Della linea editoriale

Il praticante, MULTI MEDIA, SCHIROPENSIERO

Ho già scritto che prendo molto sul serio il mio mestiere. Così, da quando a fine 2009 la FIBS (Federazione Italiana Baseball Softball) ha deciso di registrare www.fibs.it come testata giornalistica e ne sono divenuto direttore responsabile, ho sempre tenuto a mente che sono io (lo dice l’articolo 57 del codice di procedura penale, dal 1958) che rispondo di fronte alla legge di quello che c’è scritto sul sito in questione. Premesso questo, mi posso occupare di linea editoriale.
Qualsiasi pubblicazione registrata ha una sua linea editoriale, che viene scelta dall’editore (so che può sembrare ovvio, ma è meglio essere chiari) assieme al direttore e approvata dal gradimento della redazione. Questa è la norma. Ci sarebbe poi da discutere su cosa si intenda per linea editoriale. Per un giornale generalista (quotidiano o periodico, stampato o radio televisivo) di solito si tratta dell’approccio alla politica. Per gli specialisti, la linea editoriale dovrebbe viceversa essere più strettamente tecnica. Ma va da sé: visto che buona parte delle discussioni di politica riguardano l’economia (scriviamo tutto minuscolo…), i giornali economici hanno a libro paga fior di editorialisti politici. Chi si occupa di sport e di spettacolo sceglie una linea più tecnica (quali sono le cose che interessano di più i lettori) e cerca di raggiungere un equilibrio con le esigenze dell’editore. Che di solito vuol far quadrare i conti, ma non è escluso che accetti di lavorare in perdita, pur di ottenere altri scopi. Nei meandri dei bilanci consolidati, almeno per un po’, qualche perdita passa inosservata.

Uno sport come il baseball non ha mai avuto un riscontro di particolare peso sulla stampa tradizionale (intesa come giornali, radio e televisione in ordine di anzianità), almeno non su base quotidiana. Quindi l’avvento di internet ha innescato una vera e propria svolta epocale. Che secondo me è stata comunque meno devastante di quel che avrebbe potuto a causa di una questione prettamente anagrafica. Quando internet è diventato uno strumento universale (parliamo di fine anni ’90 o primi anni del nuovo millennio), la dirigenza di quasi tutti i club principali, come quella della Federazione, era in mano a persone mature, con poca familiarità con il personal computer. Già non tutti i miei coetanei (i trentenni di allora) capivano le potenzialità del nuovo mezzo. Ma chiudiamo la parentesi.
Internet è un mezzo molto diverso dal quotidiano tradizionale, che a sera è vecchio e il giorno dopo serve a incartare pesce e verdura al mercato. Un articolo su un sito resta per sempre. Con lui, restano ovviamente gli eventuali errori. Può sembrare a prima vista un paradosso, ma una redazione internet dovrebbe essere ancora di più organizzata, rispetto a una redazione tradizionale. Le verifiche dovrebbero essere più accurate e le rettifiche sono ancora più importanti. E’ infatti eticamente molto discutibile, correggere un’affermazione senza sottolineare come, appunto, la nuova versione finisca con il modificare una precedente affermazione.
Internet è molto importante per uno sport come il baseball anche perché consente una visibilità potenzialmente formidabile a costi estremamente bassi. Ma questo è anche un limite: chi litiga con i budget, non può assolutamente permettersi di costruire una redazione che contenga figure che ricoprono compiti di verifica e controllo, la cui importanza oltretutto viene in questo momento spesso sottovalutata anche in contesti ben più ricchi, dal punto di vista della disponibilità economico finanziaria. E a questo punto, coloro che sono chiamati a fare la differenza sono i giornalisti.

Non torniamo agli annosi e inutili distinguo tra professionisti, pubblicisti, professionisti con 40 anni di iscrizione o professionisti che sono in giro solo da 15. Parliamo di giornalisti: persone che hanno voglia di fare questa professione nel modo migliore. E che, magari, hanno voglia di leggersi la carta dei doversi del giornalista. Che è del 2009, ma dice quello che è vero da sempre e continuerà ad essere vero per sempre. Parte dalla premessa che è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge ed enuncia un principio che è fondamentale: La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri.
Forte, come espressione, non è vero? Tutte le volte che la leggo, quasi mi emoziono. E mi deprimo anche un po’, alla luce di come sembrerebbe tutto facile e di come invece sia tutto piuttosto difficile.

