Inizia la pubblicazione dei Diari del 2002

Diario di un cronista itinerante, FICTION E PROGETTI EDITORIALI

Dopo aver firmato il contratto con la FIBS, a inizio 2002 ero fermamente convinto di poter continuare a essere il punto di riferimento editoriale di Baseball.it e di avere un consenso quasi totale tra gli appassionati di baseball.
La realtà, sarà molto più amara. Era convinzione ferma di Alessandro Labanti che la redazione non potesse avere la stessa guida dell’Ufficio Stampa FIBS. Cosa che dal punto di vista formale è comprensibile. Ma non capivo allora, e faccio fatica a capirlo adesso, come mai Labo non si fidasse della mia capacità di portare avanti entrambi i ruoli.
Devo dire che trovo già più comprensibile che gli esclusi dalla stanza dei bottoni ce l’avessero con me, che ero la classica sorpresa dell’ultimo minuto. Anche se ho visto atteggiamenti a quel tempo di cui certe persone spero poi si siano vergognate.
L’espressione la stanza dei bottoni appartiene a un post sul Forum di Baseball.it. Creatura che imparerete a conoscere con i prossimi Diari.
Intanto, cominciamo con lo Spring Training della nazionale in Florida. E’ il primo a cui ho preso parte

5 aprile a Port St. Lucie, Florida

Considerate le condizioni mentali precarie in cui mi trovo, credo che scriverò un Diario molto divertente. O molto strano. Adesso vediamo.
Premesso questo, vi dico che mi sto chiedendo se sono morto e sono arrivato in Paradiso. Questa mattina, quando ho letto “benvenuti alla struttura di allenamento dei Mets di New York” non ci volevo credere. Ma sta accadendo proprio a me, tutto questo?
Non so voi che sogno avevate da bambini. Se fare l’astronauta o il cardio chirurgo tipo Barnard; se dare un appuntamento a Marilyn Monroe o giocare con Gianni Rivera. Io avevo questo: entrare nel Camp di allenamento di una squadra di Major League. Sono un ragazzo fortunato, mi sa.
Il nostro viaggio verso gli Stati Uniti è iniziato di buon mattino da Parma. Oddio, buono non è il termine più giusto per definire il mio mattino, visto che ho spento la sveglia (puntata sulle 5.40) e mi sono risvegliato alle 6.12, con appuntamento alle 6.30 per la partenza. Con il Capo Delegazione Cancelli avevo anche fatto il brillante: “Mi troverete a bere il cappuccino alle 6 e un quarto”. Ah, Ah.
Vestito con la tuta della nazionale, mi sono per altro piaciuto molto. Peccato che, appena salito sul pullman, l’istruttore del Cus Parma Butch Hughes (che è venuto a Malpensa con noi, ma non mi sono sinceramente preoccupato di scoprire a fare cosa) mi abbia apostrofato con un: “Mi ricordo di te…ma non eri più magro, una volta ?”. Buongiorno.
La comitiva azzurra suscita ben poca curiosità in Italia. Ci guardano un po’, ma non c’è uno che chieda chi siamo. In compenso, appena saliti sul volo Continental per Newark, iniziano a scatenarsi gli americani. Che restano per altro delusi ad apprendere che non siamo una squadra di calcio. La domanda più frequente è: “Ah, si gioca a baseball in Italia?”
