Le provocazioni di Morrissey

LETTERATURA, MUSICA, SCHIROPENSIERO

Quando giovedì 16 ottobre sono arrivato al teatro LinearCiak di Milano e ho visto il poster del concerto Morrissey, mi sono subito venuti in mente i versi di una sua celebre canzone: “Every day is silent and gray”. La canzone è Everyday is like Sunday, la cosiddetta hit del suo primo album da solista: Viva Hate, pubblicato nel marzo del 1988, a 6 mesi da Strangeways, here we come, cioè l’ultimo disco degli Smiths. Primo in classifica in Inghilterra, disco d’oro, il valore artistico dell’album venne commentato così dallo stesso Morrissey in una intervista: “Ci sono almeno 6 tracce che seppellirei nel più vicino lembo di terra”.

Morrissey e la band all'inizio del concerto
Morrissey e la band all’inizio del concerto

Non Everyday is like Sunday, evidentemente. Durante il concerto di giovedì 16 Morrissey ne ha interpretato una versione strepitosa, molto intensa e molto meno anni ’80 dell’orginale (in cui la batteria è suonata quasi come fosse l’elettronica, la ritmica e la chitarra solista ricordano inevitabilmente i Cure), cantando con grande cuore e assecondando una ritmica martellante, di quelle che non permettono a chi ascolta di stare fermo. E’ stata una caratteristica di tutto il concerto. La suddivisione in posti numerati del teatro (Morrissey: “Ma che bel teatro, immaginate con Pavarotti…) è durata infatti un paio di canzoni, prima che la gente andasse ad accalcarsi sotto il palco per stringere la mano all’idolo e costringesse (a cascata) tutti gli altri ad alzarsi. Saran stati contenti quelli che avevano pagato 80 euro, incluso il comico Antonio Albanese.
Ma tornando a Every day is like Sunday, la cosa bella è che il testo è farneticante in modo clamoroso, visto che parla di una città della costa “che si sono scordati di bombardare” e poi invoca: “Venite, bombe nucleari”.
La poesia (1937) di John Betjeman intitolata Slough inizia con questi versi: “Come friendly bombs and fall on Slough” e prosegue: “Mess up the mess they call a town”.
All’epoca Slough, che è a circa 30 chilometri da Londra, veniva massicciamente industrializzata. Non è, insomma, una noiosa cittadina di mare. Ma Betjeman è uno degli idoli di Morrissey, perchè scriveva di “faces and places” e non di cose astratte e anche per un senso dell’umorismo a volte ai limiti dell’opportuno. E’ comunque probabilissimo che il nostro Slough l’abbia letta.
Di testi farneticanti Morrissey ne ha scritti parecchi. In Margaret on the Guillotine, chiede retoricamente: “Quand’è che muori” e insiste: “Per piacere, muori” e ancora: “Fai che il sogno si avveri”.
Margaret è naturalmente la Thatcher e per questo testo Morrissey è stato interrogato dalla polizia. Episodio di cui ha parlato poi così: “La polizia? Hanno sempre pronti un cappello buffo e un manganello”, rischiando di finire veramente nei casini.
Durante la serata, Morrissey ha anche mostrato una scritta su un muro: “E’ morta Margaret Thatcher. Ah, ah, ah”.
Per proseguire con il suo essere iconoclasta, ad un certo punto Morrissey ha chiesto al pubblico: “Lo sapete che oggi nella vostra città c’è Putin”. Ansimava (cosa che curiosamente non gli capitava cantando…): “Come? No? Eh, invece c’è”.

Indicate le 20 come orario d’inizio, il concerto ha preso il via oltre le 21.30 e non prima di aver proposto una serie di filmati in bianco e nero non sempre evocativi per il pubblico italiano, che a un certo punto era anche piuttosto insofferente. Io ad esempio non ho riconosciuto Brian Eno e ho scambiato la giovanissma Nico per Sandy Shaw (“Certo” ho detto “La voce sembra quella di Nico”), un altro idolo di Morrissey e degli Smiths, con i quali si esibiva agli inizi della loro carriera.
Come tutti, ho riconosciuto la voce di Morrissey sulle note di The bullfighter dies, brano del suo ultimo disco (titolo da lui: World Peace is none of your business) che dice, senza mezzi termini: “Urrà, il torero muore, ma nessuno piange, perchè noi vogliamo che il toro resti vivo”.
Dopo averla cantata a Gazebo sulla RAI, il nostro eroe ci ha aperto concerti in Spagna. Giusto per non scordare di essere molesto.

