Dei bei tempi andati-seconda parte

Approfondimenti e curiosità, BASEBALL, SCHIROPENSIERO, SPORT

Il secondo articolo rivolto ai nostalgici di un passato del baseball e del softball che non esiste

Ci sono delle volte che mi chiedo dove ho vissuto io. Succede quando mi si avvicina qualcuno della mia età o poco più, gli si illuminano gli occhi e comincia a raccontarmi di quando la serie A di baseball si giocava nelle metropoli, gli stadi erano pieni, in campo c’erano tutti giocatori italiani fortissimi, la Domenica Sportiva dava i risultati tutte le settimane (che adesso, con i risultati in tempo reale sul sito, magari è anche più comodo…) e il lunedì eravamo in prima pagina sulla Gazzetta dello Sport.
Sono abbastanza vecchio, e dotato di sufficiente memoria, per ricordare correttamente l’epoca d’oro del baseball di Parma (diciamo la prima, delle epoche d’oro: quella di fine anni ’70 e inizio anni ’80) e ne ho anche già parlato in un articolo su questo sito.
Ho pure già parlato della visibilità sui giornali nella puntata precedente e di cosa accadeva alla Domenica Sportiva quando era regista Bruno Beneck (Presidente FIBS: quindi era Beneck, che otteneva spazi, non il baseball).
Rileggere l’articolo sulla Domenica Sportiva del 1970 è stato interessante anche per me, che così evito di ripetermi.

Ogni tanto arriva (o in trasmissione durante le dirette RAI o a me personalmente) una e mail di qualcuno che accusa il baseball italiano di essere eccessivamente emiliano romagnolo. Si tratta di qualcuno che evidentemente non sa, o scorda, che durante quella che è unanimemente riconosciuta (con tante lacrime di nostalgia) come l’epoca d’oro del nostro baseball lo scudetto lo hanno sempre e solo vinto (in ordine alfabetico) Bologna, Parma e Rimini. Controllate l’albo d’oro sul sito FIBS dal 1974 al 1985. Se poi scorrete in su con il mouse, noterete che dal 1986 a oggi a queste squadre ci sono state solo 3 alternative: il Nettuno, il Grosseto e il San Marino. Sarà ancora più interessante scorrere in giù con il mouse: l’ultima metropoli ad aver vinto è Milano nel 1970. In quell’ anno la presenza emiliano romagnola non era inferiore a oggi, visto che partecipavano Montenegro Bologna, Unipol Bologna, Bernazzoli Parma e Rimini. In compenso, si segnalava la presenza di 4 squadre di Milano e dintorni: l’Europhon (che alla fine vinse), il Nolex, la Norditalia Bollate e il Pirelli. Quest’ultima vinse 2 partite su 44 (ponendo magari qualche dubbio sul senso di giocare un campionato a 12 squadre, ma lasciamo stare). Se so ancora contare, si tratta di 8 squadre, due terzi del campionato, tra Milano e il Mar Adriatico. Aggiungiamo il Glen Grant Nettuno e l’Incom Lazio e facciamo 10. Le 2 aliene sono Cumini Ronchi dei Legionari e Juve 48 Torino. E’ molto diverso da oggi?
Nel decennio precedente, Milano aveva dominato assieme a Nettuno e gli equilibri li aveva spesso spostati un giocatore solo: Giulio Glorioso. L’ultima volta che Roma ha vinto io non ero nemmeno nato: era il 1959. E comunque, onestamente, visto che fino a metà degli anni ’60 si giocava sulla base di una partita sola a settimana, fare paragoni prima del passaggio al doppio incontro mi sembra davvero una perdita di tempo. Roma comunque manca dai vertici dalla stagione 1993, anche se per la verità il baseball di alto livello a Roma quest’anno si è giocato, a causa dei problemi riscontrati nella gestione dello Steno Borghese di Nettuno.
Per tirare le somme: lo scudetto del baseball non lo ha mai vinto una città più a sud di Nettuno. Nel massimo campionato non ci sono mai state squadre più a sud di Caserta. A parte Paternò (Catania) e poi la Franchigia Siciliana (che aveva sempre base a Catania), che però non hanno mai risolto il problema del campo di gioco, disputando i loro campionati tra Messina (struttura per altro eccellente) e Palermo (esperienza che definirei disastrosa). Oltre all’Emilia Romagna e alla Lombardia, non ci sono mai state Regioni massicciamente rappresentate al più alto livello del nostro baseball. Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Veneto a volte ritornano. Ma non le si può definire una presenza fissa. Realtà come Caserta, Verona, Macerata (le Marche non le avevo citate) non hanno mai avuto una presenza davvero apprezzabile di pubblico allo stadio. Che in maniera rilevante e con continuità si è sempre e solo presentato a Nettuno, Grosseto, Parma e (pur con percentuali più basse, rispetto alla popolazione residente) Bologna. Rimini ha avuto presenze considerevoli di pubblico solo in occasioni selezionate, tipo le partite di finale o comunque decisive.
Chi vi dice cose diverse, mente.

Parliamo adesso di scuola italiana. Vi riporto un estratto del verbale di un Consiglio Federale dell’aprile 1967, nel quale si esamina la prima tournè della nazionale di baseball negli USA: “I giocatori che abbiano riflessi pronti per battere una palla veloce e per pensare sempre abbastanza in fretta per fare il giusto gioco sul campo sono pochi (…) Abbiamo soltanto 3 ragazzi di una buona velocità (…) Anche i nostri giocatori più forti hanno delle braccia deboli in confronto ai nostri avversari (…) l’esecuzione della battuta è una cosa che tutti i ragazzi hanno appreso correttamente”.
Più tardi quell’anno l’Italia affronterà l’Olanda. Al Consiglio Federale verrà riferito nel mese di giugno: “La squadra migliore, l’Olanda, ha vinto per 3 partite a 1″.

