Il pluto populismo di Trump e la curva di Laffer

ECONOMIA, SCHIROPENSIERO

L’ultimo numero di Affari e Finanza di Repubblica conteneva una lunga intervista all’Economista statunitense Arthur Laffer, uno dei teorici della Reaganomics degli anni ’80 del secolo scorso.
Incidentalmente, poche ore dopo aver letto l’intervista a Laffer, ho trovato sul Financial Times questo pensiero di Martin Wolf: “Trump sta governando più da Repubblicano post reaganiano di quel che ci si aspettava. Il suo è un pluto populismo“.
Sono tornato così all’intervista pubblicata da Affari e Finanza, nella quale si magnificava la cosiddetta curva di Laffer (che trovate in copertina). In poche parole, la curva serve a dimostrare un concetto molto ovvio: che lo Stato introita zero sia se non effettua un prelievo fiscale, sia se preleva tutto il reddito prodotto. Lo si vede chiaramente se si disegna una funzione che ha il prelievo fiscale sull’asse orizzontale e l’aliquota sull’asse verticale.

Arthur Laffer (AP Photo/Reed Saxon)

C’è da dire però che le prime riflessioni sull’argomento non sono certo attribuibili a Laffer (classe 1940), visto che se ne trova traccia nel lavoro del filosofo arabo Ibn Khaldun (13321406) e, in tempi decisamente più moderni, è alla base anche del lavoro di John Maynard Keynes (18331946). Ma la leggenda narra che nel 1974 un giovane Laffer, a pranzo con gli altrettanto giovani Dick Cheney e Donald Rumsfeld (il suo capo in uno staff della Casa Bianca che servì sia sotto Richard Nixon che sotto Gerald Ford) disegnò la curva in questione su un tovagliolo di un ristorante chic di Washington. Al pranzo era presente anche il giornalista Jude Wanniski (19362005), che è poi colui che ha coniato la definizione di curva di Laffer.
Per la cronaca, nell’intervista ad Affari e Finanza Laffer pone il dubbio che l’episodio sia apocrifo. Ma insiste nel dire che la sostanza della teoria è corretta: oltre un certo livello di tassazione, aumentare le tasse crea un effetto contrario a quello desiderato e fa abbassare le entrate dello Stato.

Quello che sorprende (per prima cosa, nelle dichiarazioni di Laffer, ma anche nel non porre domande di Affari e Finanza) è l’assoluta mancanza di un parametro di riferimento. A che aliquota corrisponde il calo di introiti (a causa delle maggiori elusione ed evasione) da parte dello Stato? Perché Laffer è molto carico sulla possibilità che l’Amministrazione Trump tagli ulteriormente le tasse, ma non dice che negli Stati Uniti sono già basse (un milionario paga raramente più del 15% del suo reddito, circa metà dell’aliquota applicata su un reddito da 50.000 euro in Italia). Quindi, un ulteriore taglio (che, nei piani di The Donald, riguarderebbe comunque le tasse a carico delle aziende, non degli individui) non farebbe altro che dare ulteriori vantaggi ai ricchi e ai molto ricchi e cambierebbe poco o nulla per la parte più debole della popolazione.

Non sarei così critico come lo è stato il Premio Nobel Joseph Stiglitz (“la curva di Laffer ha l’unico pregio che ci vogliono 10 minuti per spiegarla al Presidente e gli consente di parlarne con i giornalisti per 6 mesi, ma è solo un’idea scarabocchiata su carta”), ma vorrei sottolineare che la curva di Laffer è molto meno verticale (o ripida, per capirci meglio) di come l’ha disegnata il suo autore. Il calo delle entrate per lo Stato si verifica in corrispondenza di tasse sul reddito che superano il 60% di aliquota. E che nessuno mai ha applicato.
Laffer è un teorico della supply side economics, ovvero la tesi che prevede un sostegno dell’offerta aggregata e non della domanda aggregata nello stimolo dell’economia. L’offerta si sostiene tramite una minore tassazione, mentre la domanda (qualora sia insufficiente) si sostiene (ci dice Keynes, le cui teorie tendono ad essere vere nel breve periodo; non a casa, sosteneva “nel lungo periodo, saremo tutti morti”) con l’intervento dello Stato. Teniamo conto che stiamo parlando di Macroeconomia, quindi di moneta, tassi di interesse, lavoro. Non delle leggi di domanda e offerta in Microeconomia, ovvero il mercato dei beni.
Comunque, appare chiaro che la curva di Laffer è una diretta conseguenza delle supply side economics. Un’altra conseguenza è il concetto di trickle down economy, reso popolare da Reagan e oggi presentato nella sua versione più cialtrona da personaggi come Berlusconi e Briatore: se tagliamo le tasse e i ricchissimi stanno meglio, le conseguenze le avvertite anche voi.

Il pensiero di John Maynard Keynes rappresenta anche oggi un faro

Rudi Dornbusch (Economista di origine tedesca, 19422002) e Stanley Fischer (Economista e Banchiere di origine israeliana, classe 1943, attuale Vice Presidente della Banca Centrale, o Federal Reserve, statunitense), hanno scritto un fortunatissimo manuale di Macroeconomia che si studia anche nelle Università italiane e che negli anni ’80 avvertiva sulla infondatezza concettuale delle teorie di sostegno dell’offerta aggregata . Nessuno ha mai dimostrato che la curva di Laffer e il concetto di trickle down economy hanno un senso scientifico (anzi, per molti sono le classiche idee zombie).
Oggi il più giovane (classe 1954) Dick Startz (Università della California, Santa Barbara) ha curato con Fischer una versione aggiornata del manuale che recita: “I fautori della supply-side economics affermarono che una riduzione delle aliquote fiscali avrebbe costituito un incentivo al lavoro, al risparmio e agli investimenti; di conseguenza, l’offerta aggregata sarebbe cresciuta in modo tale da far diminuire sia il tasso di inflazione sia il tasso di disoccupazione. L’elevata crescita economica avrebbe determinato persino un aumento delle entrate fiscali, nonostante la riduzione delle aliquote d’imposta. Queste previsioni, tuttavia, non si sono avverate: nel lungo periodo una riduzione delle imposte determina un aumento della produzione, ma di entità limitata”.

Prima che qualche 5 Stelle inizi a tormentarmi su Twitter, chiarisco che io non è che stia chiedendo un aumento delle tasse. Voglio solo farvi riflettere sul fatto che chi promette tagli indiscriminati alle tasse non può essere dalla parte dei più deboli.