodo della persecuzione della Barbie, avevo cercato in tutti i modi di andarmene da Onda Emilia, ma non avevo trovato l’alternativa. Quando si iniziò a parlare di un quotidiano alternativo alla Gazzetta, i dirigenti di Comunicazioni Parmensi mi avevano espresso il loro favore a una mia collaborazione, un favore tanto entusiasta che mi venne da pensare che si volessero sbarazzare di me. Andai comunque a parlare con il direttore (che non mi piacque fin da quando si presentò dichiarando che “Hemyngway? Solo un mestierante…”), che mi disse che gli interessavo come giornalista sportivo e non di cronaca e che mi avrebbe fatto un’offerta per l’inquadramento che il contratto dei giornalisti chiama articolo 2, ovvero il collaboratore fisso (articolo 1 è il dipendente). Dal punto di vista strettamente teorico, lo stipendio era meglio di quello di Onda Emilia e il lavoro era al pomeriggio e alla sera, mentre quello di Onda Emilia era al mattino. Dal punto di vista pratico, non mi pagarono mai e fui costretto a insinuarmi per via legale nel fallimento.
Lavorare alla Tribuna rischiò di rovinarmi la vita sociale e il matrimonio (sveglia ore 6, fino alle 14 a Onda Emilia, dalle 17 alle 22 a Tribuna, unico giorno libero il lunedì) ed è probabile che, indipendentemente dal fallimento, dopo qualche mese avrei posto l’aut-aut: articolo 1 oppure addio. Ma fu un’esperienza molto formativa. Soprattutto grazie al mio capo, Stefano Antonini, un giornalista professionista di Trieste molto preparato e con il quale il feeling fu immediato. Da lui ho imparato tantissimo.

Non avevo mai parlato con Pier Gaiti se non sul campo da calcio, nelle sfide tra Onda Emilia e le sue TV. Nel pieno della persecuzione della Barbie, su consiglio del fondatore di Onda Emilia Fabrizio Pallini (detto Il Babbo), lo avevo chiamato al fine di chiedere se, per caso, avrebbe potuto aver bisogno di me. Ma non mi aveva risposto.
Nell’agosto del 1996 Gaiti sovrintende all’integrazione della Comunicazioni Parmensi nella sua Telemec s.p.a. e mi telefona per incontrarlo. Pier ha qualche anno più di me, gli occhi azzurri, si arriccia i capelli con un dito mentre parla, inclinando il capo verso l’interlocutore e poi da un lato. E’ pubblicista (come me) e risulta direttore responsabile (anche Spadolini ha diretto il Corriere della Sera da pubblicista…) delle sue TV. Ma non è un giornalista. Il suo telegiornale è molto ben confezionato dal punto di vista estetico, ma non è un telegiornale, è più un documentario. Glielo dico senza mezze misure e lo zittisco. Dopo qualche ora, Gaiti mi richiama e mi chiede se sono disponibile a occuparmi del telegiornale, magari utilizzando il materiale del TG per confezionare anche i radiogiornali di Onda Emilia, che a quel punto non sarebbero più stati la mia priorità. Mentre parla, tocco il cielo con un dito e mi lascio sfuggire un affrettato: “E’ una grande opportunità, non ti chiedo nemmeno più soldi”.

Di lì a pochi mesi, i più soldi glieli chiederò e mi verranno anche concessi. Meritatamente.
Avevo infatti riportato il telegiornale di Teleducato in diretta dopo una decina d’anni e creato un’alternativa a TV Parma. La mia filosofia era stata questa: molta cronaca all’inizio, molto sport alla fine del TG. Così, mentre TV Parma si perdeva in una serie interminabile di servizi di dubbio interesse su cene e quant’altro avveniva in Provincia, noi diventavamo aggressivi. Pubblicando anche notizie di scarso rilievo, mi ero conquistato la fiducia dei Dirigenti della Polizia e degli Ufficiali dei Carabinieri. Con il Sindaco di Parma Stefano Lavagetto si stava creando un rapporto speciale, di reciproca stima e mutuo rispetto, anche se la differenza di età era quella tra padre (lui, classe 1935) e figlio.
Nella comunità dei giornalisti, il razzismo  nei miei confronti era definitivamente finito. Anzi, mi chiamarono per chiedermi se ero interessato a far parte del Panathlon, opportunità che rifiutai con un certo snobismo. Mi avessero chiamato un anno prima, sarebbe stato diverso.

Nell’estate del 1997, un anno dopo la mia nomina (solo informale, per altro) a Capo Redattore di Teleducato, ero in effetti a capo di una redazione. Il mio rapporto con Gaiti era certamente turbolento, ma (dal mio punto di vista) soddisfacente. Pierino (come lo chiamavo) per criticarmi mi disse: “Tu sei uno di quei giornalisti che riporta quello che vede”. E io lo presi per un grosso complimento. In verità, Gaiti avrebbe voluto un giornalista che gli creasse rapporti politici e che sposasse una linea funzionale all’attività commerciale di Telemec s.p.a. e, lo ammetto, io non sono la persona giusta per questo.
La persona giusta arrivò nella figura di Pietro Adrasto Ferraguti e l’occasione si materializzò con la campagna per l’elezione del Sindaco di Parma, carica che sarebbe stata rinnovata nella primavera del 1998. A Lavagetto si opponevano Elvio Ubaldi, che si era già opposto nel 1993 a guida di una Lista Civica (Civiltà Parmigiana) e non era arrivato nemmeno al ballottaggio e Mario Tommasini (storico esponente della sinistra).
Lavagetto non capì nulla e io meno di lui. Voglio dire, non è che io feci la campagna per Lavagetto (anche se l’ufficio stampa degli allora DS mi chiamò per dirmi: “Sappiamo che sei dei nostri”), quel che successe fu che Lavagetto perse e che io fui l’agnello sacrificale.

Elvio Ubaldi è un democristiano andreottiano, quindi uno che non è particolarmente contento quando perde con onore. Quindi, dopo aver perso con onore nel 1994, cerca di trovare posto come Vice (carica che aveva già ricoperto con lo storico Sindaco socialista Lauro Grossi negli anni ’80) nella Giunta di Lavagetto. Ma quando, coerente con le ripetute liti pubbliche tra i 2, il Sindaco rifiuta, UbElvio si avvicina a Forza Italia (da neonata forza politica, gli azzurri avevano perso puntando sul candidato sbagliato, Angelo Busani, 4 anni prima). In campagna elettorale Ubaldi distrugge letteralmente Lavagetto (“la sua è una amministrazione da condominio”), raccontando però parecchie fregnacce (iniziò con: “Rinegozierò l’attribuzione della stazione Medio Padana dell’Alta Velocità a Reggio Emilia; al solito, faranno più breccia le balle, nell’immaginario della gente, rispetto alle sobrie posizioni del Sindaco). la più clamorosa: “Farò una Giunta staccata dai partiti”.
Quando mi ritrovo il Coordinatore di Forza Italia Guasti e il Segretario del CCD Monteverdi Assessori (Guasti anche Vice Sindaco), in un editoriale assegno a Ubaldi il fantomatico premio Pinocchio d’Oro.

UbElvio reagisce furioso, accusandomi di essere “notoriamente un giornalista superficiale”.
Quando entro garibaldino nel suo ufficio il giorno dopo, zittendo la segretaria che mi chiede: “Dottore, ma ha un appuntamento?”, il neo Sindaco mi accoglie con uno “Schiroli, at si micidièl” che ricorderò per sempre.

Nel frattempo, i vertici di Forza Italia chiedevano la mia testa a Gaiti.