Il Messico non è la faccia triste dell’America

Messico 2012-2013, VIAGGI

Il mio viaggio in Messico non poteva che iniziare dalla frontiera con gli Stati Uniti. Un po’ perché a San Diego e Tijuana (la frontiera per eccellenza, nel mio immaginario) sono legati tanti ricordi, non tutti propriamente positivi (incluso un arresto per guida in stato di ubriachezza…), e molto perché la storia di questi 2 grandi paesi è così legata alla frontiera e ai diversi spostamenti dei suoi limiti avvenuti nel corso degli ultimi 2 secoli.
E poi, lo voglio dire con le parole di Gabriel Trujillo Munoz, autore messicano nato nel 1958 a Mexicali, una delle città di frontiera: “Mi affascina la frontiera per la possibilità che mi dà di vedere le luci e le ombre dell’impero americano. Ma mi piace vederle stando da questa parte della linea, da questo mio paese pieno di crepe e sempre sul punto di andare in pezzi e che, malgrado tutto, continua a reggersi in piedi e va avanti”.

La signora Schiroli all'ingresso in MessicoDa San Diego a Tijuana ci sono 60 dollari di taxi e un percorso a piedi piuttosto agevole. Superati i tornelli girevoli, in un attimo siete in Messico, anche se appena superata la frontiera nessuno vi parla in Spagnolo. Il personale messicano di frontiera è un po’ distratto. Potrebbero scordarsi di dirvi che serve un visto, per entrare in Messico. E sappiate che, prima o poi, qualcuno ve lo chiederà, questo visto.
A Tijuana è facilissimo essere fregati. C’è un controllo sui taxi che vi portano dalla frontiera alla città (prezzo fisso da decenni: 5 dollari), ma nessun controllo su quel che il taxista potrebbe proporvi. A me, ha cercato di far disdire la prenotazione per l’auto a noleggio e di portarmi da un suo amico, che mi avrebbe certamente fatto condizioni migliori. Poi mi ha detto che un dollaro americano vale 5 pesos messicani, quando il cambio peggiore che si può ottenere è 1 a 12. Comunque, posso anticipare che l’approccio dei messicani non è sempre questo. Anzi.