Da viaggiatore esperto ho trascinato buona parte del gruppo a sbagliare completamente le schede di immigrazione. A Newark l’addetta voleva uccidermi, quando ne ha dovuta correggere una decina. Il meglio di me, però, lo stavo dando facendo “dimenticare” alla comitiva le valigie.
“Come, c’è scritto sul biglietto che vanno dirette a West Palm Beach”. E l’addetto alla sicurezza a insistere che la normativa era cambiata, i viaggiatori in transito dovevano riconoscerle. Ho fatto una figura talmente brillante, che mi ha chiesto se parlavo spagnolo.
In effetti, è necessario riconoscere i bagagli. I controlli di sicurezza sono pressanti, negli aeroporti statunitensi. All’imbarco per il volo diretto in FLorida un’addetta mi ha controllato con tanto di metal detector manuale. Mi ha fin fatto togliere le scarpe. “Sai, ho scelto te perchè eri il più alto”. Splendida tecnica, cara mia.
Ci siamo imbattuti in diverse pattuglie di militari in assetto di guerra. Poi, dalle vetrate dell’aeroporto, abbiamo visto New York City in lontananza. Cosa posso dire, se non che la Grande Mela oggi ha un aspetto diverso dall’ultima volta che l’ho vista? Sembra una foto degli anni ’30. Una tristezza, però, il fatto che l’Empire State Building sia tornato il palazzo più alto…
In aereo, finalmente, è successo. Il mio vicino di posto mi ha chiesto in che ruolo gioco.
“No…eh, eh, eh…io sono un giornalista, non gioco. Sa, l’età”.
A fianco a me si è seduta una signora che è americana ma risiede in Norvegia. Incredibilmente, nell’arco del volo per West Palm Beach, siamo riusciti a raccontarci le rispettive vite. “Ships that passed in the night”, direbbero i miei amici inglesi. Tanta confidenza e, presumibilmente, è la prima e ultima volta che ci siamo visti. Curioso, viaggiare in aereo. Oltre alle distanze chilometriche, sembra ridurre quelle tra le persone.
Un temporale ci ha fatto ritardare. Dopo lungo dibattito, abbiamo riconosciuto che gli Stati Uniti non hanno ancora l’ora legale. Quindi, siamo 7 ore indietro e la giornata è lunghissima.
Siamo arrivati a West Palm Beach alle 8 di sera. Ovvero, per noi le 3 del mattino. Senza paura, l’obbiettivo delle 24 ore di veglia diventa possibile.
Ad accoglierci abbiamo trovato John Di Mola, sangue napoletano nelle vene, il presidente della loggia dei Figli dell’Italia di Stuart, la cittadina che ci ospiterà.
La comunità italo americana attende la visita degli azzurri con molta curiosità. Non è così facile crederlo, ma per loro il nostro paese è davvero la Madre Patria, l’origine, la culla della loro famiglia.
John ha tanta buona volontà, ma avere a che fare con noi (stanchi e un po’ diffidenti) non è facile. Oltretutto, il pullman che ci deve portare all’albergo è quanto meno curioso. Dotato di impianto ad alta fedeltà, è accessoriato con luci psichedeliche e quant’altro. “Cos’è, lo usano per i festini?” chiede qualcuno. E iniziamo a ridere.
La mia giornata non può finire prima delle 23.30 locali. Ovvero mattina inoltrata in Italia. Ho doppiato il capo delle 24 ore, così il mio letto King Size mi sembra il massimo dono che potrei chiedere se avessi a disposizione la Lampada di Aladino….

