Il mio “perfect day” con la musica di Lou Reed

MUSICA

Lunedì sera a Roma Lou Reed, a 69 anni suonati, ha messo in scena un grande concerto.
Lou Reed in concerto il 25 luglioOrmai ho una certa esperienza di musica dal vivo (la mia prima volta data 1978: Edoardo Bennato al palasport di Parma; mi ci aveva accompagnato mia madre) e so che si esce spesso delusi. Perchè si vedeva male, perchè l’impianto andava più spesso in larsen (quando fischia tutto…) rispetto a quando funzionava, perchè il cantante era fuori forma, perchè nel disco le canzoni sono diverse, perchè pogavano (quando si spingono tutti), perchè fumavano gli spinelli lì vicino e a me dan fastidio anche le sigarette normali…le cose che possono andare male sono talmente tante, che elencarle tutte è impossibile. Così, quando esco soddisfatto, è già una bella esperienza. Ma lunedì 25 luglio dall’Auditorium Parco della Musica sono uscito addirittura commosso.

Va premesso che vedere uno spettacolo a Roma è sempre eccitante. Tanto per cominciare, c’è la possibilità di incrociare celebrità ovunque. Mi rendo conto di non aver messo nero su bianco un pensiero da profondo intellettuale, ma incontrare celebrità è divertente per tutti, no?
All’Auditorium Parco della Musica lunedì era seduto nella fila davanti a me Roberto D’Agostino (che per essere celebre lo è, anche se non è necessario approfondire in che senso) e qualche fila sotto si trovava l’attore americano Willem Dafoe, che ha una casa a Roma (recentemente svaligiata, ho letto). Dafoe ho provato a fotografarlo di nascosto con il telefonino, ma non è che venga mai granchè. Fotografare con il telefonino,Wille Dafoe all'Auditorium voglio dire. Perchè Defoe le trovo bravissimo. Anche se, da lunedì, so che è piuttosto basso.

Io non posso dire di essere un fan di Lou Reed. Quando verso i 16 anni ho iniziato ad interessarmi alla musica pop rock, lo consideravo “vecchio” (ha 21 anni più di me…). Ma come tutti quelli che hanno le orecchie che funzionano, non potevo che finire con il notare come il lavoro dei Velvet Underground (che Lou Reed fondò con John Cale nel 1966 ed Andy Warhol lanciò, disegnando la famosa banana della copertina del loro primo disco) sia di fatto il Punk 10 anni prima che si parlasse di punk e, soprattutto, ciò che ha reso possibile la New Wave dopo. E non sto parlando solo delle sonorità, ma anche della poetica, della voglia di raccontare le cose che non si dovrebbero raccontare (le idee poco chiare di Lewis Allan detto Lou sulla sessualità “he shaved his legs and then he was a she” o il sesso a pagamento “little Joe never gave it away, everybody had to pay and pay”). E poi, “Sweet Jane” (una delle ultime produzioni con i Velvet Underground) e “Walk on the wild side” (quando venne prodotto da David Bowie) le conoscevamo anche noi giovani.
Così andai ad un concerto di Lou all’Arena di Verona. Era il 7 settembre del 1983 e per me fu la scoperta di un artista a tutto tondo.

L'auditorium Parco della MusicaLunedì 25 luglio Lou Reed è entrato sul palco dopo il gruppo. Un po’ perchè le star fanno così, un po’ perchè fa parecchia fatica a camminare. Si è rivolto a tutti i settori dell’Auditorium con il pugno alzato e poi ha iniziato a cantare.
Ad un certo punto ha attaccato le note della meravigliosa (e relativamente recente: data 2000) “Ecstasy”. E sulla chitarra acustica, ha detto che il concerto era dedicato alla “grande cantante ed autrice di canzoni Amy Winehouse“. Ed è esploso un incredibile applauso. Perchè dopo aver cantato: They call you ecstasy, nothing ever sticks to you. Not velcro, not scotch tape, not my arms dipped in glue, sempre accompagnato da una fantastica chitarra acustica, ha accennato i famosi versi della Winehouse: I’m not going to rehab, no no no. Per Amy si tratta, purtroppo, di un triste testamento. Ma letti da Lou Reed, con la storia di droga che ha avuto, non possono lasciare indifferenti.

A vedere il vecchio maestro in mezzo ai suoi musicisti, devo dire che lunedì ho avuto la conferma di quello che avevo intuito quella sera di settembre del 1983. Che è possibile che qualcuno riesca a riunire persone e a far succedere qualcosa di grande. Perchè Lou Reed si muoveva da vero direttore d’orchestra e ad ogni canzone si compiva il piccolo miracolo della creazione artistica.
Ad esempio, quando le celebri “Sunday Morning” e “Famme Fatale” sono state presentate in versione acustica, essenziale, ma certo non poco curata. A sentire “Famme Fatale” senza la voce di Nico (la cantante tedesca con cui i Velvet Underground collaborarono su suggerimento di Andy Wathol), un po’ ci si resta male. Ma quel che ho capito io, è che Lou ci ha voluto regalare queste canzoni come lui le ha concepite, più di 40 anni fa.

Lunedì 25 luglio ho avuto la netta sensazione di aver assistito a qualcosa di unico e non ripetibile. Di aver ascoltato una parte di storia della musica e di aver visto una leggenda dirci a voce alta che lui non si ferma, va avanti e continua a creare.

Per dirla con Lou Reed: “Just a perfect day…you made me forget myself, I thought I was someone else, someone good”.