E New York è la capitale del baseball

All Star Game 2013, BASEBALL, SPORT

Il 15 luglio del 2013 sono partito da Milano Malpensa per New York. Nella cosiddetta Grande Mela mi attendeva l’All Star Game della Major League Baseball, uno dei grandi eventi dell’anno. Questa serie di articoli parte proprio dall’All Star Game e speriamo vada anche un po’ oltre.

La mappa della subway di New YorkAlla fine, il punto sta in quello che ha detto mia moglie: “Ma come, siete arrivati a New York oggi e siete già allo stadio?” E sta nel fatto che non sapevo come rispondere, perchè è ovvio che siamo allo stadio, se c’è l’Home Run Derby. Ma che domanda è? Oltretutto, non è la prima volta che arrivo in una città americana e vado subito allo stadio. Anzi, ho fatto una volta di meglio, andandoci con le valigie nel baule dell’auto.

Il 15 luglio 2013, no. Mi sono limitato a salire su un taxi all’esterno dell’aeroporto “Kennedy”, dopo aver incassato una pietosa bottiglia d’acqua dall’addetto di Port Authority (che gestisce i trasporti dal “Kennedy”): il caldo non è normale.
L’autista indiano (nel senso: del subcontinente) mi ha detto: “Mi guidi o metto il navigatore?”. Che detto da un autista, non è tanto bello. Ma è sempre meglio che sbagliare strada.
L’officer dell’immigrazione era stata simpatica come un pugno nei denti: “Se hai usato questo visto dal 2007 a oggi, non è detto che tu abbia fatto la scelta giusta”.

L’Hotel Le Bleu si trova strategicamente a Brooklyn, che è in linea d’aria più vicino a Queens (dove ha sede il City Field dei Mets, che ospita l’All Star Game) rispetto a Manhattan. Peccato che una sommaria analisi della cartina della metropolitana di New York chiarisca come non esista una linea sud-nord da Brooklyn al Queens: tutte le linee della Subway passano da Manhattan.
Ma non è che questa sia stata l’unica discriminante nella scelta del Bleu. Il fattore prezzo ha avuto il suo peso. Non è che costi poco (tipo 200 dollari a notte), ma per lo stesso prezzo a Manhattan sarei finito in uno di quegli alberghi in cui c’è di bello solo la Hall, la camera è a vista scala anti incendio e c’è la macchina d’ordinanza del New York Police Department parcheggiata davanti.
La ragazza della reception è spiritosissima: “Avete 2 bottiglie d’acqua gratis. Ma solo per oggi. La colazione è gratis. E non solo per oggi”.

Con l’occhio appiccicoso da jet lag non è tanto facile familiarizzare con la metropolitana di New York. Che è complicata, ma entro una settimana la si padroneggia. E entro una settimana da quando la si inizia a padroneggiare, ce la si scorda. IIl primo giorno, si tende a prenderla nella direzione sbagliata.
Da Manhattan si prende a Times Square la linea 7, che va diretta a Flushin e quindi allo stadio dei Mets (che ha la sua fermata dedicata). Ci sarebbe una linea espressa, che fa meno fermate. Ma con l’occhio da jet lag, non la si prende. sulla linea locale, verso le 19.20 subentra il panico da chiusura dello sportello che distribuisce gli accrediti. Che sarebbe il minimo: sarei andato allo stadio senza nemmeno riposarmi, giusto per tornare e avere l’impegno di tornare il giorno dopo a ritirare l’accredito.

Il cubano Cespedes ha vinto la gara dei fuoricampoLa ragazza che distribuisce le credentials dev’essere parente con quella dell’immigrazione, a livello di cortesia. Ma sarà perchè sono arrivato a pochi minuti dalla fine della sua giornata di lavoro. Comunque, caccia una busta con dentro l’accredito (la foto mi ha schiacchiato il cranio e ho la testa lunghissima e stretta, ma non è un problema), una carta di credito per i pasti e un distintivo per accedere agli spogliatoi.
Orientarsi in uno stadio da Major League, per noi ragazzi di provincia non è mica uno scherzo. Così, quando finalmente entro in sala stampa, la gara dei fuoricampo è iniziata. Ci sono oltre 3.500 giornalisti, che non è un numero normale. La tribuna stampa di City Field ne terrà 200, quindi siamo in circa 3.300 a dover cercare posto nei posti auxiliary. La ricerca non è tanto semplice, anche perchè la mappa appesa al muro è scritta in caratteri piccolissimi. Poi, quando siamo pronti per sederci, scatta la fame. E scatta l’uso della carta di credito per i pasti. Che, ci dicono, contiene 15 dollari. Considerato che il buffet costa 13.5 dollari e che i prezzi dello stadio sono su livelli di indecenza (una birra nel bicchiere souvenir 12 dollari) non ho troppa scelta.

Dal mio punto di vista, l’atmosfera è ovattata. Siamo al chiuso e io sono anche stordito. Per me ormai sono le 2 della notte.
Il posto a sedere non è proprio granchè, Oltre a essere dietro gli esterni, ha la vista in parte ostruita dalle protezioni che impediscono alle palline di seminare il panico tra i frequentatori di questa sezione dello stadio. E delle protezioni, c’è bisogno quando Cespedes degli Oakland A’S inizia a Bryce Harpersparare cannonate. Alla fine del suo primo giro di battute, otterrà 17 fuoricampo. Enfatizzo: fare fuoricampo con la mazza di legno, non è facile nemmeno in allenamento. Ma mandare la palla a 150 metri non è proprio per tutti. Per Cespedes, sì. Poi lo intervistano e la magia viene meno. Sia per la domanda: “Quando eri a Cuba, te lo saresti immaginato?” (Dai!), che per la risposta, perchè Cespedes è comunicativo tipo “nome e numero di matricola” che pronunciano i prigionieri di guerra.

Il City Field è gremito di gente che non necessariamente è interessata a quello che si vede in campo, ma sicuramente vuole esserci e dire che c’è stata. C’è talmente caldo che quasi tutti hanno un asciugamano attorno al collo e gli stessi atleti si devono fermare per asciugarsi il sudore, dopo un certo numero di swing. Cespedes le manda alte, altissime. Il suo rivale Bryce Harper (Washington Nationals) fa partire dei line drive che arrivano alla recinzione in un attimo. Cespedes vince con 31 fuoricampo ottenuti in giornata. O forse sono 32. Comunque, vince.
Alla stazione del metro sembra che la linea 7 sia ferma e che si debba prendere la ferrovia verso Penn Station. Si dovrebbe, se si riuscisse ad arrivare al binario. Poi una voce dice che la 7 funziona. Un’altra voce dice che la nostra fermata è chiusa. Facciamo un pezzo di strada a piedi e quando appoggio la testa sul cuscino, probabilmente non so bene chi sono e, di sicuro, non ho idea di dove sono.