Chi vuole fare un sito di baseball, secondo me deve partite da qui: da cosa manca per informare meglio e di più chi desidera essere informato. Scelto il cosa, si sviluppa una linea editoriale. Ovvero cosa merita di essere in primo piano, cosa ha una rilevanza inferiore, cosa deve essere addirittura conservato nella home page indipendentemente da quanto la notizia è stagionata. Nel corso degli anni ho visto diversi tentativi di ottenere visibilità pubblicando i comunicati delle singole società. E’ un intento lodevole, ma deve tenere conto di parecchi punti deboli. Il primo è lo squilibrio creato dall’atteggiamento delle singole società. Alcune inviano decine di comunicati, altre si limitano a 2 o 3 in una stagione. Non è buon giornalismo pubblicare tutto indiscriminatamente e non lo è nemmeno commentare: “Chi non me li manda, si arrangia”. Noi dobbiamo infatti aiutare il pubblico a navigare nel sito, permettergli di ricercare quel che magari si è perso. Se non si offre un’adeguata categorizzazione dei contenuti, si è lontani da qualsiasi risultato accettabile. Così come se non si riesce a stabilire con il visitatore un rapporto che gli consenta di avere un’idea precisa sulla frequenza di aggiornamento del nostro sito.
Anche per Internet vale poi quel che vale a qualsiasi livello di giornalismo: i commenti devono essere separati dalla cronaca. Altrimenti, si fa confusione e non si è nemmeno troppo corretti. E’ banalmente diverso dire “questo non mi piace” oppure “questo è brutto”. Meno banale, altrettanto diverso e molto scorretto è dire “il tal giocatore si trasferisce alla tal squadra” rispetto a “penso che il tal giocatore sarebbe un grande acquisto per la tal squadra”.
Poi c’è il linguaggio. Un articolo che racconta una partita di bambini come se fosse una delle gare delle World Series è quasi sempre ridicolo. Ma non perché i bambini sono meno capaci dei professionisti milionari (che è ovvio), piuttosto perché chi lo scrive non dovrebbe far finta di non vederlo. A chi giova, scrivere che a una partita di amatori c’era un “pubblico record”? Quasi certamente non è vero e chi legge lo sa.
Su questo sito l’ho già scritto, ma non mi costa nulla ripeterlo: non si può comunicare quel non esiste. Se lo vogliamo proprio fare, dedichiamoci a scrivere romanzi di fantasy.
La lingua italiana è bellissima e ci dà tutti i mezzi per spiegarci bene. Se vogliamo dire che i Topolini hanno battuto i Paperini (naturalmente, mi sto inventando i nomi), scriviamo che i Topolini hanno battuto i Paperini. A cosa serve complicarci la vita sostenendo che “i nostri portabandiera” si sono “imposti con grande grinta” alla “compagine avversaria”?
Lascio per ultima la considerazione che è forse la più importante. Se vogliamo fare un sito di baseball, dobbiamo parlare di baseball. Cioè di quel gioco nel quale si lancia la palla, si batte la palla, si prende la palla e si tira la palla. Se tutto il nostro interesse è per chi ricopre oggi una determinata poltrona, quante possibilità ha di tenerci sopra il culo e chi è che lo vuole scalzare, siamo lontanissimi dall’obiettivo. Che (insisto) è quello di fare l’interesse del pubblico, nel nostro caso gli appassionati di baseball (o di softball, naturalmente).

Rispetto a 15 anni fa, i siti internet sono quasi diventati lo strumento vecchio. Oggi per comunicare si usano parecchio i blog e i social network. Ma anche su questo, è il caso di capirci.
Il blog (sarebbe web-log, cioè “diario sul web”) è di fatto un sito internet. Solo che il blog può anche essere tenuto da un non giornalista, che quindi non ha sottoscritto la carta dei doveri di cui sopra, non ha come primo interesse quello di informare i cittadini, più probabilmente punta a nutrire il proprio ego. Va naturalmente benissimo, ma non bisogna prendere quel che scrive per oro colato. Diciamo che è come andare al bar e fare le classiche 4 chiacchiere. A ben pensarci, l’antesignano del blog era lo speaker’s corner di Hyde Park a Londra. Che nessuno ha mai preso come fonte di informazione certa.
Facebook è uno strumento splendido, con il quale mi diverto molto. Ma che trovo più adatto a far circolare informazioni all’interno di un gruppo ristretto di persone, che per rivolgersi al pubblico. Ci sono ovviamente casi che mi potrebbero smentire: alcuni autori hanno pubblicato romanzi a puntate su Facebook e hanno attirato l’interesse di un editore. Ma queste cose succedono molto più di rado di quanto non si creda. Certo, una società di baseball o softball che si occupa di attività giovanile potrebbe anche decidere di non aprire un sito e di affidare a Facebook il dialogo con i suoi atleti e con il mondo esterno. Non la costringerà a pensare a un piano editoriale o a porsi problemi sulla frequenza di aggiornamento. Un sito, che è pur sempre un periodico, se non un quotidiano, comporta un impegno evidentemente diverso da un social. E per questo deve essere curato in modo più rigoroso.
Twitter è essenzialmente uno strumento utilizzato da un individuo. Che butta lì la sua verità. A volte è naturalmente anche fonte di notizie importanti.

In conclusione, sia comunque chiara una cosa: da giornalisti, non possiamo affidarci a quello che troviamo su Twitter o Facebook e trasformarlo in notizia, senza verificarlo. Quello i cittadini sono capaci di farlo da soli. Noi dovremmo semmai aiutare i cittadini a evitare di prendere per oro colato informazioni poco attendibili che circolano su Facebook, Twitter o in qualsiasi altro luogo virtuale della rete.
Allo stesso tempo, chi vuole divulgare informazioni farebbe bene a rivolgersi ai giornalisti e non limitarsi a dire: “Ma l’avevo messo sul mio profilo di Facebook”. Nel senso: se siete Matteo Renzi, o qualsiasi altro Primo Ministro di un paese industrializzato, potete anche dare per scontato che ogni vostro post su Facebook o Twitter arriverà a segno, ma se siete il Presidente di una società di baseball o softball che fa attività giovanile, fareste meglio a dare meno cose per scontate.