Da San Diego riflessioni sul Classic 2009 e i media

BASEBALL, World Baseball Classic 2009 ,

In questo capitolo pubblico 3 Cartoline dal World Baseball Classic 2009: 15, 17 e 20 marzo.
Chi mi segue, sa dei problemi che ho avuto viaggiando con la United Airlines da Truk a Guam e da Houston a Nassau. Nemmeno io ricordavo che la United aveva iniziato a combinarmi casini molto prima. In questa cartolina del 15 marzo mantengo il tono dei Diari e inizio raccontando di qualche disavventura nel viaggio da Toronto a San Diego. Poi faccio una bella pubblicità a questa città, che definisco “la più europea tra le città americane che conosco”. E’ bene puntualizzare che non ero ancora stato a Boston

15 marzo- Arrivare a San Diego non è stato così facile

Mentre osservavo l’allenamento del Giappone a “Petco Park”, ero convinto che non ci potesse essere niente di più bello nella vita che essere a San Diego in un giorno di marzo e trovarmi a vedere questa meravigliosa struttura, che sorge come per miracolo nel bel mezzo del centro di questa metropoli (1.3 milioni di abitanti, che salgono a 3.2 se si considera tutta l’area metropolitana). E’ davvero bellissimo arrivare a Petco percorrendo la settima avenue e vedere i pali dell’illuminazione fare capolino tra i grattacieli. Certo, la sera prima non la pensavo così.
Un malaugurato incidente accaduto nella stiva di carico del volo che mi portava da Toronto a Chicago mi ha fatto perdere l’aereo che mi avrebbe dovuto far arrivare a San Diego. Il volo successivo era completamente pieno e l’impiegata della United Airlines (perchè oggigiorno uno prenota un volo Lufthansa, se lo rivendono alla Air Canada e negli Stati Uniti scopre di volare United, che è una compagnia che fa dell’overbooking una orgogliosa filosofia di vita) mi ha preparato uno splendido itinerario per San Diego (arrivo previsto ore 23.40, contro le 18.15 dell’itinerario originario…con il mio fuso orario le 2.40 di notte) via Los Angeles. Le mie valigie ovviamente sono state abbandonate al loro destino.
Giunto a San Diego, ho dovuto aspettare che l’unica impiegata United in servizio (quando gli americani vogliono risparmiare, sanno come fare…) completasse la supervisione della riconsegna dei bagagli arrivati con l’ aereo sul quale ero giunto a destinazione. Come immaginavo, le mie valigie erano ad un altro terminal. Un comodo autobus mi ha portato al terminal, dove le mie valigie per fortuna erano arrivate regolarmente. Un secondo autobus mi avrebbe dovuto portare a ritirare l’auto a noleggio. Ma l’autista si è sentito male. Così lo hanno dovuto sostituire e quando il nuovo autista è arrivato, ormai ad attenderlo erano una quindicina di passeggeri con qualche tonnellata di valigie.
All’Avis siamo comunque arrivati e l’addetto alla consegna ha scoperto che la mia prenotazione risaliva al giorno prima, quindi doveva re inserire i dati. Come se ritirare un’auto a noleggio non fosse già abbastanza laborioso.
Ormai scoppiato, visto che per il mio orologio biologico erano le 4 di mattina ed ero in viaggio da 17 ore circa, ho infilato un paio di sensi vietati prima di arrivare all’albergo. Che mi ero preoccupato di avvertire del ritardo, ma che non ha mancato di farmi pesare che aveva tenuto una stanza occupata per me senza essere tenuto a farlo, visto che inziava il primo week end dello Spring Break ed erano completamente esauriti.
Sinceramente, venerdì 13 marzo 2009 mi sono sentito solidale con l’ormai mitico Jason, che ad un certo punto di quel giorno ha pensato di mettersi una maschera da portiere di hockey e fare un massacro. Azione che si è poi protratta per una serie ormai interminabile di film. Per altro, ho rimosso il motivo per cui Jason ha iniziato a fare massacri, ma se non ricordo male muore in tutti i film; davvero non mi spiego con che scusa lo fanno ritornare ciclicamente sullo schermo.

