I Diari del 2003: una caldissima estate

Diario di un cronista itinerante

Nell’estate del 2003 abbiamo sperimentato temperature record. Da fine maggio a metà settembre non si è mai andati sotto i 30 gradi. In Olanda molti alberghi non hanno l’aria condizionata e a giugno in precedenza avevo spesso dovuto accendere il riscaldamento. Nel 2003 si arrivò a 35 gradi. Segnale che le cose indubbiamente andavano al contrario. Qui cominciamo da un primo viaggio in Olanda per vedere la loro nazionale dal vivo. Emerge un’Olanda diversa, rispetto a quella che avevano raccontato prima di me…

30 giugno- Io, amico degli oriundi e degli olandesi

Sono in Olanda, anche se non si direbbe: c’è il sole e mi trattano benissimo. Pensate che mi hanno persino messo a disposizione un’autista, che fra l’altro è fin troppo solerte e ho dovuto sviare con una scusa per andare a mangiare da Mc Donald’s da solo; perchè un cronista itinerante ha questa esigenza, ogni tanto. Vi spiego poi il perchè…Per ora mi chiedo: dov’è finita quell’Olanda da icona del baseball italiano, posto dove piove sempre, ci odiano e sono tutti ubriachi da mattina a sera?
Gli olandesi che vedo io hanno organizzato un torneo bellissimo (non tanto tecnicamente, benchè il livello di gioco sia comunque buono, sto parlando del contorno) e stanno preparando molto bene gli appuntamenti di luglio. (ero ospite del World Port Tournament)
Io dico che è ora di rendersi conto che in Europa ci sono 2 nazioni che giocano a baseball. Una siamo noi, l’altra è l’Olanda. Se non collaboriamo, siamo proprio poco furbi. Loro e noi. Soprattutto noi, in verità. Perchè come facciamo noi (60 milioni, regioni che hanno bel tempo 11 mesi su 12, i due terzi dei luoghi che vale la pena di visitare al mondo) a temere loro (grandi come la Lombardia, freddi quasi sempre, addirittura di qualche metro sotto il livello del mare)? Vuol proprio dire che abbiamo un complesso di inferiorità.
A ben pensarci, su una cosa potremmo farcelo venire, il complesso: i treni.
La puntualità di quelli olandesi è persino offensiva. Prima di quello che dall’aeroporto di Amsterdam mi ha portato a Rotterdam (ore 11.16) ne partiva uno alle 10.54. Io l’ho puntato deciso, l’ho visto arrivare e fermarsi. L’ho visto chiudere le porte alle 10.53 ed ero pronto a gongolare. Ma non è mica vero che, mentre si è avviato, l’orologio digitale della stazione di Amsterdam è scattato e ha segnato le 10.54?
Due precisazioni:
1) Perchè un cronista itinerante ha ogni tanto bisogno di stare da solo. Perchè qui mi continuano a chiedere giudizi di baseball. Ma io non faccio che darne, giudizi di e sul baseball. Tra forum e articoli la mia vita è una partita di baseball. Diteglielo voi agli olandesi: non ho proprio altro da dire rispetto a quello che scrivo.
