Le prime 3 “cartoline” dal World Baseball Classic 2009

BASEBALL, World Baseball Classic 2009

Inizio la pubblicazione delle Cartoline dal World Baseball Classic del 2009. In questa prima parte trovate 3 pezzi su un totale degli 11 che avevo a suo tempo scritto per il sito FIBS.
Siamo all’inizio di un anno particolare per la FIBS, tutta tesa verso l’evento dell’anno: il Mondiale IBAF, che vedrà disputare in Italia le partite decisive.
Come potrete verificare, ormai mi sono arreso al riguardo della polemica sui cosiddetti oriundi. Oltretutto dipingo uno scenario fosco al riguardo del trattamento che il nostro Paese riserva ai nuovi italiani, che purtroppo nel giro di pochi anni si rivelerà anche esagerato, ma per difetto.
Prima di iniziare, sottolineo che al seguito della delegazione italiana ci sono diversi giornalisti (tutti ospiti) e alla luce di questo vi sembrerà privo di logica l’attacco della prima Cartolina. Ma una logica quello che ho scritto ce l’aveva e ce l’ha. Ci sarà tempo per tornarci su….

5 marzo- Perché certi oriundi sono meno oriundi di altri

La stampa sportiva, a cominciare dalla Gazzetta dello Sport, snobberà anche questo World Baseball Classic. Ormai è chiaro. Anche se non è per niente chiaro il perchè.
Il World Baseball Classic è un evento che si piazza tra i primissimi del panorama internazionale degli sport di squadra e si gioca in 2 Continenti diversi (America e Asia) coinvolgendo gli stadi di 3 paesi (Stati Uniti, Messico e Giappone). La prima edizione ha avuto oltre 750.000 spettatori paganti (la prima edizione del Mondiale di rugby, giocata nel 1987 in Nuova Zelanda, ne ebbe 600.000). Al torneo partecipa l’Italia, che probabilmente non sarà tra le protagoniste principali. Esattamente come accade all’Italia del rugby, che in nessuna edizione del Mondiale ha mai superato il primo turno e in nessuna edizione del Sei Nazioni ha mai vinto più di una partita. 

Qualcuno (eufemismo: è più onesto dire quasi tutti) ricorderà la polemica relativa alla prima edizione. La Gazza attaccò duramente la FIBS per aver allestito una squadra con molti atleti nati in America e che poco o nulla avevano a che fare con il nostro baseball. Visto che ormai da tempo ho perso la personale battaglia che puntava a considerare tutti uguali i cittadini italiani (l’ho persa io e, apparentemente, la stiamo perdendo tutti, basta guardarsi intorno nel nostro Paese per capirlo…ma questa considerazione con il baseball non c’entra), eviterò di perdere tempo su questo. Ma mi farò aiutare dal rugby e dal calcio per farmi capire.

Sergio Parisse è un gran bel ragazzo di 26 anni scarsi, fidanzato con una gran bella ragazza di 22 anni (Alexandra Rosenfeld, Miss Francia 2006). Di mestiere fa il capitano della nazionale di rugby. Vive a Parigi, perchè gioca nello Stade Française. E’ nato in un posto che si chiama La Plata e che è in Argentina, dove ha anche imparato a giocare a rugby. Parisse è cittadino italiano.
Sulla cittadinanza mi lascia qualche dubbio in più Luke Mc Lean, 21 anni, che la Gazzetta dello Sport (proprio il giornale della “maglia azzurra in leasing”) presenta nell’edizione di sabato 14 febbraio con un titolone che recita: “Lo manda la bisnonna”. Scrive Andrea Buongiovanni che: “Senza la signora Elsa questa storia non avrebbe nè un principio nè una fine”. La Signora Elsa sarebbe la bisnonna, appunto. Ma se Mc Lean è nato nel 1987, si stima che la bisnonna possa avere avuto la di lui nonna (o il nonno) verso la metà o la fine degli anni ’30. Ergo: non ha potuto generare un figlio o una figlia italiani, perchè le donne secondo la legge Italiana non avevano diritto a trasmettere la cittadinanza fino al primo gennaio 1948. Per altro, più correttamente in altra parte dell’articolo il giornalista del foglio rosa si riferisce a Mc Lean come “l’australiano”.
Sia chiaro, non ce l’ho con il rugby. Quello sport l’ho anche praticato (per quanto in quella che si può definire un’altra epoca tecnica) divertendomi. Ma sto cercando di capire perchè Mc Lean e Parisse vanno bene mentre, che so, Santora e Catalanotto no.