Dalle tribune di Petco Park, dietro il tabellone, spunta il centro di San Diego

San Diego è la città americana più europea che conosco. Ed è anche una città che sembra fatta apposta per essere visitata. Intanto ha un clima che sostanzialmente non cambia mai durante l’anno, con temperature che di giorno vanno raramente sotto i 20 gradi o sopra i 30. Poi è ad un passo dal confine con il Messico, è il primo insediamento statunitense nella California del Sud, ha chilometri di spiagge, offre Sea World e un modernissimo Convention Center. Inoltre ha una sua Broadway, intesa come strada e intesa come teatri che propongono spettacoli di primo piano.
San Diego downtown la si conosce in un attimo, grazie alla sua strattura fatta di Avenue (numerate in ordine crescente) che vanno dalle colline al mare e Street (identificate da lettere dell’alfabeto, con qualche eccezione come Broadway o Market) che incrociano le Avenue. Dal centro all’aeroporto si va in un attimo e la Interstate 5 costeggia il limite del centro, fungendo in effetti da tangenziale di San Diego a tutti gli effetti.
Mentre cercavo di orientarmi (la mia prima giornata da inviato è, come tradizione, dedicata alla logistica) ho sentito animatamente discutere in Italiano dall’interno di un bar. Così sono entrato dichiarando: “Visto che sento parlare Italiano, penso di aver trovato il posto giusto per un caffè”.
La signora Luisa e la figlia Nancy (nata Nunzia) il caffè espresso lo fanno ristretto come lo può concepire un americano (sono qui da 19 anni, è comprensibile), quindi alla fine quello di Starbucks potrebbe risultare migliore. Però credo che tornerò a trovarle, perchè entrare nel loro bar mi ha dato in un attimo la sensazione che San Diego mi sia famigliare. Una bella sensazione. Ma, sotto altri aspetti, è anche una sensazione agrodolce.
Quando, dopo il tramonto, esco per le vie di San Diego noto una città splendida, vissuta, piena di gente dall’atteggiamento vacanziero. Ma è agli angoli delle strade scintillanti del cosiddetto Gas Lamp Quarter, il centro chic della città, che trovo la disperazione. Trovo gente che usa gli anfratti per ripararsi, che allunga speranzosa il bicchiere per chiedere pochi spiccioli. E capisco che io sono qui per un evento festoso e chi vi partecipa questa tristezza cercherà in tutti i modi di non vederla. Perchè i continui riferimenti all’economia che va male e ai biglietti di Spring Training che si vendono meno, sono fatti da persone che magari si disperano per un pennant perso. Ma a questo tipo di disperazione non fanno nemmeno caso.
E io, mi chiedo, sono pronto a non far finta di niente?

Le altre 2 cartoline sono dedicate al tema “World Baseball Classic e media”. Nella prima racconto del cambiamento di atteggiamento della stampa statunitense. Ma la più interessante è la seconda, nella quale affronto la polemica sulla copertura del torneo in Italia

17 marzo- La stampa americana comincia a ricredersi sul valore del World Baseball Classic

Diciamo che ci ha pensato K-Rod. Il fatto che Francisco Rodriguez, celebrato closer dei Mets e recordman (con 62) delle salvezze in una stagione, abbia accettato di entrare all’ottavo per salvare la vittoria del Venezuela sull’Olanda, ha cambiato il punto di vista della stampa americana sul World Baseball Classic. Almeno quella del New York Times.
Il giornalista H. Jaraton dice senza mezzi termini che i suoi colleghi che hanno bollato il World Baseball Classic come “semplice esibizione” sbagliano. E poi attacca gli Yankees in questo modo: “Per loro l’espressione interesse generale del baseball inizia e finisce con la loro stagione. E’ per questo che starnazzano se un loro giocatore torna con un leggero infortunio. E’ ovvio che ognuno ha il diritto di tutelare i propri interessi, ma vogliamo anche pensare al bene di questo sport?”.

In fase di presentazione il Classic era stato trattato abbastanza male da diversi organi di stampa in tutta la nazione.
Rick Morrissey sul Chicago Tribune aveva scritto che: “Gli americani salutano l’inzio del World Baseball Classic con lo stesso entusiasmo con cui si mettono i calzini la mattina”.
Il sito del Tampa Bay Tribune addirittura sbeffeggiava il Classic, descrivendolo come la “risposta del baseball alla crisi mondiale della globalizzazione”.
Il fatto che KRod tenga più a vincere con il Venezuela che a tutelare il suo contratto da 10 milioni di dollari con i Mets ha fatto scattare qualcosa.
Scrive ancora Jaraton sul New York Times: “Il Classic 2006 dovrebbe avere insegnato ai presuntuosi che il baseball giapponese non è così scarso. Magari non è come quello di Major League, ma non è neanche la brutta copia. Speriamo che, prima della fine, il Classic 2009 insegni ai puristi americani che è meglio che si siedano ben ancorati alla sella, perchè qualcuno non li disarcioni come ha fatto l’Olanda con la Repubblica Dominicana”.