Saltiamo qualche giorno e arriviamo al 10 aprile per la seconda parte della permanenza a Stuart, in Florida. Allora un Camp di allenamento di una squadra Major League non lo aveva mai raccontato nessuno, giorno dopo giorno. In questi diari emerge il tifoso, l’appassionato a contatto con i suoi eroi. Ad esempio, nell’intervista a Howard Johnson. Noterete che all’epoca in campo c’erano ancora i Montreal Expos, squadra che oggi si è trasferita a Washington e si chiama Nationals (Washington aveva avuto i Senators fino al 1960, ma la Franchigia si trasferì a Minneapolis per divenire i Minnesota Twins). Il 2002 non è un anno di trionfi per la MLB: i 71 milioni di spettatori paganti di oggi sono ancora lontani, tanto che il Commissioner Selig parla di ridurre le squadre

10 aprile- Lazorko, il vecchio amico

La torta preparataci dai Sons of Italy a Stuart nel 2002
La torta preparataci dai Sons of Italy a Stuart nel 2002

“Mi raccomando di citarmi nei tuoi articoli” mi ha appena detto Jack Lazorko, ex lanciatore Campione d’Italia e d’Europa con il Parma “Così i miei amici italiani sapranno che vi sono venuto a trovare”. Lazorko è in visita a Claudio Corradi, suo amico fraterno ai tempi della permanenza italiana. Sono passati 10 anni tondi, ma Jack non è cambiato per niente. Solito fisico da bull dog, solito sorriso moderatamente sfrontato e solite battute fulminanti. Appena mi ha incrociato alle 9 di mattina mi ha squadrato ben bene e poi se ne è uscito con un significativo: “Dormi, alla notte…”.
Evidentemente sono i giorni dell’amarcord. Ieri a seguire la sfida contro i giocatori di Minor dei Mets c’era l’ex azzurro Daniel Di Pace. Reduce dallo Spring Training con Detroit, Pacione (come lo chiamavano in squadra) giocherà nella Northern League, ma mi ha confessato che il suo obbiettivo è tornare in Italia al più presto.
Ieri è successa una cosa veramente stranissima. Sul 4-3 per la formazione dei Mets, con Pantaleoni in battuta e 2 uomini in base, il manager di New York Howard Johnson ha notato che il suo lanciatore era in difficoltà. Gli ha parlato e ha appurato che non era in grado di proseguire. Allo stesso tempo non aveva lanciatori pronti, così ha deciso unilateralmente che si finiva lì.
Ma come, per noi è un piccolo evento e tu mi tratti la partita come una sfida tra scapoli e ammogliati? Neanche nella sfida tra radio di Parma e Bologna (1987, allora potevo permettermi di giocare ancora con la palla piccola) si arrivò a tanto, benchè la gara fosse già bella decisa e le costine sfrigolassero sulla griglia.
Dopo un attimo di sorpresa gli azzurri se ne sono fatti una ragione. Meno gli italo americani della Loggia di Stuart, presenti in tribuna, che l’hanno presa malissimo.
