La scuola italiana di baseball ha fatto il salto di qualità

BASEBALL, SCHIROPENSIERO, SPORT

Se si eccettua l’edizione inaugurale del 1954, l’Italia ha vinto il primo Europeo di baseball della sua storia nel 1975. Quella nazionale era formata in gran parte da giocatori di doppio passaporto, i cosiddetti oriundi. Grande protagonista in quella nazionale fu il lanciatore della Roma Fred Martone, che era al suo secondo e ultimo anno in Italia e disputò una stagione strepitosa (12 partite complete, media punti guadagnati di poco superiore a 1). Era un gran periodo, per la nostra nazionale. Vinse nel 1977 in Olanda (il ‘De Telegraaf’, commentando la vittoria di Rick Landucci nella finale, scrisse: “Un misterioso italiano ha fregato gli arancioni”) e vinse nel 1979 aTecnici e atleti al lavoro sul campo dell'Accademia FIBS Trieste. Sconfitta nel 1981, la nazionale azzurra tornò al successo nel 1983 a Grosseto. C’erano molti giocatori di doppio passaporto, ma anche qualcuno che ne aveva uno solo. Come Roberto Bianchi, che colpì il fuoricampo che chiuse l’Europeo con una vittoria azzurra per 1-0, giustamente celebrata ma forse un po’ troppo enfatizzata: il titolo si assegnava con una serie al meglio delle 3 vittorie e l’Italia, prima della partita, conduceva 2-0. Un passaporto solo aveva anche Pete Rovezzi, prima base azzurro: quello americano. Nel 1984 sarebbe scoppiato il caso in Italia, ma non andiamo oltre, nel rivangare quel brutto episodio.
Dal 1985, l’Italia ha giocato con atleti solo di scuola italiana. Proposito al quale l’allora Presidente della FIBS Aldo Notari venne meno nel 1999, dichiarando che doveva farlo per la sentenza Bosman. Il bello è che ci fu anche qualcuno che ci credette. In verità, era stato il CONI a informare le Federazioni che non era legittimo escludere dalle nazionali cittadini italiani, qualunque fosse la modalità di acquisizione della cittadinanza (discendenza, naturalizzazione, matrimonio).
Contando solo sugli atleti di scuola italiana, dal 1985 al 1997 la nostra nazionale di baseball ha vinto 3 Europei: 1989, 1991 e 1997. Come è noto, l’ultima vittoria (2010) è arrivata con diversi giocatori di scuola americana in rosa.

Riassumendo, negli ultimi 40 anni l’Italia ha vinto l’Europeo 8 volte (1975, ’77, ’79, ’83, ’89, ’91, ’97, 2010) e in 5 casi aveva giocatori di doppio passaporto in squadra. In queste vittorie non è compreso il Mondiale del 1986, che fu comunque il miglior torneo giocato dalla nostra nazionale, superato solo dalla strepitosa Coppa Intercontinentale 2010. E fu l’esaltazione di quella generazione di giocatori nati sul finire degli anni ’50 o negli anni ’60, ovvero la celebre generazione del Club Italia di Bruno Beneck. Trinci in prima; Fochi, Messori e Poma ad alternarsi al centro del diamante; Costa e Bagialemani a giocarsi il posto di terza base; Manzini, Mazzieri e Carelli agli esterni; Bianchi e Gambuti ad alternarsi come catcher e battitore designato. Una grande squadra. Formidabile in battuta, abbastanza buona in difesa. Forse, non così brillante in pedana. Quella nazionale aveva 2 lanciatori partenti di primo piano (Ceccaroli e Cretis) e un terzo che di primo piano era, ma non sempre era utilizzato come pitcher, almeno non in via esclusiva. Parliamo di Fochi. Altri lanciatori hanno avuto buoni momenti (Radaelli, De Sanctis, Mari, Doninelli, Taglienti) ma è difficile sostenere che fossero pitcher di livello internazionale. Cabalisti è di quella generazione, ma in nazionale abbiamo iniziato a vederlo nel 1988. Massimiliano Masin è nato verso la fine degli anni ’60, ma il suo arrivo sul palcoscenico è più relativo agli anni ’90. Anni nei quali i pitcher di scuola italiana davvero scarseggiavano. Betto, Carbini, Salsi e pochi altri. Corradini è spuntato dalla A2 quando era più vicino ai 30 anni che ai 20.

La regola degli Under 23 in campo fu una delle scelte più disgraziate di Aldo Notari. Escluse una generazione di giocatori over 23 dalle scelte dei club principali e obbligò i migliori lanciatori in età (il caso più eclatante fu Torri del Rimini) a fare gli straordinari per garantire la vittoria alle loro squadre. Risultato: produsse poco e niente. Così come poco aveva prodotto la regola degli Under 18 applicata nel 1975 e 1976 da Bruno Beneck. I lanciatori Under 18 delle squadre principali si chiamavano Matteucci (Bologna), Manzini (Parma), Cianfriglia (Roma in prestito da Nettuno), Trinci (Nettuno), Schirripa (Rimini). Non uno di questi è uscito con il braccio sano dall’esperienza. Subito dopo si fece strada Alessandro Cappuccini, che per longevità è stato la classica eccezione che conferma la regola.

Trasalgo un po’, quindi, quando mi si dice che una volta il baseball italiano produceva molti lanciatori. Perchè ne produce molti di più oggi. Guardiamo ai nati negli anni ’80 che sono arrivati ad essere protagonisti ai massimi livelli: De Santis (Grosseto), Bazzarini (Bologna), Costantini (Nettuno), Nava (Modena), Maestri (arrivato al Doppio A negli USA), D’Angelo (4 anni in un College di prima divisione in USA), Panerati (ha giocato pro).

Oggi sulla scuola italiana e sulla formazione degli atleti nel baseball italiano c’è un progetto, come non c’è mai stato. C’è l’Accademia (tra gli alumni, una quarantina di giocatori che hanno esordito nel massimo campionato o hanno firmato contratti professionistici), che ha superato di slancio l’esperienza del Club Italia (atleti residenti, non stage invernali), c’è l’atleta al centro della politica federale. Non a caso, con la Presidenza Fraccari i migliori giocatori sono stati incoraggiati a scegliere l’esperienza americana, mentre negli anni ’80 sui migliori giocatori veniva fatta pressione per evitare che andassero a giocare in America. Non a caso la Major League sull’Italia investe, mentre nel secolo scorso dall’Italia stava lontana.

La differenza tra cosa eravano e cosa siamo oggi è così lampante, che non voglio davvero aggiungere altro.