Ivan Gazidis e Paolo Maldini

Gazidis parla, conosciamo il Milan del Fondo Elliott

CALCIO

Ivan Gazidis, l’Amministratore Delegato del Milan, ha parlato oggi in esclusiva alla Gazzetta dello Sport. O meglio: la Gazza gli ha aperto il giornale e ha fatto una sintesi di quello che il vice direttore Andrea Di Caro ha definito “2 ore di colloquio”.

Nonostante non sia per niente il mio tipo di intervista preferita (avrei preferito vedere il cronista stimolare Gazidis, che invece ha avuto la possibilità di un monologo), il contenuto è interessante. In particolare, perché l’Amministratore Delegato del Milan ha chiarito: “Chi cerca un demiurgo che, schioccando le dita e aprendo i rubinetti economici, risolva i problemi non lo troverà qui”.

Il Fondo Elliott non si comporterà insomma come gli sceicchi che hanno rilevato il Paris St Germain e il Manchester City.
Secondo Gazidis, i fondamentali saranno: “riorganizzazione economica e capacità di generare profitti; aumentare la qualità della squadra; trovare le giuste soluzioni per lo stadio”.

Il Milan verrà, insomma, trattato come un’azienda. Cosa che non ha fatto negli ultimi 10 anni Berlusconi (che tendeva a vederlo come il suo hobby) e non ha fatto naturalmente la proprietà cinese, che ha tentato un all in modello tavolo da poker (o vinco o la spacca) e si è ritrovata in mutande.

Dice ancora Gazidis: “Il brand c’è, la storia pure, ma il calcio si è evoluto…il Milan dev’essere orgoglioso della sua storia, ma non è nel passato che troveremo la soluzione dei problemi”.

Da tifosi, vorremmo che il Milan si presentasse all’inizio del prossimo campionato super rinforzato. E molti hanno storto la bocca ipotizzando “il mercato dei giovani”. Ma Gazidis spiega che quel che lui ha in mente: “non significa non sognare, significa lavorare duramente per rendere i sogni realtà” e che “non compreremo giovani talenti per rivenderli, ma perché restino e facciano la storia futura del Milan”.

Mi era già piaciuto, questo Sudafricano che ha studiato in Inghilterra, quando aveva parlato di gestione sostenibile. Mi piace ancora di più ora che dice, senza mezzi termini: “Nel calcio italiano l’enorme quantità di entrate degli anni ’90 non sono state mai impiegate per crescere nelle infrastrutture e nella gestione delle società”.
Sono parole su cui riflettere.

Io non so se veramente Leonardo e Gattuso se ne sono andati perché “non condividono il progetto” o se sono stati allontanati. Ma sono certo del fatto che Leonardo è un dirigente scuola geometra Galliani, abituato cioè a fare affari con i procuratori e portato a impegnare il club con contratti che garantiscono ai calciatori stipendi stellari. Con l’attuale fatturato, bisogna farsene una ragione, il monte stipendi deve per forza scendere.

La proprietà attuale del Milan per me è sinonimo di garanzia. Prima di tutto, per i mezzi che ha a disposizione. Paul Singer (classe 1944; ha fondato Elliott nel 1977 assieme a Jon Pollock, partendo da poco più di un milione di dollari) ha un patrimonio personale di 3.2 miliardi di dollari. Non è ricco come Berlusconi (il cui patrimonio personale è oltre i 6 miliardi), ma il Milan se lo potrebbe permettere anche come investimento personale.

La Elliott Management Corporation (oltre a Paul Singer e Pollock, gli equity partner sono il figlio di Paul Gordon, ex manager di Lehmann Brothers, e Steven Kasoff) gestisce invece nel mondo asset per un valore di 35 miliardi di dollari. Il Milan, insomma, rappresenta per Elliott veramente una goccia in un oceano.

Per arrivare a inquadrare l’investimento di Elliott nel Milan, cerchiamo di capirci su cosa è un hedge fund. Il mestiere di questi fondi è raccogliere denaro da investitori qualificati (nella Unione Europea si intende chi ha un portafoglio da almeno mezzo milione di euro e opera professionalmente) o istituzionali e investirli in varie attività.
Elliott si è meritato la fama di fondo avvoltoio quando ha speculato, con grande successo, sul debito sovrano dell’Argentina.
Quando ha sostenuto il Milan di Yonghong Li, Elliott ha fatto un tipo di investimento che tecnicamente si chiama in distressed securities. Si è accollato un rischio di default per puntare a rilevare il club a un prezzo conveniente.
Attenzione però: al momento non è che Elliott abbia fatto un affarone, visto che ha dovuto investire nel Milan circa 200 milioni di soldi veri.

Non è realistico pensare che Elliott abbia fatto tutto questo per rivendere il club. Il rischio non giustificherebbe il potenziale profitto di qualche centinaio di milioni.
A Elliott il Milan serve, come ha scritto Tom Braithwaite sul Financial Times, “per una definitiva integrazione nel tessuto europeo”.

Non so se è giusto definirlo avvoltoio, ma Elliott è di sicuro un fondo attivista e l’Europa gli interessa parecchio. Possiede una partecipazione del 13% in Telecom Italia, del 3% in Bayer (Germania) e del 3% in Pernod Ricard (Francia).
In confronto a questi gruppi, il Milan con i suoi 200 milioni di fatturato è un nano. Ma lo sarebbe anche il Manchester United. Telecom fattura quasi 76 miliardi, Bayer poco sotto i 40, Pernod Picard arriva a 9. Rispetto ai miliardi che ha pagato per queste partecipazioni, le centinaia di milioni investiti nel Milan sono per Elliott briciole.

Con questo, non voglio escludere che Elliott il Milan lo venderà. Ma certo, un profitto di questo genere non è l’obiettivo di breve termine.

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