“Stavamo recuperando” è stato l’unanime, e corrucciato, commento. Un signore si è anche messo a urlare cose abbastanza sconnesse, del tipo: “In America non si fa così, abbiamo anche il coraggio di perdere”.
I tecnici dei Mets non avevano parole. Sal Varriale è uscito dalla panchina azzurra e gli si è rivolto con tono sommesso: “Stai calmo, amico. Siamo ospiti. Non è successo niente”. Insomma, la diatriba si è risolta prima di diventare un caso.
Da parte mia, io ho seguito la partita da bordo campo. Ascoltare i suggerimenti dei coach ai giocatori è manna, per il mio personale bagaglio di tecnico. Dopo che qualcuno mi ha accusato di essere un “improvvisato giornalista di baseball”, ci tengo a sottolineare che ho il tesserino da allenatore in tasca dal 1989, lo sapete.
Vedere a occhio nudo a che velocità viaggia la pallina a questi livelli invece è, come diceva il Maestro Berti nel 1972, “istruttivo”.
Sulla via del ritorno all’albergo la comitiva ha ricevuto, tramite il mio cellulare, una telefonata del Presidente Federale Riccardo Fraccari, che da buon toscano si è divertito a seminare il panico chiedendo qualcosa del tipo: “Allora, state lavorando o vi ho mandati in Florida in vacanza”.
Sguardi sospettosi mi hanno interrogato: “Ma scherzava?”.
A cena presso la Loggia del nostro John Di Mola mi sono presentato clamorosamente per ultimo. La sede è giusto a 2 minuti di strada dall’Holiday Inn, cosi nessuno si è preoccupato di aspettare nessuno e quando sono arrivato erano tutti già a tavola.
I Sons of Italy si stanno superando. Hanno preparato spaghetti, roast beef, patate al forno, una splendida torta. E soprattutto si è creato un clima davvero molto rilassante, nel quale i giocatori si trovano a loro agio. La trasferta, insomma, sta procedendo come meglio non potrebbe.
Non pare che ci siano invece buone notizie sul fronte dei guai d’amore del mio amico. L’oggetto del suo desiderio non ha risposto ad un messaggio romantico mandato di notte. Brutta storia. Intendo: se il mio amico perde le speranze, mi devo trovare un nuovo tormentone per la prossima trasferta internazionale. Va bene che ci dovrebbe essere tempo, però sono siceramente preoccupato.
Per chiudere la giornata, ieri mi sono aggregato ad una comitiva nettunese (il manager Faraone, il suo braccio destro Morville, il capo delegazione Cancelli e il medico Schiavottiello) della quale, come sapete, posso far parte in qualità di oriundo. A piedi abbiamo risalito parte della Federal Highway per soddisfare il desiderio di un gelato. Vi garantisco che gli automobilisti di passaggio ci guardavano come animali rari. E forse, ad essere onesti, li eravamo.