Il dibattito sulla opportunità o meno di giocare il World Baseball Classic in questo periodo dell’anno è per altro acceso, specie dopo la serie di infortuni che ha colpito gli Stati Uniti.
Pare che ci siano molti General Manager grati all’Olanda per aver tolto di mezzo la Repubblica Dominicana e altri siano pronti ad esultare per l’eliminazione di Portorico o Stati Uniti.
Come sostiene l’ESPN Magazine: “Marzo non è un periodo perfetto per giocare il Classic, ma è il periodo migliore. Sarebbe anche peggio a fine stagione, con le star che hanno già trascorso 200 inning in pedana”.
La stessa rivista fa per altro notare: “Cole Hamels ha problemi fisici senza aver partecipato al Classic. La verità è che c’è una correlazione tra gli infortuni dei lanciatori giovani e la loro prima volta nella post season. E’ più logorante una stagione lunga, che non iniziare la preparazione in anticipo una volta ogni 4 anni”.

Anche San Diego ha una sua Little Italy. Tom Lasorda c’era in poster e di persona

Sono stato a Little Italy. Perché a parole siamo tutti pronti a dire: “Cosa vuoi che sia non mangiare italiano per un mese”. Poi però ogni tanto il richiamo della foresta si fa sentire.
Little Italy qui a San Diego è meno truce rispetto al più noto quartiere omonimo di New York. Sarà il clima, saranno i tavolini all’aperto (e le belle studentesse che sorseggiano il caffè, tutte cappelli a tese larghe e occhialoni da sole), saranno le foto dei grandi italo americani del baseball che si trovano lungo la strada principale: è un bel quartiere lungo il quale passeggiare.
Reso pimpante da questa atmosfera, ho scelto per il pranzo la Trattoria Fantastica, che aveva accanto all’insegna un bel poster di Tom La Sorda. Ordinate le melanzane alla parmigiana (che mi hanno servito fredde, un po’ da barbari….) e gnocchi alla romana, ho iniziato a guardarmi intorno. E chi ti vedo, riverito e ossequiato dal titolare? Tommy Lasorda in persona, che attacca un piatto di fettuccine e dispensa aneddoti.
L’ho lasciato pranzare in pace, Tommy. Ma pensa che coincidenza. Un mio amico direbbe: in-cre-dibile!

20 marzo- Ma chi l’ha detto che il Classic non è seguito dai media in Italia?

Il World Baseball Classic non sta ancora al baseball come il Sei Nazioni sta al rugby.
Il paragone in sè semmai potrà farlo il figlio di mio nipote quando avrà la mia età (mio nipote compie 11 anni in questi giorni: auguri!). Per quell’epoca io dovrei essere, a occhio e croce, l’intitolazione per qualche premio per giornalisti di baseball. O forse mi sarà stato intitolato un torneo (cosa che riterrei più adeguata…). O forse no, perchè giunto ad una certa età avrò iniziato ad utilizzare il sito internet di una società per i miei regolamenti di conti personali.
Tornando al Sei Nazioni, il torneo è nato nel 1883 ed era un Quattro Nazioni (Inghilterra, Irlanda, Scozia e Galles). Nel 1910 si è unita la Francia (Cinque Nazioni) e nel 2000 l’Italia (Sei Nazioni). Quindi, nella versione Cinque Nazioni, il torneo si avvia a festeggiare i 100 anni.
Il World Baseball Classic è nato nel 2006. I 100 anni li festeggerà nel 2106.
A ben pensarci, quindi, il paragone lo potrà fare il nipote del figlio di mio nipote, quando avrà la mia età.

