Il dramma di Marco Pantani è un film

LOTTA AL DOPING, SCHIROPENSIERO, SPORT

Una delle gite preferite da noi parmigiani è quella ai cosiddetti Boschi di Carrega. Si viaggia verso sud e si sale appena sopra Sala Baganza. La strada che da Parma va ai Boschi è una delle preferite dei cicloturisti. E’ tutta in leggera salita, ma la strada si impenna sul serio solo nell’ultimo tratto e solo per poche centinaia di metri. Se si sale ai Boschi da Collecchio, superato il paese di Talignano si trova un muro al 12% di pendenza. Sono solo 300 metri, ma in bici sembra non finire mai. Perché il brutto di pedalare in salita è che devi far fatica anche per…non andare all’indietro.
A me andare in bicicletta piace, perché è un’attività sana e anche una sfida con sé stessi. Non ho proprio il fisico del ciclista, meno che mai dello scalatore, ma ai Boschi di Carrega vado da sempre. Dopo diverse sconfitte (piede per terra e salita completata camminando), quando sono riuscito per la prima volta a superare il muro (avevo il rapporto più corto e l’aria che mi entravi nei polmoni con le ultime pedalate sembrava incandescente) ho provato una grande soddisfazione.
Certo, vedere un professionista che si alza sui pedali è un’altra cosa. E vedere Marco Pantani pedalare in salita era un’altra cosa rispetto a qualsiasi altro ciclista. E’ stato l’unico corridore che mi ha dato le emozioni di Francesco Moser, il mio idolo assoluto. Che, detto per inciso, non ha vinto il Giro del 1984 solo perchè han dovuto cancellare la tappa dello Stelvio, perchè arrivando a San Luca a Bologna, Moser lo ha staccato in salita, il Fignon. Ma non divaghiamo.

Marco Pantani
Marco Pantani

Martedì 18 febbraio sono entrato in un multisala per la proiezione delle 17.10 di The accidental death of a cyclist (il riferimento a Morte accidentale di un Anarchico di Dario Fo, sulla vicenda di Giuseppe Pinelli, non è affatto casuale) di James Erskine, un regista inglese poco più che sessantenne. Si tratta di un docufilm, che in Italia viene distribuito in occasione del decimo anniversario della tragica morte del Pirata, avvenuta il 14 febbraio del 2004.
E’ un bel film, molto ben montato, con un sonoro ad effetto e una sceneggiatura assolutamente documentata e onesta. Soprattutto, non sceglie la comoda strada della descrizione di Pantani come un agnello sacrificato a chissà quali interessi superiori.
“Ho cercato di recuperare nelle sue ore più buie, il Pantani ciclista geniale, corrotto da un sistema di ineluttabile oscurità” ha detto il regista a Il Fatto Quotidiano.

La storia la conoscono tutti. Pantani nel 1998 aveva trionfato (nessuna enfasi nel termine, è esattamente quel che è successo) al Giro d’Italia e al Tour de France e nel 1999 stava dominando il Giro. Il 5 giugno gli organizzatori del Giro rendono noto che da un prelievo del sangue il valore dell’ematocrito (la percentuale del sangue occupata dai globuli rossi) di Pantani risultava 52.
E’ un dato che non significa nulla. Si tratta di un valore ai limiti, ma pur sempre nella norma, per un uomo adulto e, in ogni caso, non prova in nessuna maniera l’assunzione di sostanze dopanti. Ma induce certamente il sospetto che un ciclista abbia fatto uso di eritropoietina, cioè quell’ormone che il corpo umano fabbrica per regolare la produzione di globuli rossi. L’ormone (noto come EPO) viene sintetizzato in laboratorio e aiuta certamente le prestazioni atletiche basate sulla resistenza. Ma abusarne è molto pericoloso e, dopo una serie di morti nel sonno di corridori di secondo piano,  il Sindacato dei Ciclisti aveva stabilito che i corridori a cui in gara veniva riscontrato un ematocrito superiore a 50 dovevano essere fermati per  tutelare la loro salute. Un ematocrito alto può infatti provocare pericolosi coaguli del sangue.
Pantani doveva semplicemente fermarsi 15 giorni. Avrebbe poi potuto riprendere la sua attività.
Pantani però reagì malissimo. Si convinse di essere al centro di un complotto, soffrì il sospetto (inevitabile, per quanto ingiusto) che i suoi successi fossero dovuti all’uso di sostanze proibite. Pantani non riuscirà a tornare ai suoi livelli. Nel Tour del 2000 duellerà con Armstrong (dominatore di quegli anni,  poi reo confesso di doping sistematico), salvo poi scivolare a oltre 10 minuti dalla maglia gialla (il primo in classifica) e ritirarsi.
Pantani si ritirerà ufficialmente nel 2003.
Nel 2004 Marco Pantani venne trovato morto in un residence di Rimini.

Del film di Erskine mi ha molto colpito un’intervista a Diego Maradona: “La cosa che non possiamo perdonarci è che sia morto da solo”.
Sono parole importanti. A cui fa eco il Consulente dell’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA) Sandro Donati, ex allenatore della nazionale di atletica leggera: “Gli atleti sono al vertice, del sistema del doping”. Donati spiega che c’è chi comunque da questo sistema guadagna. Ma gli unici che eventualmente perdono sono gli atleti.

