Prima di parlare di cittadinanza, capiamo come funziona la legge

SCHIROPENSIERO

Il dibattito che ha fatto seguito alle esternazioni del Ministro Cècile Kyenge sulla Legge di Cittadinanza è malsano e poco informato.Cécile Kyenge
Sia chiaro, la Kyenge (che aveva detto di ritenere che la legge sulla cittadinanza italiana debba essere riformata sulla base dello ius soli, ovvero rendendo cittadino italiano chi nasce in Italia) avrebbe fatto meglio a tacere. Per motivi di opportunità (non è che ci sia esattamente bisogno di creare casini, attorno a questo Governo…) ma anche perchè non è il ruolo di un Ministro, quello di fare esternazioni. Semmai, Ministro, parlane prima ai tuoi colleghi, la prossima volta. E poi decidete se ci sono gli estremi per far rientrare la cosa nell’azione di Governo. Tu non sei più l’oculista di Castelfranco Emilia in pausa pranzo con i colleghi al bar.

A livello astratto, la Kyenge (che per la verità ha parzialmente rettificato la prima esternazione) non ha proprio tutti i torti. E’ evidente a tutti (borghezi a parte) che la nostra società è profondamente cambiata. Sono tantissimi i bambini che nascono da cittadini stranieri, ma regolarmente residenti in Italia. E anche a me sembra assurdo che vivano da stranieri nel paese nel quale nascono e cresceranno. Ma nel concreto, ci sono parecchi distinguo da fare e davvero troppi errori da sottolineare con la matita blu.

Dice il Ministro per l’Integrazione che “E’ la società, che lo chiede”. Questo è il primo errore. Perchè la società chiederà anche, ma le Leggi le fa il Parlamento. E la società che chiede, vota ogni 4 anni per eleggere quelli che fanno le Leggi.
Dice il Presidente della Repubblica Napolitano, nel primo e nel secondoGiorgio Napolitano mandato, che è “follia” che i figli degli immigrati non nascano da Italiani. Diciamo che Napolitano è nei limiti nel suo ruolo, facendo questo tipo di intervento. Ma sarebbe meglio che, prima di parlare con così tanta passione, desse (se posso permettermi) una ripassata alla Legge, anche lui.

L’Italia ha una Legge sulla Cittadinanza dal 13 giugno 1912. Prima di allora, il Regno d’Italia aveva regolamentato il concetto di cittadinanza (stabilendo che un Italiano non potesse “avere vincoli” con altri stati) con il codice civile (1865; una svolta epocale, che allontana per sempre l’Italia dal concetto medioevale di Stato Patrimoniale, cioè di individuo come pertinenza del territorio) e aveva preso ufficialmente atto dell’esistenza della categoria degli Emigranti (1901) e del processo di Naturalizzazione (1906).
La Legge 555 del 1912 è di carattere fortemente ottocentesco. Prevede il concetto (oggi sarebbe considerato inaudito) di cittadinanza di famiglia e vede una condizione della donna fortemente subordinata all’uomo. Ma indica chiaramente che è Italiano chi ha il padre o la madre Italiani, ovunque nasca. Si capisce perchè: l’Italia era un paese di emigranti, ai cui discendenti non si voleva pregiudicare la possibilità di tornare alla Madre Patria.
Le prime modifiche alla legge non furono felicissime. Durante il Fascismo (che ha “fatto cose buone”, direbbe il pregiudicato che avevamo come Premier) era vigente il concetto di Piccola Cittadinanza. Le donne e i nati nelle Colonie non avevano i diritti politici. Per inciso, per dare diritto di voto alle donne in Italia, si dovrà arrivare addirittura al 1948. Mussolini, sul concetto di Piccola Cittadinanza, passerà poi bellamente sopra, creando addirittura la categoria degli Oriundi, ovvero stranieri di origine italiana che, giocando a calcio, gli avrebbero fatto vincere i Mondiali del 1934 e 1938.
Oggi si fa ricorso al termine Oriundi impropriamente, parlando di persone che sono di cittadinanza italiana proprio perchè la stessa è attribuita secondo lo ius sanguinis.