Diciamo un’altra inoppugnabile verità: il Sei Nazioni ha certamente molta più copertura sui media tradizionali. Però ammettiamo anche un altro fatto: dalle fonti istituzionali, arrivano più informazioni ai media sul World Baseball Classic, che non sul super europeo di rugby.
Prendete ad esempio la sezione appositamente dedicata al Classic sul nostro sito (intendo ovviamente il sito della Federazione, www.fibs.it, per il quale questi articoli erano stati originariamente concepiti). Dal 7 marzo a oggi ha pubblicato 25 special (notizie in primo piano) e 28 news (altre notizie). Che sono state viste circa 48.000 volte, facendo della sezione World Baseball Classic quella più vista el sito dopo la home page.
Al di là dello snobbing che la stampa tradizionale fa di questo torneo, dire che del World Baseball Classic si parla poco è quindi estremamente impreciso. Chi si collega al sito FIBS ha tutte le informazioni che gli servono in Italiano. Chi se la cava con l’Inglese, ha anche di più sul sito del torneo. E chi è abbonato al bouquet di SKY ha una copertura televisiva ben superiore alle esigenze del più maniaco degli appassionati.
Consideriamo un’altra cosa: il Classic si gioca ad orari che (a causa del fuso) sono estremamente poco favorevoli ai giornali italiani, che per pubblicare una cosa domani (venerdì 20 marzo) devono avere in mano la notizia diciamo entro le 23 di oggi (giovedì 19).
La partita del World Baseball Classic giocata oggi, per il quotidiano è buona da pubblicare sabato 21. Quando si starà giocando un’altra partita. E soprattutto, quando l’utente ha già letto tutto quello che voleva sapere grazie alla notevole copertura fatta dai siti internet. Se non si tratta di una delle priorità della redazione (e il baseball, bisogna rassegnarsi all’evidenza, non è una priorità delle redazioni) o dell’editore (e questo, avendo a disposizione un adeguato budget, il baseball potrebbe anche riuscire a farlo in tempi brevi), è difficile che una notizia di questo tipo sia pubblicata in evidenza

Il baseball com’è concepito, con le partite che si giocano in notturna, è destinato ad avere un rapporto difficile con i media tradizionali. Grosso cruccio di quando c’erano solo i giornali, a riportare gli eventi sportivi. Al punto che gli americani si sono inventati l’orario ibrido delle 19. Ma oggi, con i nuovi media, il problema non si pone più. E la copertura è garantita, addirittura per un numero maggiore di utenti rispetto a quelli che leggerebbero i giornali. Volete un esempio? Ho in mano audiweb. E mi dice che, nel giorno medio, il sito di Repubblica ha oltre 1 milione di visite, quello del Corriere della Sera tocca le 840.000, quello della Gazzetta dello Sport ne ha 493.000, quello de La Stampa 179.000, quello del Corriere dello Sport 97.000 e quello di Tuttosport 54.000.
Le nostre Gallerie fotografiche pubblicate su Corriere e Stampa on line hanno raggiunto almeno un milione di persone al giorno e le news che Repubblica e Gazzetta dello Sport hanno postato (come dice il popolo di internet) quotidianamente hanno raggiunto quasi 2 milioni di persone.
Questo se l’aritmetica non è un’opinione.

A proposito di giornalisti e copertura, sono estremamente affascinato dalla marea di cronisti giapponesi che segue il Dream Team allenato da Hara. Mi diceva il responsabile della sala stampa qui che io sono l’unico occidentale a stare al computer come loro (e io lo prenderò come un complimento…), ma le analogie per me si fermano qui.
Ad esempio, invidio moltissimo il rotellone che c’è sui computer nipponici per andare a trovare i vari ideogrammi, quando la tastiera in sè non può nulla. E poi sono incuriosito, e in parte divertito, da come i giapponesi pongono le domande in sala stampa. Più che domande, si tratta di dichiarazioni sulla partita al riguardo della quale chiedono un commento. Con il risultato che, specie i centroamericani, abituati a domande molto polemiche, finiscono con il reagire con un sorriso e un: “E la domanda, quale sarebbe?”.

Alle finali del Classic a Los Angeles sono accreditati circa 600 giornalisti. Se non ci fossi io, sarebbero circa 599, insomma…A questo punto, se i quotidiani sportivi italiani fanno fatica ad accorgersi di questo evento, sinceramente diventa colpa loro.

Devo ammettere che mi dà molta soddisfazione prendere atto del fatto che io nel 2009 ero già arrivato alle conclusioni a cui sono giunti i sedicenti esperti di comunicazione 8 anni dopo.
Per la cronaca: a questo punto, dubito che mi verranno intitolati un premio giornalistico o un torneo.
Lunedì
 27 febbraio chiuderò con altre 3 Cartoline il Classic 2009.

3-CONTINUA