Noi europei siamo profondamente ignoranti sulla storia delle Americhe fino al fatidico 1492, anno dello sbarco di Cristoforo Colombo nell’odierna Repubblica Dominicana. Ma abbiamo informazioni abbastanza imprecise anche per i secoli successivi e questo grazie al peculiare modo di Hollywood di approcciarsi alla storia. Ovvero: se c’è un particolare che rende difficile realizzare un film, o che può intralciarne il successo, lo si cambia. Mel Gibson, nel suo noiosissimo ‘Apocalypto’, ad esempio si inventa che nel 1500 gli spagnoli sono entrati in contatto con i Maya. Ma le grandi città Maya (Tikal e Palenque in particolare) gli spagnoli non le trovarono nemmeno. Gibson ha girato il film nella lingua Maya dello Yucatan, cercando di convincerci del fatto che il suo film voleva privilegiare la verità storica. Un po’ come aveva fatto con il film sulla ‘Passione di Gesù Cristo’: i soldati romani parlano in Latino, Gesù in Aramaico, ma la scena della fustigazione è di una violenza gratuita e, soprattutto, di cui non si ha traccia alcuna nel Vangelo. Ma lasciamo stare Gibson e torniamo a noi.
Il Messico è stato sicuramente abitato per tempo immemorabile, ma laBassorilievo Atzeco ritrovato a Città del Messico prima civiltà di cui si ha notizia è quella degli Olmechi (diciamo dal 1200 prima di Cristo), che sembrerebbero essere la cultura madre di tutta l’America precolombiana. Purtroppo, questo popolo non ha lasciato nulla di scritto (o almeno, gli archeologi non hanno trovato nulla), quindi non è chiara l’evoluzione della loro civiltà. Anche se è ormai assodato che gli Olmechi hanno influenzato qualsiasi altra cultura che si è sviluppata dopo.
Gli Olmechi (nella lingua del tempo “popolo della gomma”) erano attivi in quello che è attualmente il Messico centro meridionale, in particolare la zona del Golfo del Messico. Attorno ai primi anni di questo millennio, erano però già storia, anche se di certo avevano lasciato una eredità culturale. A poca distanza dall’attuale Città del Messico nasceva Teotihuacan, una città enorme (oltre 100.000 abitanti) per l’epoca. E’ molto probabile che quella di Teotihuacan fosse una vera e propria civiltà, più che una semplice Città-Stato, per quanto evoluta. Ma non lo sapremo mai con certezza. Fatto sta che oggi Teotihuacan è il più grande sito archeologico dell’America Latina. Le spettacolari piramidi Del Sole (risale all’anno 150) e Della Luna vedono tutti i giorni decine di migliaia di turisti inerpicarsi lungo le loro scalinate.
Anche la fine di questa civiltà è avvolta nel mistero, ma è sicuro che gli Aztechi (in origine Mexica, termine da cui i Conquistadores spagnoli trassero il nome Mexico; la definizione di Aztechi fu coniata molti secoli dopo) ne furono fortemente influenzati. Addirittura, gli Aztechi ritenevano Teotihuacan un luogo sacro, quello in cui gli Dei si sarebbero sacrificati per dare il via alla quinta era, quella che gli Aztechi stavano vivendo.
Comunque, la leggenda narra che gli Aztechi giunsero nella zona dove ha sede l’attuale Città del Messico e decisero di fondare la loro capitale Tenochtitlan (in quella che è Plaza Constitucion oggi) quando videro un’aquila mangiare un serpente su un cactus. Non a caso, questa immagine è al centro della bandiera messicana.
Quello Azteco era un vero e proprio Impero, che raggiunse il suo massimo splendore dopo il 1300 (sotto il leggendario condottiero Moctezuma) e crollò nel 1521, quando Hernan Cortès si alleò con altre popolazioni native e fece prigioniero l’Imperatore Cuauhtemoc. Nacque così la Nuova Spagna e fu Bernal Diaz Del Castillo (il cronista che raccontava le imprese di Cortès) a dare a Tenochtitlan il nome di Gran Ciudad de Mexico.
Questo dettaglio del sarcofago di Pakal ha fatta nascere la leggenda del Re AstronautaQuando Cortès conquistò l’Impero Azteco, la civiltà Maya si era auto estinta per motivi che ben difficilmente saranno chiariti. Comunque, i Maya avevano vissuto il loro splendore dal 200 al 900 nel Messico caraibico, nell’odierno Chiapas e negli attuali Guatemala e Belize. Quando Francisco Hèrnandez de Cordoba arrivo nello Yucatan nel 1517, entrò in contatto con la cultura dei Toltechi, un popolo nomade che, guidato dal mitico Quetzalcoatl, aveva finito con il soggiogare i discendenti dei Maya, che avevano fatto di Chichen Itza la loro capitale.
La cosa molto interessante da notare è che nelle varie civiltà che hanno abitato il Messico prima dell’arrivo degli Europei si possono riscontrare tratti comuni: il politeismo (in particolare il culto del Dio Serpente, fonte di vita), l’interesse per i cicli del sole e della luna, una certa abilità ingegneristica (nel costruire i canali di irrigazione), gli edifici a piramide. I Maya furono astronomi sorprendentemente avanzati e gli Aztechi inventarono un ingegnoso sistema di coltura intensiva (ottenevano 3 raccolti di mais all’anno) secoli prima che il concetto si imponesse in Europa. Tutto questo, ha stimolato i cultori della New Age a fare ipotesi quanto meno azzardate sulla origine extra terrestre di alcuni leader di questi popoli (in particolare, del Re di Palenque Pakal). Torneremo a parlarne, quando saremo nei luoghi in questione.