Amauri Carvalho de Oliveira è a sua volta un bel ragazzo. Di mestiere fa il centravanti della Juventus ed è nato in un posto che si chiama Carapicuiba e si trova nello Stato di San Paolo in Brasile. Amauri, nel nostro ragionamento, si inserisce come il vero paradosso. Perchè a lui riesce il capolavoro di non esser per niente di origine italiana, ma di aspirare alla maglia azzurra grazie alla moglie. Che a sua volta non è nata e cresciuta in Italia. Insomma, Amauri ha la moglie (Cynthia) oriunda e la signora ha ricevuto la cittadinanza il 3 marzo del 2009. Se tanto mi da tanto, Carvalho de Oliveira riceverà la sua cittadinanza il 3 agosto del 2009 (il procedimento di naturalizzazione di chi acquisisce la cittadinanza italiana per matrimonio dura dai 6 mesi ai 3 anni se siete povericristi, ma per un calciatore credo che ragionevolmente ci vorranno 6 mesi e qualche minuto). A quel punto potrà giocare per la nazionale italiana. Se nel frattempo non lo avrà convocato il Brasile, ovviamente.
Riassumendo, è circa un anno e mezzo che si parla di far giocare nella nazionale Campione del Mondo (titolo, detto tra noi, conquistato con il nostro bell’oriundino, Mauro Camoranesi, all’ala destra) uno che ha la moglie oriunda. E nel dibattito si sono sentite voci inquietanti di miei colleghi giornalisti dichiarare amenità come: “Ma dateglielo, ‘sto passaporto”.
Sia chiaro, non ce l’ho con il calcio. A quello sport ho iniziato a giocare prima di camminare e ne sono anche oggi molto appassionato, anche se mi dedico con più energia al Fantacalcio (sia detto per onore di cronaca, ho conquistato il primo posto nella mia Lega….) che a dare calci ad un pallone vero e proprio. Ma sto cercando di capire perchè sulla tiritera di Amauri nessuno si indigna (a parte quelli che si stupiscono del fatto che il giovanotto darebbe priorità ad una chiamata della nazionale brasiliana, rispetto a quella di Lippi Marcello da Viareggio) e se la FIBS spende qualche centinaio di euro per aiutare Giovanni Carrara a completare il riconoscimento della sua cittadinanza italiana si sente ululare alla luna.

Lo devo dire forte: perchè ci sono oriundi più oriundi di altri?
Una risposta, per la verità, me la sono data mentre cercavo qualche dato anagrafico su Parisse e Amauri. Trastullandomi sul web, mi è capitata sotto il naso una pagina di Wikipedia che conteneva un link a una petizione on line sulla necessità di mandare una squadra composta interamente di italiani veri al Classic. Di sfuggita, scriverò che in totale hanno firmato 215 persone, alcune più di una volta e 33 di queste le conosco personalmente. Ma questo non c’entra con il mio ragionamento.
Quello che volevo dire è che nè il rugby nè il calcio soffrono di questo pernicioso masochismo.

Il vero problema del basebal italiano non sono gli oriundi, gli italiani che lo sono di nascita o dopo 6 anni che giocano in Italia. Non sono le differenti gestioni federali o gli Addetti Stampa presuntuosi. Il vero problema del baseball sono quelli che non hanno ancora capito che stiamo parlando di uno sport, di un gioco. E non di un terreno di rivalsa personale.
Per fortuna non sono tanti. Un 215, ad occhio e croce.