Credo non ci siano dubbi sul fatto che Pantani abbia fatto uso di EPO. Lui come tanti altri ciclisti.
Nel 1998, poco prima che iniziasse il Tour che poi Pantani vincerà, esplose lo scandalo della Festina. Era una delle squadre di maggiore successo e il suo massaggiatore era stato fermato con una quantità, che verrà definita “impressionante”, di EPO e altre sostanze dopanti. Poco dopo il direttore sportivo Bruno Roussel, dopo una breve detenzione, ammetterà che esisteva un vero e proprio sistema di doping di squadra. Della Festina facevano parte ciclisti di primo piano: Virenque, Zuelle, Brochard, Dufaux, Hervé, Rous e Stephens. Di quest’ultimo il film riporta una dichiarazione di quei giorni: “Ho superato oltre 200 test antidoping, sono pulito”. Ovviamente, la dichiarazione era antecedente alla confessione di Roussel.
Sul caso Festina l’articolo scritto per la Gazzetta dello Sport da Anzelo Zomegnan, prima firma per il ciclismo del foglio rosa di allora.

Pantani era stato indagato e rinviato a giudizio per frode sportiva. Dopo il suo terribile incidente del 1995, un prelievo del sangue aveva fissato l’ematocrito a oltre 60. Il Pirata è stato assolto nel 2001: “il fatto rappresentato nel capo d’imputazione non era previsto all’epoca come reato (…)” però “Il fatto è sussistente“.
Il suo avvocato Federico Cecconi contesterà che la sentenza volesse entrare nel merito di un eventuale uso di sostanze dopanti da parte di Pantani, ma l’impianto accusatorio resta piuttosto chiaro.
Ancora più chiare saranno le parole della ex fidanzata di Pantani Christina Jonsson, tratte da una intevista rilasciata a un giornale svizzero, in cui chiarirà che durante la loro relazione Marco faceva uso di doping: “Da solo e valutando bene i rischi”.
Jesus Manzano, il ciclista le cui dichiarazioni hanno fatto partire l’inchiesta sul famigerato medico spagnolo Fuentes), ha fatto il nome di Pantani tra quelli dei ciclisti che certamente assumevano EPO.
Infine, quello di Pantani (come quello di altri vincitori del Giro, come Berzyn, Bugno, Roche…) è tra i nomi associati al lavoro di Francesco Conconi, il medico ed ex Rettore dell’Università di Ferrara che nel 2004 è stato riconosciuto colpevole (con i collaboratori Ilario Casoni e Giovanni Grazzi) di reati legati al doping. Dal 1980 Conconi gestiva un progetto del CONI. Da quel che capisco, Conconi avrebbe dovuto anche studiare un test che permettesse di individuare l’EPO. Viceversa, era lui che somministrava l’EPO ai suoi atleti. Al momento della condanna, il reato risultò però prescritto.

E’ possibile che nel 1999 a Madonna di Campiglio Pantani sia stato tradito, ma non credo sia possibile che i campioni usati poi per le analisi siano stati truccati. E comunque, non penso nemmeno che sia questo il punto. Nel film si fa riferimento alla lettera spedita da Renato Vallanzasca alla famiglia, nella quale il celebre bandito spiega che gli fu consigliato di non scommettere su Pantani, che il Pirata non avrebbe mai finito il Giro 1999. Ma se il nostro riferimento diventano le parole di Vallanzasca, direi che siamo davvero a posto.
Anche in onore della memoria di Pantani, penso sia assurdo negare la verità. Faccio riferimento a un’altra dichiarazione di Donati, che nel film spiega che se il doping non fosse stato così diffuso, Pantani avrebbe ottenuto gli stessi successi. E nulla li avrebbe potuti rovinare. Perchè il doping non può cancellarlo: Pantani è stato il più grande scalatore di tutti i tempi.

Il film di Erskine tra l’altro lo dice: il doping e il ciclismo sono sempre andati di pari passo. E’ inutile far finta che non sia così. Bisogna viceversa dirlo chiaro: nessun risultato sportivo giustifica mettere a repentaglio la propria salute.
Tanto per dire: com’è possibile trovare normale che i ciclisti dormissero con un cardiofrequenzimetro collegato a un allarme, che li svegliava quando i battiti del cuore calavano troppo? Una volta sveglio, il ciclista saliva su una bici stazionaria e pedalava per abbassare la concentrazione di globuli rossi.

Sono anche d’accordo con Gianni Mura (che lo aveva soprannominato Pantadattilo, intendendo che si trattava di un eroe d’altri tempi): il dramma umano di Pantani, è un’altra cosa. E’ qualcosa di drammatico, triste, che merita un rispettoso silenzio.

INTERVISTA a GIANNI MURA su Il Fatto Quotidiano

Chiudo con le parole del Presidente di Mercatone Uno, storico sponsor di Pantani, Romano Cenni: “Marco ha dato molto di più a noi, di quel che noi abbiamo potuto dare a lui”.

Riposa in pace, Pirata. RIvederti in bici per l’ultima volta è stato comunque emozionante come lo fu vederti volare verso la vetta dell’Alpe d’Huez.