11 aprile-Un punto di vista…parziale

Ho 38 anni e porto le lenti a contatto da quando ne avevo poco più di 15. In questi 23 anni ho usato le lenti a fare di tutto: per giocare a rugby, a baseball, per sciare. Ma non le ho mai tenute in acqua, nè al mare nè in piscina. Dovevo farlo all’Holiday Inn di Stuart, Florida. Dopo una dura giornata di lavoro sono sceso in piscina. Mi sono seduto sul bordo e mi sono lasciato scivolare in acqua. Lentamente, sono sceso sul fondo. Quando l’ho toccato, mi sono dato una spinta con le gambe. Quando stavo per riemergere, ho aperto gli occhi. E’ stato lì che mi sono accorto di avere indosso le lenti. Panico. Sono tornato al bordo e ho chiuso prima un occhio e poi l’altro. Dal destro vedevo male. In quel mentre il mio cellulare ha iniziato a trillare. Visto che la lente nell’occhio destro non c’era più, ho deciso di rispondere. Nel frattempo ero diventato guercio.
Vederci da un occhio solo, anche se l’altro non è completamente oscurato, è curioso. Le distanze sono assolutamente falsate e viene la tentazione di tenere chiuso l’occhio che si rivela inferiore. Immagino cosa avrà pensato la gente locale, vedendo un italiano grande e grosso che strizzava continuamente l’occhio.
Dell’inefficienza della mia condizione monocolare mi sono accorto alla sera, durante l’ennesima cena presso la Loggia dei Figli dell’Italia di Stuart. Per servirmi al luculliano buffet che ci era stato preparato, mi muovevo talmente circospetto che uno degli azzurri mi ha chiesto se mi sentivo bene.
Vi dicevo del buffet luculliano. Polpettone (il leggendario meat loaf di Elvis Presley), ali di pollo, peperoni e salsicce, pollo con riso, patate…e qualcosa sicuramente mi scordo.
Alla cena hanno partecipato anche 2 elementi alieni. Il primo è Shirley, la figlia di uno dei Figli dell’Italia. Essendo la prima donna sotto i 40 anni (ma forse, anche sotto i 60) con la quale entriamo in contatto, è stato inevitabile un certo interesse nei suoi confronti.
Il secondo è Jack Lazorko, l’ex lanciatore del Parma. Che dopo un avvio timido è diventato la vera attrazione della serata. I suoi duetti con Sal Varriale sono stati semplicemente memorabili. E io ho finito la serata con le lacrime agli occhi. Anzi, sarebbe meglio dire “al solo occhio”. A parte gli scherzi, ho deciso che vivere con una sola lente a contatto è impensabile e infatti in questo momento ho indosso gli occhiali. L’unico problema è che devo alternare occhiali con lenti scure e occhiali con lenti chiare, a seconda della luce.
Non intendo annoiarvi troppo con i miei problemi di miope. Ma questi aggiustamenti sono così frequenti da sempre per me, che trovo davvero naturale parlarne tra amici.
A proposito di Sal Varriale, ha attribuito una somiglianza a ciascuno di noi. Io, ad esempio, sono Babe Ruth. Il manager Faraone assomiglia a Walter Matthau. Roberto Radaelli è Gigi Proietti. Di Sergio Morville, visto che non trovava una fisionomia simile, ha sentenziato che ha “la voce di Peppino di Capri”.
Al riguardo del mio amico con i problemi sentimentali, purtroppo il mio tempismo nell’aggiornarvi non è stato perfetto. Colpa del fuso orario.
Comunque vi aggiorno subito. Non avendo avuto successo con un sms romantico, il nostro eroe ha riprovato con un messaggio del tipo “ma perchè non ti fai sentire” (sms disperato?). L’oggetto del desiderio ha risposto in maniera inquietantissima: “Lo sai che c’è un ostacolo tra di noi”. Cosa sono, i novelli Giulietta e Romeo? Niente di tutto questo, temo. Ma a questo punto chiedo anche il vostro aiuto. Scrivetemi la vostra opinione: deve mollare l’osso, il mio amico? O insistere? Se non riusciamo a venirne a capo entro venerdì, riprendiamo il discorso da Cuba a novembre.
Ho la tasca posteriore dei pantaloni piena di biglietti da visita. Frutto delle ripetute visite della stampa locale al Camp di allenamento azzurro. Abbiamo avuto l’onore di essere seguiti dai canali televisivi WPTV, WPBF. Come carta stampata si sono mossi invece il Palm Beach Post e lo Stuart News. Insomma, niente male come interesse.
Da parte mia, ormai ho standardizzato le dichiarazioni sulla base dei virgolettati che mi sono stati attribuiti dal Palm Beach Post. Fra l’altro, hanno fin azzeccato il mio nome e cognome.
Comunque, se volete un’idea dello spazio dato alla nazionale azzurra in allenamento potete visitare il sito PalmBeachPost.com.
Come Public Relation Man merito un voto non altissimo, comunque. Sono venuto in America senza biglietti da visita.
Siamo sul pullman diretto a Miami. Questa sera abbiamo un programma che non è male: vedere la partita tra i Marlins e i Montreal Expos. Mi tocca anche fare questo sforzo