La dominazione spagnola del Messico giunse alla fine a causa di Napoleone. Quando nel 1808 l’esercito spagnolo fu costretto ad intervenire in forze per contrastare l’azione militare dell’Imperatore, i domini americani si ritrovarono sguarniti. Come è noto, Napoleone occupò Madrid nel novembre del 1808. Il 16 settembre 1810 ebbe ufficialmente inizio la Guerra d’Indipendenza del Messico dalla Spagna, che si concluse nel 1821.
L’indipendenza fu però per il Messico solo l’inizio di un periodo di guerre e sangue che sembra non essere mai finito. Nel 1833 Antonio Lòpez de Santa Anna (meglio conosciuto come Santa Anna) divenne Presidente. Passato alla storia con il soprannome di Napoleone del Messico, Santa Anna era un militare (inizialmente nell’esercito spagnolo) di modesta cultura. Di fatto, proclamò una dittatura e, anche se è probabile che le sue intenzioni fossero intese nell’interesse del paese e non nel suo personale, combinò disastri. L’abolizione della schiavitù (scelta di sorprendente modernità, per altro) e la proclamazione di una costituzione anti federalista inasprirono il conflitto con i coloni statunitensi in Texas. La situazione precipitò a tal punto che il Texas proclamò la sua indipendenza il 21 aprile 1836. Prima che Santa Anna riconoscesse la sconfitta, avvenne un episodio che è consegnato alla mitologia: la battaglia di Alamo. PocheDavy Crockett raffigurato nel monumento ai difensori di Alamo a San Antonio centinaia di indipendentisti (quasi tutti fuorilegge o avventurieri, ma questo la mitologia non lo ricorda) furono assediati dall’esercito messicano alla missione di El Alamo, vicino all’odierna San Antonio. Tra gli altri, perse la vita il celebre Davy Crockett, un ex deputato deluso dalla politica e che guidava un gruppetto di volontari. Anche alla luce della Guerra Civile americana, è difficile riconoscere come legittime le posizioni degli indipendentisti. Ma, come nel caso dei Maya di Mel Gibson, Hollywood ci ha consegnato una versione aggiustata della Storia….
L’annessione del Texas agli Stati Uniti nel 1845 (decisa dal Presidente John Tyler in scadenza di mandato) fu il preludio alla Guerra tra Stati Uniti e Messico dichiarata dal Presidente James Knox Polk.
Il Messico era una nazione non preparata alla Guerra, che fu una vera disfatta militare e si concluse nel 1847 con il passaggio agli Stati Uniti di California (fino a San Diego), Nevada, Utah e di parti di Colorado, Arizona, New Mexico e Wyoming. Insomma, il Messico perse metà del suo territorio e 25.000 vite, ricevendo come rimborso di guerra oltre 18 milioni di dollari (il valore attuale sarebbe 650 milioni).