2) Certo è che se gli stand gastronomici li facessimo noi li riempiremmo un po’ meglio. Raccapricciante è soprattutto quello del pesce del Mare del Nord. Gli olandesi, se non state attenti, friggono di tutto. Anche qualche sirena
Da raccontarvi adesso ho il viaggio. Iniziato di buon (ottimo, vah…) mattino dallo “Sheraton” di Borgo Panigale (scelta vivacemente contestata dai vertici federali, ma quando si ha un aereo alle 6.20 si prenota l’albergo più vicino all’aeroporto, no?) è incappato in una colazione persa…”sa, apriamo alle 5.20 e la navetta per l’aeroporto parte proprio a quell’ora”…, il viaggio in questione ha vissuto momenti caldissimi nel primo pomeriggio. Convinto di essere parte dell’Europa unita, il vostro cronista non ha portato nessun riduttore per le prese elettriche. Errore clamoroso, perchè le prese di corrente ‘modello UE’ noi in Italia non le abbiamo. Stupitevi. Si è stupita anche la ragazza della reception dell’albergo, quando le ho chiesto un riduttore: li aveva solo per le prese americane. Quello che si è stupito di più è il tecnico di una super mega magazzino tutto fatto di cavi, prese, riduttori e cotillons. Tutto aveva, tranne quello che serviva a me (che intanto, con gradi centigradi 16, sudavo). Ma ho vinto io, comunque. Ho comprato una volgare ciabatta (con la sua bella spina ‘modello UE’ del cavolo) e l’ho smontata. Ho smontato anche la presa a muro alla quale era attaccata la lampada del mio comodino. E, in men che non si dica, è stata luce. Adesso speriamo di non beccarmi una scossa da 230 volt (qui ne hanno 10 più di noi, di volt), perchè sarebbe seccante.
Se dell’Europa Unita non sono troppo sicuro, dell’Unità d’Italia finalmente sì. L’hanno realizzata i taxisti di Roma e Milano. Che non ci sono mai, lasciando spazio agli abusivi. Voi provate ad arrivare a Roma o Milano dalle 9 alle 11 della mattina e ditemi se siete capaci di trovare un taxi. L’unica cosa che troverete diversa appena giunti nelle 2 metropoli sarà il lessico del taxista abusivo. “Serventassì, dottò” lo sentirete davanti a Termini. “Serveuntaxiiiii”, modello centralinista della SIP interpretata da Franca Valeri, è lo slang della metropoli che una ventina d’anni fa era da bere e che temo stiamo iniziando a…sudare.
Per chiudere, una lezione di propaganda. Mi siedo in tribuna a fianco di un tizio con la tuta di Cuba e scopro che è il radiocronista. Lo ascolto per verificare se magari dice qualcosa che posso rivendere a qualcuno di mia conoscenza (ad esempio: excelente fuego di un lanciatore che tira forte…questa era gratis) e lo sento che si lancia in un discorso farneticante sull’importanza per “Il popolo cubano” di battere la nazionale degli Stati Uniti. Nazionale? Ma qui c’è Eastern Connecticut, un College di Terza Divisione che non offre neanche borse di studio. Vuol dire che chi è in campo paga per iscriversi. Mi vien da dire che la grande vittoria il popolo cubano la celebrerà quando gli racconteranno meno balle. Cosa ne pensate?