12 aprile- Quasi nudo alla metà

Ho sempre giudicato eccessivo un verso di una canzone di Matt Johnson, in arte The the, musicista inglese del quale forse sono l’unico fan italiano. Il verso dice: “C’è sempre qualcosa che va male, quando credi che le cose ti vadano bene”. Ieri però ho dovuto dare ragione a Matt.
Un po’ perplesso per l’andamento della seconda amichevole azzurra, che i Mets hanno fatto durare solo 5 inning e mezzo, mi sono accomodato in pullman per scrivere un po’. Sedendomi, ho avvertito uno strap sospetto. Per un po’ ho scritto, chiacchierato, inviato sms e meditato (che è poi, non necessariamente in quest’ordine, quello che faccio di solito). Poi lo strap mi è tornato in mente e, circospetto, sono andato a tastare il retro dei miei pantaloni. Dove la mia mano ha avvertito nettamente…l’aria.
Naturalmente, proprio ieri era l’unico dei giorni di nostra permanenza in Florida che non prevedeva il ritorno in albergo, bensì un viaggio verso Fort Lauderdale, per incontrarci con il gruppo Pre Olimpico di Beppe Massellucci, e il proseguimento fino a Miami, dove al Pro Player Stadium ci attendevano i Marlins e gli Expos. Morale: non potevo cambiarmi. Potevo, viceversa, acquistare un nuovo paio di pantaloni, oppure tenermi quelli strappati e sperare che nessuno se ne accorgesse.
Sceso a Fort Lauderdale dal pullman, mi sono guardato in uno specchio e ho notato subito che passare inosservato sarebbe stata dura. Così ho deciso di rimanere seduto la maggioranza del tempo. E finchè siamo rimasti in corriera, non c’è stato problema. Diverso è stato quando siamo arrivati allo stadio. All’interno del negozio di souvenir ho notato che le commesse se la ridevano molto. In tribuna uno spettatore proprio non ce l’ha fatta e si è sganasciato dalle risate.
Ma dentro uno stadio stare seduti è la norma. Per le 3 ore della partita non ho avuto quindi preoccupazioni. Sfortunatamente, però, la gara è finita e siamo dovuti uscire dallo stadio.
Ho cercato, con circospezione, di far passare tutta la squadra prima di alzarmi. Senza successo, però. Temo che ci fosse un piano all’uopo preparato, perchè mi risulta che sia stata realizzata documentazione fotografica dell’orrendo squarcio nei miei calzoni.
Quando il General Manager degli Expos Omar Mynaya ha raggiunto il puillman per salutarci, non ho assolutamente avuto il coraggio di presentarmi, perchè uno spokesman della Federazione (come mi definisce la stampa locale) non può avere un aspetto così indecente.
Comunque, se è vero che “c’è sempre qualcosa che va male, quando le cose sembrano andar bene”, è anche vero che anche le cose peggiori finiscono. Questa non l’ho virgolettata perchè è di Schiroli, non Matt Johnson.
Quel che voglio dire è: siamo arrivati all’albergo e la giornata è finita.
Tornando al Pro Player Stadium, va detto che a vedere i Marlins c’erano pochissimi tifosi. Temo che, se contraction sarà, la squadra del sud della Florida rischierà seriamente di incapparci. Gli Expos sono un’altra candidata. Non a caso un tifoso ha cancellato dalla sua casacca replicata il nome di una star per scrivere Bud Selig, il Commissioner che ha avuto l’idea di ridurre le squadre.
Gli Expos hanno vinto 9-7, mettendola sul piano dei muscoli. Il nostro vecchio amico Ed Vosberg, rilievo degli Expos, si è beccato un fuoricampo da Floyd che è ancora là che vola. Ma il giocatore che più ha impressionato è la giovane star dei canadesi Vladimir Guerrero. Uno swing impressionante, come anche gli azzurri si dicevano tra di loro durante il viaggio di ritorno.
Finalmente ho visto il nostro Matteo Gandini, rookie al seguito di una squadra azzurra. L’ho visto perfettamente ambientato nel gruppo dei PO e decisamente felice di essere stato coinvolto in questa avventura. Il baseball sta dando tanto a tutti noi. Che, senza falsa modestia, siamo per altro convinti di dare parecchio in cambio.
Mi sovviene or ora che la nostra permanenza in Florida è ormai giunta alla fine. Tra 45 minuti gli azzurri inizieranno l’ultima amichevole. Poi avremo appuntamenti sociali di congedo (un barbecue con i Figli dell’Italia, ad esempio) e sarà ora di riprendere la via della penisola, dove mi risulta troveremo un clima decisamente peggiore di quello del sud della Florida.
Visto che questo è stato il diario delle citazioni, concludiamo che “anche le cose belle finiscono”. Questa non è nè di Matt Johnson nè di Schiroli. E’ il titolo dell’ultimo episodio della serie di telefilm Star Trek, the next generation. Giusto per la cronaca.