Nel 1857 il Messico divenne una vera e propria Repubblica Liberale. Con Un ritratto di Benito JuarezBenito Juarez (presidente dal 1861) iniziò un’epoca di riforme. Affrontò anche una sanguinosa Guerra con la Francia (1862-1867), quando Juarez sospese i pagamenti dei debiti internazionali. Fu l’intervento degli Stati Uniti, ad aiutare il Messico a tornare alla normalità.
Fu comunque con Porfirio Diaz, Presidente a partire dal 1876, che il Messico entrò nell’era industriale.
Entrò anche in un’altra era di sangue. Con Diaz (passato alla storia come dittatore) al potere, aumentò il peso dei latifondisti e crebbe il malcontento degli agricoltori. Emiliano Zapata fuEmiliano Zapata il simbolo di chi voleva ridare la terra a chi la lavorava. Il suo esercito iniziò un’azione di guerriglia.
Porfirio Diaz non intese scontrarsi con i radicali: si dimise nel 1911 e si auto esiliò. Al suo posto assunse la Presidenza Francisco Madero, che Diaz aveva a suo tempo incarcerato. Madero, che era appoggiato dal condottiero popolare Doroteo Arango Arambula (che passerà alla storia come Pancho Villa) fu assassinato dal generale Victoriano Huerta nel 1913 e questo diede inizio alla vera e propria Rivoluzione. La lotta aveva 2 volti: quello del ribelle Zapata, e del suo alleato Pancho Villa, e quello dei politici Venustiano Carranza e Alvaro Obregon. Tra il 1914 e il 1915 sembrava che la Rivoluzione avesse ottenuto il suo scopo. Zapata e Villa entrarono a Città del Messico e Zapata iniziò a distribuire terre ai contadini: uno dei rari episodi di democrazia diretta che la storia ricordi. E infatti, non durò molto. Carranza e Obregon si misero contro Zapata e Villa, ottenendo un chiaro successo militare. Carranza divenne Presidente, carica che Zapata (“Non è questo il mio scopo, il mio scopo sono le terre”) 2 anni prima aveva rifiutato, nel 1917. Un’imboscata organizzata da Carranza portò all’assassinio di Emiliano Zapata nel 1919. Un anno dopo, Carranza fu deposto e assassinato dallo stesso Obregon, che diede vita ad un governo fortemente anti clericale (per altro, ottenne il passaggio decisivo della separazione tra Stato e Chiesa), ma capace di portare avanti importanti riforme agrarie.
Pancho VillaPancho Villa nel frattempo si era ritirato a vita privata. Che personaggio fosse Villa, è difficile dirlo senza essere influenzati dal mito trasmessoci prima da una famosa intervista di Jack London e poi dal cinema. E’ probabile che non fosse un’idealista come Zapata. Molti, addirittura, sostengono che fosse più che altro un fuorilegge interessato ad arricchirsi. Fatto sta che nel 1923, mentre tornava da un battesimo, fu ucciso a colpi d’arma da fuoco. Chi fosse il mandante, non è chiaro.
Nel 1928 morì, ucciso da un Cattolico che si opponeva alla sua politica, in un ristorante di Città del Messico, anche Obregon, che si preparava a correre nuovamente per la presidenza. La Rivoluzione aveva fatto 2 milioni di morti.
Dal 1929 ha governato il Messico, ininterrottamente fino al 2000, il Partido Rivolucionario Institutional (PRI). Nel nome di questo partito, si trova un ossimoro (quando mai, un partito rivoluzionario è stato istituzionale?) che identifica molto bene la storia di questo paese. Il PRI è stato messo in crisi dalla riedizione dell’Esercito Zapatista, quello nato dopo che il Messico ha aderito (1994) al NAFTA (North American Free Trade Agreement). Volto coperto da passamontagna, il Sub Comandante Marcos ha parecchio affascinato gli intellettuali di mezzo mondo (da noi, Fausto Bertinotti; ma anche intellettuali veri come Gabriel GarciaIl Sub Comandante Marcos Marquez), forse anche perché i suoi comunicati sono scritti in maniera davvero pregevole. Ma dal punto di vista militare, il suo esercito è stato annichilito da quello messicano. I neo zapatisti (che si oppongono alla globalizzazione e vorrebbero il ritorno delle terre ai contadini) si sono quindi rifugiati nella Selva Lacandona (nel Chiapas), di fatto causando un danno alla popolazione locale.
Al PRI è per altro risultata fatale un’azione paramilitare che ha portato all’uccisione di 45 nativi del Chiapas nel 1997: nel 2000 ha, come detto, perso clamorosamente le elezioni contro i conservatori del Partido de Accion Nacional (PAN), guidato da Vicente Fox. Ma con il PRI, è quasi sparito anche Marcos. Il Sub Comandante ha lanciato nel 2003 le Juntas del Buen Governo, una specie di Governo Ombra che si è rivelato un clamoroso fallimento. Con la campagna presidenziale del 2006, Marcos ha fatto un tour elettorale di 6 mesi in moto denominato La Otra Campana, che è stato un altro fallimento, visto che Fox ha rivinto le elezioni.
Marcos, che non ha mai confermato di essere veramente l’ex ricercatore universitario (classe 1957) Rafael Guillen (ma la famiglia di Guillen dice che non sa dove sia finito…), oggi si fa chiamare Sub Delegado Zero.
Il Governo di Vicente Fox può vantare come risultato il fatto che il 17% dei messicani è uscito dalla soglia della povertà. Ma deve fare anche i conti con la Guerra al narcotraffico, nella quale ha impegnato 45.000 militari e che ha causato 14.000 morti. E un’ondata di terrore internazionale, a causa delle efferate esecuzioni (degne di un film pulp) a cui la stampa ha dato grande risalto.
Nel 2012 il PAN ha avuto un tracollo elettorale. Il PRI, con il Presidente Enrique Pena (classe 1966) ha vinto le elezioni davanti all’altro partito di sinistra PRD (Partido de la Revolucion Democratica, altro bell’ossimoro). Il Presidente dice che, in 6 anni, farà uscire 15 milioni di persone dalla povertà.

Il Messico non è oggi “la faccia triste dell’America” come scrisse Paolo Conte e cantò Enzo Jannacci. Non è più il paese degli emigrati per forza: “Quelli che non parlano la vostra lingua, ma nemmeno sono capaci di restare in silenzio” come scrive Yuri Herrera nel romanzo breve ‘Segnali che precederanno la fine del mondo’: “Noi che veniamo a togliervi il lavoro e aspiriamo a pulire la vostra merda”.
Il Messico oggi scambia con gli Stati Uniti 1 miliardo di dollari in merci ogni giorno. Ma è anche il 18esimo paese al mondo per diseguaglianze sociali. Insomma, tornando a Paolo Conte, a volte vale ancora il verso: “Che voglia di piangere ho”.

Quello di cui leggerete nei prossimi giorni è il mio Messico, quello che esce dalle impressioni e, soprattutto, dalle emozioni che mi hanno dato le località che ho visitato nel corso di un mese indimenticabile.

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