Nel diario del 7 luglio provo per la prima volta a sottolineare come non ci sia differenza tra i cosiddetti oriundi e gli antillani. Un concetto ritenuto difficile da comprendere per gli olandesi (e ci sta), ma anche per alcuni italiani tafazzisti

Giorgio Turconi, presidente rockstar
Giorgio Turconi, presidente rockstar

La specialità degli olandesi è quella di creare piccoli inconvenienti. Loro non si faranno mai compatire lasciando per strada una squadra, ma sono capacissimi di inviare un pulman con meno posti del necessario. Non negheranno mai la parola ad un allenatore o dirigente avversario, ma magari non gli procureranno un interprete. Non ammetteranno che non gradiscono giornalisti italiani alle conferenze stampa, ma inizieranno a parlare in olandese tra di loro.
C’è però un giornalista italiano che può fregarli, a volte. In piena intervista di Riley Legito, antillano che non parla benissimo l’Olandese, il vostro cronista itinerante (che qualcosa capisce, pur non essendo in grado di comunicare in quella lingua gutturale) si è sporto verso un collega locale per dire: “Ma mi sbaglio o Legito non parla bene la vostra lingua?”. Stupore e dispetto: avevo ragione. Nelle Antille ci provano a insegnare l’Olandese a scuola, ma in realtà fuori dalla scuola (ammesso che nei Caraibi la frequenza alle lezioni scolastiche sia la stessa dei Paesi Bassi) i ragazzi parlano la lingua locale (si chiama Papamiento), che ricorda più che altro lo spagnolo.
Così, mi è toccato gentilmente far notare che La Fera sta ad un italiano quanto un antillano sta ad un olandese. Entrambi sono pienamente legittimati a giocare per le rispettive nazionali, ma non sono atleti prodotti dal vivaio italiano o d’Olanda. E’ un fatto e non c’è bisogno di girarci troppo attorno. Semmai, si potrebbe notare che almeno non esiste una nazionale degli Italiani d’America, come invece esiste quella delle Antille Olandesi. Con che criterio alcuni atleti giocano per le Antille e altri per la Casa Madre? Comunque, ai bei tempi (Mondiale del 1986) battevamo sia colonizzatori che colonia e sarebbe in effetti opportuno ricominciare da lì quanto prima.
Da domenica ho un nuovo idolo, anzi 2. Uno è il Sindaco di Saronno Avvocato Gilli, che durante la presentazione del Campionato Europeo (di softball) è riuscito a salutare tutte e 17 le delegazioni ospiti nella loro lingua madre, compresi il Greco, il Ceco e l’Ebraico.
“Prestazione papale”, mi è scappato detto al microfono durante la presentazione ufficiale, regolarmento officiata dal sottoscritto (ormai onestamente onnipresente) con tanto di sole in faccia e temperatura non inferiore a quella della superficie di Mercurio esposta al sole.
L’idolo degli idoli resta però Giorgio Turconi, il presidente del Caronno, che dopo la presentazione si è rapidamente liberato di giacca e cravatta, ha imbracciato la chitarra ritmica e, accompagnato dal fratello e virtuoso chitarrista solista, ha trascinato il suo gruppo ad un concerto rock fatto di cover celeberrime (‘Like a rolling stone’ di Bob Dylan, ‘Born to run’ di Bruce Springsteen le prime che mi vengono in mente) e di auto produzioni.