13 aprile – Non è un addio, ma un arrivederci

Riccardo Schiroli e Howard Johnson, aprile 2002
Riccardo Schiroli e Howard Johnson, aprile 2002

Che giornata, ragazzi.
Dire che la permanenza negli Stati Uniti si è chiusa alla grande, è decisamente minimizzare. Andiamo comunque con ordine. E non necessariamente cronologico.
Non vedevo l’ora di raccontarvi che ho parlato con Howard Johnson. Avete presente, HoJo? Il grande dei Mets? Se non lo avete presente, non seguivate il baseball americano negli anni ’80.
Io però c’ero. Voglio dire, ero esaltatissimo a quel tempo. Stavo sveglio la notte per ascoltare le cronache delle partite, ho festeggiato la vittoria delle World Series del 1986 e nel 1989 sono andato anche a New York a vederli. E HoJo era il mio preferito.
Oggi il mio ex idolo era lì che si faceva intervistare da me. Incredibile.
Cioè, sarebbe stato incredibile se non lo avesse fatto. Lui è un professionista, io sono un professionista e oggi lavoravamo. Il particolare che vi stavo nascondendo è che io ero lì che svolazzavo a 1 metro da terra.  “Sono stato famoso, è vero” mi ha detto Howard Johnson “Ma non è tutto nella vita. La pubblicità della catena di Hotel che porta il mio nome? Non me l’hanno fatta fare, resta un sogno”
Lo avrei voluto abbracciare, ma per fortuna sono arrivato a capire che mi sarei fatto compatire. Mi sono limitato a chiedere se potevo fare una foto assieme a lui.
“Pensa, eri un tifoso e adesso sei un suo amico” mi ha detto Sal Varriale.
Imprevedibile, la vita. Davvero. Cioè, può succedere che, giusto per fare un esempio, un Commissario di Polizia ottenga la considerazione dell’ultima persona che tu penseresti si potrebbe interessare a lui e, del tutto assurdamente, ti crolla il mondo addosso. Poi prendi un aereo e voli direttamente in un sogno. Imprevedibile, la vita. Proprio.
Non preoccupatevi. Ci sono solo un paio di persone trai miei lettori abituali che possono capire a cosa mi riferisco. Una è il mio amico con il quale dialogo via sms. Oddio, oggi l’ho un po’ trascurato e spero che questo messaggio cifrato mi riconquisti il suo affetto.
La sua situazione, per altro, non si sblocca. E io ho ricevuto solo pochissime risposte al mio questionario “deve insistere o mollare”. Ma attendo fiducioso e semmai, ripeto, in novembre da Cuba ricominciamo. L’altro momento memorabile di oggi è il barbecue con il quale i Figli dell’Italia di Stuart ci hanno salutato.
A parte il fatto che ci sono azzurri che sono ossi durissimi, quando si tratta di competere per un hamburger o un hot dog, è stato tutto stupendo. Dalla qualità del cibo all’atmosfera ad una torta commovente contanto di marchio FIBS che il sensazionale Frank Baldino ha fatto confezionare per l’occasione. “A sentirvi parlare delle vostre Nettuno, Parma, Bologna e Grosseto mi avete fatto ricordare i miei 20 anni e vi sarò sempre grato per questo” ha detto Baldino.
E a me, credeteci o no, si sono riempiti gli occhi di lacrime.
Credo che per tutti noi il contatto con i Figli dell’Italia sia stato indimenticabile. Vi dico la verità: all’inizio vedevo questo obbligo della cena serale con loro…un obbligo, appunto. E allergico come sono a lacci e lacciuoli, un po’ ero insofferente. Perchè la mattina la passo al campo, al pomeriggio devo scrivere…insomma, alla sera mi piacerebbe andare in giro. Questo pensavo, una settimana fa. Oggi la sola idea che domani sera non sentirò John Di Mola dire “Allora, Riccardo hai informto la stampa italiana?” mi fa stare un po’ male.
Quanti abbracci, questa sera. Gli addii sono sempre un po’ tristi. Vorrei scrivere qualcosa di memorabile, al riguardo, ma mi viene in mente tutta roba che sa di “partire è un po’ morire” e allora preferisco pensare che non sia stato un addio, bensì un arrivederci.
Addio o arrivederci, stiamo per partire.
Ho un sacco di persone che mi dicono che “adesso che torno mi devo mettere a lavorare”. Come se fossi venuto qui in vacanza.
Riconosco che tra una miniera belga e la Florida per lavorare c’è una bella differenza, ma chiedetelo al mio fedelissimo Travel Mate 525 TE della Acer (non è pagata, state tranquilli) quanto tempo abbiamo passato assieme.
Prima di andare devo nominare ancora qualcuno. La prima è Deborah Silver, fotografa della PSL news. Ci siamo divertiti moltissimo, con lei. Ha scattato un’infinità di foto in più rispetto al suo ordine di servizio e poi ha promesso che ce le avrebbe mandate per e-mail. Non che abbia mantenuto, per il momento. Ma è stata simpaticissima.
Ci sono poi i miei amici nettunesi, che non mancano mai di farmi pesare il mio pronostico sull’ultima finale.
Oggi ero lì che mi versavo un caffè quando sono arrivati in 3. “Fai un brindisi?”. Perchè no.
“Allora, brindiamo ad un altro scudetto…magari con qualcuno che prima della finale ridica che vincerà il Rimini di sicuro”.
La consolazione è che i miei articoli li hanno letti proprio tutti…
Ragazzi, io spero che sia una grande stagione di baseball. Io e gli altri 31 componenti della spedizione ne siamo sicurissimi. Vorremmo convincere di questo anche tutti voi che siete lì. A volte le cose basta volerle. Forse il punto è questo. Siamo proprio sicuri che tutto il baseball italiano voglia una grande stagione?
Pensateci un po’ su e poi magari fatemi sapere.