Nel mondo dei media i profitti si fanno con la qualità

ECONOMIA, MULTI MEDIA, SCHIROPENSIERO

Il mondo dell’informazione è in crisi. O forse no.

Da una parte c’è l’inesorabile calo delle vendite dei quotidiani, che ha addirittura messo in crisi  un colosso come l’editore RCS (Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport, storicamente i più venduti quotidiani italiani). Per dire: il giorno dopo la finale dei Mondiali  di calcio 1982, la Gazza tirò qualcosa come 1.469.043 copie. Si trattò del record assoluto di copie mai stampate da un quotidiano italiano e fu aggiornato il giorno dopo la finale dei Mondiali 2006 con 2.302.808 copie. Ma oggi la tiratura è di 382.880 copie.
La nascita di internet non ha dato alla Gazzetta un vero e proprio valore aggiunto. Questo nonostante il rispettabile numero di 1 milione di visitatori al giorno per il suo sito. Perchè con internet la partita che si gioca sul serio è quella dei contenuti che si riescono a vendere.

Purtroppo in Italia, quando si parla di informazione on line, non si considera mai una cosa: che i nostri organi di informazione sono in Italiano e, quindi, hanno mercato solo in Italia.
Il Financial Times, ad esempio, è uscito tutt’altro che in crisi dalla rivoluzione digitale.
Dice Rob Grimshaw, il responsabile del settore digitale del quotidiano economico in una intervista rilasciata ad Affari e Finanza di Repubblica: “La crescita del digitale non è mai stato un modo per cannibalizzare l’edizione su carta. Ci ha permesso invece di espanderci in nuove aree, come l’Australia o il Canada

Rob Grimshaw
Rob Grimshaw

Che, ovviamente, sono paesi anglofoni. Quindi abitati da consumatori che cercano informazione in Inglese.

Quello della lingua è un limite forse difficile da superare. Ma il limite peggiore è un altro.
Riportiamo ancora quello che dice Grimshaw: “Siamo focalizzati sull’unicità dei contenuti, perchè nel complesso panorama digitale le notizie vengono da tutte le parti. Il valore aggiunto, quello che fa sì che la gente voglia abbonarsi, è la nostra interpretazione e analisi“.
E non a caso, il Financial Times ha un fatturato nel quale gli abbonamenti contribuiscono per più del 50% e la pubblicità solo per il 39%. Nella raccolta della pubblicità gli editori trovano l’immane concorrenza dei Social Network e non a caso Twitter si prepara a sbarcare in borsa con una Initial Public Offering di 1.6 miliardi di dollari. Trasformare informazione che si diffonde a livello globale con un click in profitti è più veloce.

Che il valore aggiunto sia “l’interpretazione e l’analisi” lo dimostra Repubblica, che oggi ha una tiratura di oltre 500.000 copie, dopo aver raggiunto il punto di pareggio con le 180.000 del 1979. Per intenderci: allora stampava la metà delle copie della Gazzetta, adesso quasi il doppio.
Repubblica fa del sito web un punto di forza. Pubblica gli editoriali dei suoi celebrati opinionisti anche nella edizione on line, perchè un portale di informazione lo fanno i contenuti e non i colori della home page (onestamente, la grafica del sito di Repubblica non è memorabile, nemmeno dopo il restyling). Inoltre è coerente con la filosofia dell’editore  e molto presente con le edizioni locali.
Siamo tutti così concentrati sulla tecnologia, ma la vera rivoluzione del terzo millennio è un’altra.
Dice Grimshaw: “Per avere successo nel mondo digitale bisogna tirare giù tutte le barriere e non pensare che l’online riguardi solo una manciata di nerd che smanettano in un angolo della redazione”.

I quotidiani cartacei non sono comunque destinati a sparire. Lo hanno capito i super ricchi della New Economy. Il fondatore di Amazon Jeff Bezos ha comprato il Washington Post (il quotidiano del Watergate, per intenderci). Ma devono fare informazione di qualità, per essere competitivi sul mercato. Non a caso Pierre Omidyar (E-Bay) ha sì deciso di investire in informazione, ma finanziando Glenn Greenwald, celebrato giornalista americano, pluri premiato per la sua indipendenza (sul Guardian pubblicò articoli shock sulle rivelazioni di Edward Snowden), che oggi vive in Brasile per tutelare (lo dice lui) la sua relazione sentimentale con un altro uomo, David Michael Miranda.
Certo, i tycoon della New Economy ragionano in termini di profitti (come scrive David Carr sul New York Times: “Catturare l’attenzione dei consumatori e trasferirla altrove torna utile”; si riferisce ad Apple, che ci ha convinto a scaricare musica in un modo che ci obbliga a comprare gli I-POD o ad Amazon, che quasi regala il lettore Kindle, che però porta a scaricare libri), ma non c’è nulla di male se i profitti si raggiungono facendo giornalismo di qualità.

La lezione che io traggo è che gli organi di informazione italiani per uscire dalla crisi devono investire in giornalismo di qualità, non tagliare redattori per risparmiare.
Lo dico da parte interessata? Anche. Ma non dimentichiamo che un’alta disoccupazione strutturale è, da sempre, il rischio più grosso (anche a livello sociale) di un’economia evoluta. E preoccupiamoci quando sentiamo Daniel Gros, direttore del Centre of European Policy Studies, dire che: “E’ difficile che in Italia siano capaci di creare un sistema libero da corruzione che lavori per risolvere il problema della disoccupazione”.