A questo punto, siamo in Olanda per l’Europeo, al quale seguirà la Qualificazione Olimpica. Come ogni membro della delegazione, trovo che l’Europeo sia una tappa di avvicinamento alla Qualificazione per Atene. Quindi, la rubrica è leggera. Fino a. quando prendo atto del disastro della sconfitta nei quarti di finale con la Svezia e delle sue conseguenze

20 luglio- Non è facile, credete a me

Devo ammettere che avevo pensato di non scrivere il Diario. Perchè questa è una rubrica leggera e il mio stato d’animo è invece un po’ pesante. Personalmente, mi sento parecchio coinvolto nel risultato dell’Europeo, che è una disfatta storica. Della quale non parlerò qui adesso, ma sulla quale tornerò (parlo degli aspetti tecnici) dopo il 28 luglio, penso doverosamente. L’impegno che ho preso con l’editore e il titolare del dominio di Baseball.it è quello di non far mancare il mio spirito critico sugli eventi agonistici. Ho deciso di farlo con entusiasmo e continuerò a farlo ancora per questo luglio del baseball europeo.
Voglio però spiegarvi perchè non è facile. In qualità di addetto stampa della Federazione io vengo a conoscenza di cose che non è logico che divulghi in qualità di cronista. Lo sapevo fin dall’inizio, ma oggi mi pongo troppo spesso la questione: il punto di equilibrio, dov’è? E non mi so dare una risposta. O meglio, me la so dare benissimo. Sono in effetti stanco di cercare un punto di equilibrio che non troverò.
Cercherò di essere più chiaro. Io sono uno di quelli che ha perso, l’altro giorno con la Svezia. E pur avendo perso, pur continuando a pensare cosa potevo fare di più IO nel mio piccolo per evitare quel che è successo, devo contemporaneamente rispondere alle esigenze di chi si aspetta che io critichi questa sconfitta, forse che io trovi dei colpevoli. Qualcuno magari spera che io dica che è colpa mia. E non sa quanto vorrei che fosse vero, perchè se per far giocare bene e vincere la nazionale bastasse cambiare il sottoscritto, non vedrei l’ora di farlo.
Insomma, avete capito perchè è difficile?
Da un punto di vista strettamente teorico, i prossimi 3 giorni potrebbero anche essere vacanzieri. Lo fu il giorno libero all’Europeo di Bonn, 2 anni fa. (vedi i Diari del 2001)
Allora mi recai ad Aachen, l’antica Acquisgrana. Allora ero in effetti un libero cittadino, non l’addetto stampa della Federazione. Allora me ne potevo andare in giro che non fregava niente a nessuno. Anzi, ridevano scoprendo che avevo lasciato il telefonino sul tram e di cosa avevo combinato per recuperarlo. Oggi, se perdessi il telefonino, correrei il rischio di essere denunciato di un danno al demanio, perchè la carta sim del telefonino è della Federazione che, pensate, paga anche la bolletta. Un vero scandalo. Io chiederei le mie dimissioni.
Forse a questo punto dovrebbe intervenire il garante per l’equidistanza di baseball.it dalla Federazione (se non c’è, lo creiamo) per valutare se non sto facendo troppa politica. Lo rassicuro: io non sto facendo per niente politica, nè qui nè altrove. Io sono solo un cronista sportivo che sta provando a dire che è stanco. Di più: stanco, amareggiato e deluso. Il mio unico privilegio è che c’è qualcuno che me lo lascia scrivere.
Questa mattina sulla spiaggia di Zandvoort sono stato ripetutamente scambiato per il bagnino. Curioso, perchè indossavo la polo da riposo della nazionale (uno scandalo che me l’abbiano data, lo riconosco, era meglio destinare quelle risorse federali a qualcosa di più costruttivo) e un paio di blu jeans (miei, anche quasi distrutti e niente affatto federali), ovvero tutto, tranne un abbigliamento da spiaggia.
In linea di massima, quando una persona di lingua olandese vi si rivolge il primo impatto suona più o meno così: vrsanfertrandscheee. Il secondo, abitualmente è in Inglese, accompagnato da sorrisino di compatimento. Se per caso non capite nemmeno l’Inglese, è lecito chiedersi come abbiate fatto ad arrivare sulla spiaggia di Zandvoort o, almeno, con quale scopo avete deciso di visitarla.
Andare al mare in Olanda è qualcosa di abbastanza atipico per noi. Qui vi noleggiano una sdraio solo dopo averla riparata con una specie di tenda, come dire un ombrellone laterale. L’ombrellone effettivo qui non è utilizzabile, perchè finirebbe col volare via. E poi, da cosa vi dovrebbe proteggere? Una simpatica muta da sub, non si sa mai vi venga voglia di entrare in acqua, invece la comprenderei nella dotazione del potenziale visitatore della spiaggia di Zandvoort.
Chiudo con qualche osservazione alimentare. Qui si fa tanto parlare della bontà di queste aringhe dutch, ma poi quando si va a cena fioccano spaghetti al pomodoro, pizze e compagnia. Mi sa che ci siano importanti dirigenti europei che con ‘ste sardine vitaminizzate ci marciano, ma a mangiarle sul serio manco ci pensano.
La scoperta del mese di luglio è invece un liquore locale che la gentile cameriera della nostra pizzeria preferita chiama henefe o qualcosa di simile e che, io trasponendo i suoni che emettono qui, scriverei più o meno Geneve, o qualcosa di simile. Scrivetelo come volete, a fine pasto ha il suo perchè.

Dopo il disastro, le cose migliorano. L’Italia riesce a piazzarsi tra le prime 6 e ottiene il diritto a disputare la Qualificazione Olimpica. Merito anche di un clima rilassato, che emerge dal Diario del 25 luglio

Ho percorso con studiata calma la strada che portava dal dug out al piatto di casa base. Mi sono posizionato nel box di battuta e ho guardato per terra. Ho notato che avevo i sandali e ho capito che non poteva essere una cosa seria. Però per una trentina di secondi ci ho creduto. Poi ho provato solo a colpire la palla, che è stranamente piccola, per chi da parecchi anni gioca solo a softball. Così come la mazza: mi sono fatto influenzare da quelle che usano i bomber e ho preso una vera e propria clava, non una baum bat 32.5, più umana e adatta alla mia età.
Cosa sto raccontando? Ma il mio primo batting practice con la nazionale!