7 marzo- Quanta attesa a Toronto per l’avvio del World Baseball Classic

Sul fatto che a Toronto ci fosse un clima curiosamente mediterraneo (mi riferisco a un articolo che avevo scritto per un’altra sezione del sito FIBS), l’unica cosa che avevo detto bene era il curiosamente.
Oggi al risveglio mi ha accolto una giornata bigia e per quando sono arrivato a Rogers Center (un bel 4 ore prima dell’inizio di Canada-Stati Uniti, nella miglior tradizione dei tempi del cronista itinerante; l’esterno dello stadio di Toronto è nella foto di copertina) una pioggerellina sottile e gelida si è incaricata di completare il quadro.
Stretto nel mio giubbotto, ho guardato con una certa apprensione un gruppo di ragazzi canadesi, che si aggiravano con occhi sbarrati e foglie d’acero rosse dipinte ovunque per la zona dello stadio. Se il loto intento era farsi fotografare, l’azione ha avuto grande successo, perchè tutti i passanti (io compreso, come vedete sotto) li hanno voluti documentare.

Il freddo per un tifoso canadese di baseball è un concetto relativo

All’interno di Rogers Center ovviamente non piove. Il tetto è rigorosamente chiuso e non penso avremo la soddisfazione di vederlo aprirsi, durante questa permanenza. Qui sono ricreate le condizioni perfette per giocare a baseball: il terreno non ha irregolarità, non c’è vento, la temperatura è perfetta. Nonostante tutta questa perfezione, sto contando in questo momento qualcosa come 13 addetti che sistemano quel che, in verità, non sembra abbia bisogno di essere sistemato. Attorno alle basi ci sono piazzole di terra rossa (servono per facilitare le scivolate) e gli addetti si stanno occupando di livellarle al punto da renderle omogenee con l’erba artificiale e con il turf color mattone che delimita il warning track. La terra rossa è talmente perfetta, che ieri ci sono andato a mettere un piede per vedere se era veramente terra rossa.
L’unica cosa sinceramente imperfetta riguarda la scelta di abbigliamento per venire dal nostro albergo allo stadio. O ci si rassegna ad avere freddo durante il trasferimento, o ci si prepara ad avere caldo durante la partita.

Per la sfida tra Canada e Stati Uniti sono attese 40.000 persone. Le code erano già consistenti verso mezzogiorno e in tutta la zona dello stadio si aggiravano i soliti scalp, quelli che vi si presentano dicendo che acquistano biglietti e in realtà ne vogliono vendere.
I prezzi, per altro, non sono esattamente popolari. Quindi ho qualche dubbio che per quelli che nel calcio italiano degli anni ’70 si chiamavano bagarini ci sia spazio per affari particolari.

Nella serata di venerdì le squadre hanno partecipato al ricevimento ufficiale offerto dal World Baseball Classic Inc. Ad un certo punto si è fatto vedere anche Derek Jeter, presenza piuttosto emozionante anche per molti dei giocatori che questo Classic si preparano a viverlo da protagonisti. Il capitano degli Yankees ha fatto impazzire per un po’ i flash e poi si è ritirato in buon ordine. Il Classic è anche questo.
Non so se qualcuno ha mai provato questa sensazione, ma voglio confessare che i giocatori di baseball in borghese non assomigliano ai giocatori di baseball in divisa. Innanzi tutto, sembrano più giovani. E poi sembrano enormi. Al contrario dei calciatori, che di persona mi sono sempre sembrati piccoli di statura, questi sono tutti giganti che mi guardano dritto negli occhi. E che in alcuni casi sembrano divertirsi, esattamente come capita a me.