Un’altra bella osservazione che Morrissey ha regalato durante il concerto è questa: “Io sembro strano, ma anche voi siete particolari”…per essere precisi, ha usato l’aggettivo odd, che idiomaticamente mi verrebbe da tradurre mica tanto a posto “Il che, è bello”. Chissà cosa intendeva….
A ben pensarci, leggendo la sua autobiografia, forse una spiegazione la si può trovare. Morrissey dice di aver amato Patty Smith perchè scriveva dei testi in cui diceva tutto il contrario di quello che una pop star dovrebbe dire per farsi amare.
Il concetto è reso abbastanza bene anche dal suo collega Noel Gallagher: “Qualunque cosa mettiate in un testo per definire il vostro amore o il vostro odio, Morrissey lo fa meglio”.

E’ una gran lettura, l’autobiografia di Morrissey, perchè è scritta in una lingua ricchissima. Certo, lui è più un poeta che uno scrittore, non ha avuto un’istruzione scolastica regolare e la forma non è sempre canonica, ma suggerisce che dietro ci sono tantissime letture. E anche parecchia sofferenza.
Tornando al concetto di dire quel che il pubblico si aspetta, è veramente curioso che una persona che si mette a nudo raccontando di aver sofferto così tanto raccolga così tanta empatia.
Quando ho ascoltato la prima volta gli Smiths (nel 1984) ero un ragazzo a cui non mancava nulla. Però non ero felice. How soon is now dice: “Come fai a dire che vedo sempre le cose nel modo sbagliato? Io sono umano, ho bisogno di essere amato. Come tutti”. Era uno dei miei pezzi favoriti per le serate di meditazione nella mia cameretta (a cui sono tanto affezionato che ho conservato il mobile principale come libreria dello studio nel quale lavoro) che facevano un po’ preoccupare i miei genitori. Giovedì 16 ottobre, quando Morrissey l’ha cantata, mi sono onestamente commosso e ho sorriso. Come scrive Sant’Agostino: “Rievoco le mie passate tristezze senza essere triste”.

Morrissey sul palco del LinearCiak di Milano
Morrissey sul palco del LinearCiak di Milano

Steven Patrick Morrissey è nato nel maggio del 1959, quindi ha 4 anni e qualche mese più di me. Ma la sua cultura musicale è molto antecedente. Io ho iniziato a manifestare la mia passione per la musica pop attorno al 1980, quindi ho dovuto recuperare il Punk e parte della New Wave. Lui tutto questo lo ha vissuto, perchè a leggere la sua biografia si direbbe che la musica fosse la sua unica ragione per vivere e per dimenticare l’incubo di una scuola gestita da professori che erano “ragazzi degli anni ’20” e violenti. Le New York Dolls, per dire, io le ho scoperte solo dopo aver per caso ascoltato un disco del loro leader David Johansen. Lui sa persino che Rita Pavone ha cantato la versione italiana di Reach out I’ll be there.
Non c’è solo questo di diverso, tra me e Morrissey. Io non ho avuto insegnanti che mi perseguitavano, sono sempre stato circondato da amici, i miei genitori non mi hanno fatto mancare nulla. Forse non gli sarei neanche simpatico.

L’ultima canzone del concerto è stata Meat is Murder, il suo inno a non cibarsi di animali: “La carne che cuoci a puntino, non è succulenta o appetitosa, è morte senza ragione”. Il testo si chiede: “Sapete come muoiono gli animali?”. Durante il concerto, Morrissey lo spiega con immagini onestamente raccapriccianti di vitelli strappati alle madri e abbattuti con botte in testa, maiali sgozzati e appesi a testa in giù, polli e tacchini privati del becco per stivarli meglio prima di macellarli.
Dopo Meat is Murder, Morrissey e il gruppo tornano sul palco per una sola canzone: One day goodbye will be farewell: “Sono una bestia selvaggia e quando muoio voglio andare all’inferno. Un giorno ciao vorrà dire addio. Prendetemi finchè potete. Ciao”.
Raccolto un libro, qualche lettera, fiori dai fan, Morrissey se ne va. Si spengono le luci, i roadie iniziano a smontare e dagli altoparlanti si sente una voce di soprano pronunciare un “Ricordatemi” tutto sommato lugubre, per chi sa che Morrissey (a ben pensarci, a un certo punto del concerto se ne era uscito con un sorprendente: “Dite la verità, lo sapete?”) sta curando il cancro.

La gente è delusa. “Non lo vengo più a vedere” dice un ragazzo a un amico “Neanche un’ora e mezza di concerto”.
Ma Morrissey è così: lui non fa quello che ci si aspetta da una pop star.