Nel Diario dell’11 di agosto, giorno del mio quarantesimo compleanno, c’è l’addio a Tuttobaseball. E’ un giorno triste: leggendo Tuttobaseball ci sono cresciuto e a 17 avevo scritto chiedendo di collaborare. Per farmi disamorare, c’è voluto dell’impegno

Su Tuttobaseball in edicola appare un mio articolo/disamina sugli Europei. Non è firmato (un errore?) ma è mio, lo garantisco. Ebbene: compiendo un’operazione che per un giornalista è a dir poco censurabile, il direttore di Tuttobaseball Giorgio Gandolfi ha titolato il pezzo “10 italiani su 12 in campo con la Repubblica Ceca”, mettendo di conseguenza in bocca al sottoscritto un’affermazione che cozza palesemente con un concetto che cerco di divulgare da mesi: non esistono italiani di serie ‘A’ o ‘B’.
Beh, è evidente che non scriverò mai più articoli per Tuttobaseball, se non mi sarà garantito che verranno pubblicati senza cercare di alterare il pensiero che voglio esprimere.
Vedete come siamo ridotti a livello di comunicazione nei nostri sport? E poi pretendete che ci prendano sul serio, gli altri?

Chiudo questa puntata sui Diari del 2003 con un pezzo che ritengo assolutamente memorabile

18 agosto- Cosa c’entra Manzoni con il baseball italiano?

Se c’è una cosa giusta che Alessandro Manzoni ha scritto è questa: “Ma, quando io avrò durata l’eroica fatica di trascriver questa storia da questo dilavato e graffiato autografo, e l’avrò data, come si suol dire, alla luce, si troverà poi chi duri la fatica di leggerla?
“Bravo, Alex” mi ero detto alle medie. L’hai capito anche tu. Ma poi mi spiegò la mia professoressa di Italiano che in realtà era tutta una finta, che Manzoni sapeva benissimo che i suoi “Promessi Sposi” li avrebbero letti in tanti (più tardi avrei capito che nessuno lavora per 21 anni ad una cosa senza la convinzione che sia un capolavoro). E da quel giorno ho continuato a ripetermi che Manzoni era un trombone presuntuoso.
Io odio l’uso della punteggiatura, del nostro Alessandro. Guardate il suo celebre attacco: “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte….”
Ma quante virgole ha messo? E senza neanche un punto…. E pensate che secondo lui noi avremmo dovuto PARLARE così. Perchè Manzoni aveva l’ambizione di unificare l’Italia, questo si sa, dal punto di vista politico. Soprattutto però gli interessava unificarla dal punto di vista linguistico. Fu anche nominato capo di un’apposita commissione, ma combinò poco. Sapesse che a fare quel che tanto sarebbe piaciuto a lui fu la RAI quasi un secolo dopo, credo andrebbe letteralmente giù di testa.
Cosa c’entra Manzoni col baseball? Moltissimo.
Il baseball è sport di letteratura per eccellenza. Lo è sia perchè spesso sui campi da baseball nascono storie interessanti (almeno più di quella di 2 campagnoli che si vogliono sposare e non possono perchè un tizio cattivo non vuole) e poi perchè simula la vita: uno contro tutti, ma uno da solo non ce la può fare etc. Ora, di romanzi sul baseball ce ne sono a sufficienza per dimostrare quello che dico. Mi limiterò a esporvi cosa penso ci debba essere in un romanzo.
1) Una bella storia, con un inizio e una fine
2) Protagonisti che parlano come devono. Cioè, non potremo mai scrivere di una nave di pirati in cui il nostromo dice al marinaio: “Buon uomo, vuole per cortesia nettare il ponte del vascello” o di una partita di baseball nella quale un giocatore chiede all’arbitro: “Signore in blu, ritiene veramente che il lancio precedente fosse nella zona giusta per provocare la chiamata strike”.
Meno che mai posso credere che Tramaglino Renzo, riferendosi a Don Rodrigo, si sia espresso verso Padre Cristoforo chiedendo: “Che dice di quel birbone?”. Ma per piacere, “birbone”! Ma avrà detto “bastardo” o “maiale”…vista l’epoca (Tramaglino è uomo, si presume nemmeno troppo istruito, del 1600) posso pensare a “vile”. Ma “birbone”? No, non passa.
Certo, Manzoni non sapeva che un giorno ci sarebbe stato il cinema, con gli attori che parlavano con la loro voce e il loro accento, almeno in America. Era un uomo dell’800. Ma Shakespeare, allora? E Dante, che in 3 versi ci dice chiaro e netto dove vuole andare a parare: Nel mezzo del cammin di nostra vita/Mi ritrovai per una selva oscura/ E la diritta via era smarrita. Vaglielo a dire ai maestri del giornalismo anglosassone, che la storia del “Dove, come, quando e perchè” uno l’aveva già capita quando per mandarti in esilio bastava spedirti da Firenze a Ravenna?
Cosa c’entra il baseball (italiano) con Manzoni? Moltissimo.
Perchè come Alex ha castrato la possibilità che in Italiano venissero scritti romanzi per un 70/80 anni (direi fino agli “Indifferenti” di Moravia) così si è comportato chi è stato ai vertici del baseball italiano. Le fonti di comunicazioni sono state inaridite, i dati statistici custoditi gelosamente e resi disponibili solo a pochi eletti e il linguaggio è stato reso adeguatamente complicato, non si sa mai che il baseball potesse interessare a troppi.
Certo, lo sport del “bv, rl, so e pbc” appare difficile a molti. Normale che sia così. Ma lo sport in cui “un difensore in tuffo non arriva a raccogliere la palla e questo consente agli avversari di correre a punto” magari piace di più. Spero di spiegarmi, ma se non ce la faccio date pure del trombone anche a me.
Il baseball è lo sport di tutti in America. Il Vecchio Gioco, la prima cosa che ha unito immigrati di lingue diverse, la prima cosa che ha permesso ad un Italiano (Joe Di Maggio) di essere noto pur non essendo uomo d’onore. E a renderlo uno sport per pochi eletti ci dovevamo pensare noi, in Italia.
Già, ma a noi a scuola ci fanno imparare a memoria Manzoni….