Devo chiudere questa Cartolina prima di iniziare a concentrarmi su cosa farà l’Italia nella sua gara d’esordio contro il Venezuela. Penso che, se anche ne avessi avuto le qualità atletiche, mai sarei riuscito ad essere un atleta di primo piano proprio per l’ansia anticipatoria che mi prende prima degli eventi importanti. Mi faccio tutti i miei scenari, immagino tutte le possibili conclusioni della vicenda, con la consapevolezza che, quasi di sicuro, quello che non ho immaginato succederà. Poi, per raccontarvela, torno razionale. Garantito.

8 marzo- Ma perché secondo i venezuelani Magglio Ordonez fa schifo?

A disagio per le sonore bordate di fischi che il pubblico venezuelano riservava a Magglio Ordonez, mi sono rivolto al mio collega venezuelano (gli addetti stampa delle nazionali sono seduti a fianco, nelle tribune stampa americane) e gli ho chiesto perchè. Per la verità, mi è bastato mostrare uno sguardo interrogativo e lui mi ha detto di un fiato: “E’ per quella foto a fianco del Presidente Chavez“.
Chavez? Hugo Chavez detto Loco (da uno strepitoso personaggio di fumetti argentino)? Quello che  ha trovato la maniera di essere in carica per sempre? Gli ho chiesto io. E lui ha abbassato lo sguardo e ha detto sottovoce: “Sai, noi venezuelani non amiamo le regole. E uno che si fa le regole da solo, per forza diventa popolare”.
Lo ammetterò: queste cose possono succedere anche altrove, quando si tratta di eleggere capi del governo (minuscolo…) unti del signore. Ma non è questo il punto.
Non era una specie di idolo, Chavez in Venezuela? “Non tra i venezuelani che vivono in Nord America”. Che qui a Toronto, sembrano un po’ come i cubani di Miami.

Il mio collega venezuelano mi ha anche fatto familiarizzare con un commovente forum che si chiama Magglio Ordonez Sucks, ovvero (più o meno) “Magglio Ordonez fa schifo”. In questo forum è richiesto di spiegare perchè fa schifo, con una precisazione: non inserire commenti inappropriati. Non saprei onestamente quale commento più inappropriato si potrebbe trovare rispetto a “Fa schifo”, detto di un giocatore che ha una media vita in Grande Lega (con White Sox e Tigers) di .312 (in oltre 1500 partite), condita da 262 homer. Secondo gli scout, Ordonez vale 83 come potenza e 82 come contatto. In una scala che arriva fino a 90 e nella quale la media del giocatori di Major è 50.
Particolarmente significativa, mi riferisco al forum, è la sezione “Magglio Ordonez ha una fidanzata?”, nella quale si chiede ai visitatori di dichiarare se sarebbero disposti a portarlo fuori.
Come fa il nostro Magglio da Caracas (classe 1974) a sopportare tutto questo odio nei suoi confronti? Credo che gli 86 milioni di dollari (abbondanti) che ha guadagnato fin qui in carriera (un bel 15.7 lo scorso anno, cifra che lo piazza al posto numero 15 dei più ricchi della American League) in questo senso siano un bell’aiuto.

Magglio comunque è finito al piatto contro Alessandro Maestri, che gli ha lanciato un’aspirina di 95 miglia all’ora per chiudere il quinto inning della sfida tra Italia e Venezuela. Un inning che è stato decisivo e che ha tolto all’Italia l’illusione (accarezzata per 4 riprese) di poter essere la seconda sorpresa della giornata. Doloroso. Come se per altro non fosse già stato abbastanza doloroso (ammettiamolo, che facciamo prima…) vedere che la prima sorpresa del giorno era stata l’Olanda. Alla quale faccio (a denti stretti) i miei più sportivi complimenti. O meglio, c’è il mio lato politically correct che mi sta forzando a dire così. Ma l’altro aspetto della mia personalità mi dice che l’Olanda posso anche stimarla, ma esultare quando compie un’impresa sarebbe davvero esagerato. Specie dopo la telefonata che ho ricevuto oggi: “La differenza tra voi e l’Olanda è che loro, quando hanno l’occasione per segnare, la sfruttano”. Amen.