Proprio partendo dagli insuccessi della nazionale (che, a suo dire, svolgeva un’attività che dava risultati “ridicoli e controproducenti”), Bruno Beneck pose le basi per scalzare Giuseppe Ghillini dalla Presidenza dell’allora FIPAB (fu poi proprio Beneck, nel 1970, a recuperare la dicitura FIBS, utilizzata da Steno Borghese nel 1948 e 1949 per definire l’entità alternativa alla LIB di Max Ott, con cui si fuse nel 1950 per dare vita alla FIPAB). Politicamente, Ghillini era stato indebolito anche dalla guerra a Steno Borghese (suo predecessore come Presidente FIPAB), che guidava una Federazione Europea (FEB) “Ormai superata”, ma che era riuscito a farsi confermare contro il volere della sua stessa Federazione Nazionale grazie a una campagna elettorale condotta da “Italiani non facenti parte della FIPAB”. Di questi, uno è facilmente individuabile: Giulio Glorioso.
Non a caso, Glorioso aveva coinvolto Beneck ai vertici della Lazio, di cui il futuro Presidente FIBS assunse velocemente la guida.
Glorioso era anche tutto impegnato a spingere i migliori talenti italiani verso il baseball americano. Beneck invece voleva fare esattamente il contrario: importare i migliori giocatori disponibili, specie se di origine italiana. Alla fine, su questo Glorioso e Beneck si scontreranno. Ma di come Giulio Glorioso abbia partecipato da protagonista ad ascese e cadute dei Presidenti FIBS ho già parlato su questo sito.
Torniamo a Beneck. Era ambizioso  e con la partecipazione al Mondiale 1970 aveva preso atto del fatto che i giovani italiani (a parte un paio: il lanciatore Bertoni e il catcher Castelli; fece di tutto per impedire agli allora teen ager di volare negli USA) non avevano speranze di primeggiare a livello internazionale. Beneck provò a vincere l’Europeo 1971 inserendo nella rosa il lanciatore Campisi. Nel 1973 aggiunse Sal Varriale (gli sarebbe piaciuto anche un formidabile lanciatore di nome Patrick Cardinali, ma era cittadino di San Marino. Poi, da italiano, metterà assieme 52 partite in azzurro con il suo vero nome, Mike Romano). Nel frattempo era entrato in conflitto con diversi azzurri, ai quali chiedeva disponibilità fino a 50 giorni per preparare i tornei.
Il conflitto fu la scusa buona per inserire 12 italo americani (su una rosa di 20) nella nazionale per l’Europeo 1975. L‘Italia (manager Bill Arce) vinse a 21 anni di distanza dal successo precedente. Rivinse nel 1977 (manager Ambrosioni) ad Haarlem in Olanda e in quella rosa i giocatori di scuola italiana erano solo 5. Erano scesi a 4 nel 1979 (manager Guilizzoni) a Ronchi dei Legionari, quando l’Italia vinse il terzo Europeo consecutivo. Non succederà più di tornare a vincere 3 Europei in fila, ma l’Italia di Ambrosioni ne ha vinti 2 consecutivi nel 1989 e 1991, quella di Marco Mazzieri nel 2010 e 2012. Ambrosioni, a parte l’edizione inaugurale del 1954, resta l’unico manager ad aver vinto l’Europeo con una nazionale tutta di scuola italiana (oltre a 1989 e 1991, vincerà nel 1997), Marco Mazzieri per ora è l’unico ad aver vinto in tornei nei quali sono ammessi i professionisti (non lo erano fino al 1998).

Nell’epoca d’oro non abbiamo dunque vinto, e  nemmeno riempito gli stadi, con i giocatori di scuola italiana: E perchè quella era un’epoca d’oro e quella di oggi no? Gli Under 18? Ma Beneck non li ha mai voluti, si tratta di un’idea del suo Vice Aldo Notari, durata lo spazio di una stagione (1975) e riproposta da Notari durante i suoi mandati con un correttivo: era diventata regola degli Under 23. Ebbe risultati disastrosi, sia detto per chiarezza.
Per valutare i momenti della scuola italiana, penso sia opportuno dare un’occhiata all’albo d’oro dell’Europeo Juniores. L’Italia vinse 3 volte consecutive nel 1976, 1978 e 1980 (con la generazione di quelli che saranno i P.O. di Beneck), poi assistiamo a una sostanziale alternanza fino al 1995 (dal 1986 al 1999 si giocherà il torneo ogni anno), quindi l’Italia crolla. E’ quarta nel 1996, terza nel 1999 e torna a vincere nel 2001 (manager Dave Robb), prima di perdere nel 2003 e 2005. Poi nasce l’Accademia e delle 5 edizioni in calendario dal 2007 al 2015 l’Italia ne vince 4, comprese le ultime 2 consecutive.

Non so se basta per convincervi che non c’è molto da rimpiangere. E non voglio nemmeno illudermi (e illudervi) del fatto che oggi sia tutto perfetto. Ma concludo comunque dicendo che lo stato di salute del movimento oggi non è per niente disperato. Anzi, dal punto di vista della produzione di giocatori raramente siamo stati meglio.
Chi parla di necessità di azzerare tutto e ripartire è un irresponsabile e non è nemmeno troppo informato sulla nostra Storia (maiuscolo!), più o meno recente.

2-FINE      LA PRIMA PARTE

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