La puntata e il pezzo su Manzoni sono dedicati ad Andrea Menetti, che nell’agosto del 2012 ci ha lasciati. Come Giacomino, era stato mio ‘fiero’ avversario sul forum di Baseball.it. Specie al riguardo dell’articolo che ho appena pubblicato. Lo ricordo (commosso) con questo pezzo che ho pubblicato sul sito FIBS poche ore dopo il suo funerale

Andrea Menetti
Andrea Menetti

Magari su Alessandro Manzoni non avevamo lo stesso giudizio, ma l’amore per i libri e per il baseball era identico. E in ogni caso, oggi era troppo presto per dire addio a Giacomino.
Avevo conosciuto Andrea Menetti come Giacomino (il suo nickname) sul primo, storico forum di baseball. Quello di baseball.it (parliamo del 2002, quando nei forum di baseball era un piacere discutere) e per me era sempre rimasto Giacomino.
Ad un certo punto, io sono uscito dai forum. E anche Giacomino non partecipava più. Dico la verità: non avevo sentito lui e sua moglie Giovanna per anni. Poi, nel corso dei play off 2010, un’amica comune mi ha reso partecipe della malattia di Giacomino. Una malattia terribile, che lui affrontava con coraggio e speranza. Ma che non gli ha lasciato scampo.
Andrea Menetti era un professionista dell’editoria. Coordinatore editoriale del Consorzio per l’Editoria Cattolica, ha curato il carteggio di Renato Serra con Luigi Ambrosini (“Mio carissimo”, MUP 2009), una raccolta di scritti di Ezio Raimondi (“La stagione di un recensore”, MUP 2010), un’antologia delle riflessioni dedicate da Antonio Gramsci a giornalismo, editoria e letteratura (“Il lettore in catene”, Carocci 2004) e, con Giovanna Delcorno, ha ricostruito la storia della biblioteca personale di Antonio Ungar, bibliofilo e allievo di Giovanni Pascoli (“Un lettore marginale”, Pàtron 2004).
Il 13 giugno era stato presentato “Debite proporzioni”, il suo primo romanzo. La storia di una mezza giornata di Umberto Redondi, un ragazzo che diventa uomo nell’Appennino emiliano nel dopoguerra.
Ho il grosso rammarico di non essere intervenuto alla presentazione, ma certo posso leggere il libro. In qualche modo Giacomino riceverà le mie critiche.
Intepreto il sentimento di tutto il baseball italiano: siamo vicini a Giovanna, nel momento del dolore per questa perdita.