Lo splendido colpo d’occhio offerto da Rogers Centre per Canada-Stati Uniti

Oggi che non gioca l’Italia, sono 2 le attrattive della zona che furoreggiano (a parte i soliti mall, ovvero i centri commerciali, nei quali gli italiani in trasferta si impegnano a rilanciare i consumi di qualsiasi paese visitino): la partita dei Raptors nella NBA di basket e le Cascate del Niagara, che si trovano a poco più di un’ora di strada, esattamente al confine tra l’Ontario e lo Stato di New York. Niagara Falls è infatti un’amena cittadina divisa tra 2 nazioni: Canada e Stati Uniti.
Personalmente, a parte che come vedete sono parecchio impegnato con voi, trovo la pallacanestro di oggi noiosa (diverso era per quella in cui l’Ignis Varese aveva in squadra Manuel Raga prima e Bob Morse poi e le telecronache le faceva Pietro Giordani…è proprio vero che la mia generazione è l’ultima ad avere ricordi in bianco e nero…) e alle Cascate sono stato diverse volte. E tutte le volte mi sono bagnato abbastanza da capire che il clima attuale non incoraggia la gita.

A proposito, i canadesi sostengono che il clima di questi giorni è “primaverile”. E spero che non ci credano troppo e lascino ancora il tetto di Rogers Center chiuso.
Anche perchè, dopo gli oltre 40.000 spettatori della partita tra Stati Uniti e Canada, qui sono tutti a tal punto carichi che il Toronto Star ha scritto che “un pubblico così entusiasta a Toronto non lo si vedeva dalla World Series del 1993“. Che come complimento, per il World Baseball Classic, non è davvero male.

Anche alle Cascate del Niagara ho ambientato una parte del mio romanzo Non vuol dire dimenticare. Parlando invece di Hugo Chavez, mi viene in mente la disapprovazione (eufemismo) che qualche giocatore venezuelano che milita in Italia espresse su un articolo di questo sito nel quale lo apostrofavo come fascista. Anche se è morto, non ho cambiato idea.

1-CONTINUA

2 thoughts on “Le prime 3 “cartoline” dal World Baseball Classic 2009

  1. I quotidiani (diciamo) generalisti ormai da anni non seguono gli sport cosiddetti minori con degli inviati. Qualche timido tentativo c’è stato con il Corriere al Classic 2013, ma hanno scritto pezzi di costume. Le regole di base del baseball sono meno difficili di quello che si potrebbe pensare. Ci penso su, se può essere il caso di pubblicare qualcosa al riguardo

  2. Non conoscevo il baseball. Io leggo molto i quotidiani, ma non ho mai visto articoli di baseball. Le faccio i complimenti perchè qui lei descrive il baseball in un modo tale che anche un neofita si possa avvicinare con curiosità. Cosa che non ho mai visto fare su nessun quotidiano (io leggo Libero, Corriere della Sera e La Repubblica) e questo non è un particolare di poco conto perchè immagino che queste testate possano essere state presenti con degli inviati e mi chiedo perchè hanno speso soldi per mandare inviati che poi non hanno scritto niente. Oppure si sono appoggiati ai loro corrispondenti che hanno presenziato e non hanno scritto nessun pezzo perchè non è successo niente di particolare degno di nota per i giornali italiani perchè forse speravano in una, chiamiamola “carrambata” dove gli americani potevano ricordare il nostro Joe Di Maggio?
    Magari ho scritto delle vere idiozie, ma io ho scoperto adesso questo sport leggendo i suoi racconti. Magari prossimamente potrebbe anche spiegare un po’ le regole, perchè io sono sempre stato un po’ diffidente perchè ce ne sono tantissime.
    Grazie!

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