La modifica veramente epocale alla legge arriverà nel 1975. Viene infatti stabilito che alla base dell’acquisizione della cittadinanza c’è la volontà dell’individuo. Non è più, insomma, automatico che una donna che sposa un Italiano diventi Italiana. Lo deve chiedere.
E’ un concetto che è alla base della Legge 91 del 5 maggio 1992, che vieneUna famiglia di emigranti italiani di inizio '900 definita Legge Organica ed è, a tutti gli effetti, la legge vigente sulla Cittadinanza.
Questa legge regolamenta l’acquisizione della cittadinanza per ius soli, ma come criterio residuale rispetto a quello dello ius sanguinis. Ad esempio, per chi viene adottato o è figlio di apolidi. Ma soprattutto, è il caso che interessa a noi, per i figli di stranieri nati in Italia e che risiedono ininterrottamente in Italia fino ai 18 anni (come il calciatore Mario Balotelli, che è stato a suo tempo affidato a una famiglia italiana). Dal loro diciottesimo compleanno, hanno un anno di tempo per chiedere la cittadinanza italiana in Comune. E la ottengono in un giorno (il Governatore della Lombardia Maroni dice oggi a Repubblica che è stato lui ad accelerare i tempi quando era Ministro dell’Interno, ma non è vero. E’ tutto scritto nella legge del 1992).
Il Legislatore ha a suo tempo inteso non concedere la cittadinanza automatica a chi nasce in Italia da cittadini stranieri per evitare conflitti con i paesi (di origine dei genitori) che a loro volta concedono la cittadinanza per discendenza e non ammettono la doppia cittadinanza. E per tutelare il fatto che alla base dell’ottenimento della cittadinanza italiana c’è la volontà di ottenerla.

E’ quindi molto sbagliato sostenere che la legge del 1992 è “nata superata”. E’ nata per una precisa volontà politica di tutelare i discendenti di Italiani (negli anni ’80 ci fu un forte movimento di opinione nelle comunità italiane dell’America Latina in questo senso, che fu assolutamente decisivo). Una volontà che il Legislatore ha chiaramente dimostrato con altri provvedimenti: la possibilità di ottenere il riconoscimento della cittadinanza anche ai discendenti di nati nel territorio dell’Impero Austro Ungarico, la decisione di non porre limiti al numero di generazioni che separano il richiedente dalla sua origine italiana (l’unico limite è: se l’avo si è naturalizzato prima del varo della legge del 1912), la possibilità per chi discende da Italiani che hanno rinunciato alla cittadinanza (qui c’è un limite alla seconda generazione) di acquisire la cittadinanza semplicemente risiedendo in Italia per 3 anni.

La prima cosa che tutti (a cominciare dal Presidente della Repubblica e dal Ministro Kyenge) devono fare è quindi una riflessione su questo: vogliamo cambiare lo spirito della legge, che dal 1912 a oggi è rimasto immutato?
Se sì, abbiamo considerato il fatto che con uno ius soli tout court i bimbi che nascono nei campi nomadi o nei centri di accoglienza di confine saranno Italiani a tutti gli effetti, con imprevedibili conseguenze (tipo il diritto di tutta la famiglia a vivere in Italia dall’oggi al domani)? L’Italia non è come gli Stati Uniti. E’ un paese di transito per sua stessa natura geografica.

Quanto al fatto che l’Italia sia arretrata rispetto al resto d’Europa, non è tanto vero.
In Germania i bimbi figli di stranieri nascono tedeschi se uno dei genitori risiede da almeno 8 anni. In Francia un bimbo figlio di stranieri diventa francese a 13 anni o può chiederlo a 16 (in Italia ci sarebbe il dettaglio della volontà, che si può esprimere solo a 18 anni compiuti) ed è obbligato ad avere la cittadinanza francese, se vuole vivere in Francia, a 18. In Gran Bretagna è lo ius sanguinis a essere residuale rispetto allo ius soli, ma la Gran Bretagna era un Impero Coloniale. Ed è (ancora e, presumo, lo sarà per sempre) un’isola.

Credo onestamente che in Italia debba continuare ad essere attribuita la cittadinanza per discendenza, che il principio dello ius soli debba rimanere residuale, ma che vadano accorciati i tempi per l’ottenimento della cittadinanza da parte dei nati in Italia. Ad esempio, un figlio di immigrati in regola e in Italia da almeno 5 anni potrebbe essere considerato regolarmente italiano al conseguimento della licenza elementare. E, una volta compiuti i 18 anni, potrebbe decidere (se questo dovesse confliggere con la cittadinanza del Paese di origine dei genitori) di rinunciare al diritto.
Nel 2010 era pronto (al Senato) un disegno di legge che andava in questa direzione, ma la Lega lo fece naufragare. E anche oggi la Lega (tramite il PDL) avverte che lo ius soli “non ci sarà mai”.

Penso di aver dimostrato che non si tratta di un argomento da discutere al bar, ma che merita una seria riflessione Parlamentare. E un po’ più di prudenza da parte dei Membri dell’Esecutivo, dei Leader Politici e del Presidente della Repubblica stesso.