Da precario a direttore artistico

FICTION E PROGETTI EDITORIALI, Il praticante

“Tra un professionista e un pubblicista c’è la stessa differenza che c’è tra un medico e un infermiere” Francesco Silva

Nel 1990 ero pubblicista. Ovvero, stando alla normativa vigente (che è mia coetanea, visto che è stata scritta nel 1963) qualcuno che svolge anche lavoro giornalistico, ma non solo. Un professionista lo diventa dopo un Esame di Stato (prova scritta e orale, ne parleremo più avanti) che lo abilita al mestiere di giornalista. In nessuna maniera, insomma, c’è da dare per scontato che un professionista è bravo mentre un pubblicista è scarso.

Nell’ambiente giornalistico di Parma nei primi anni ’90 c’è in verità un sostanziale razzismo nei confronti di chi, come me, di fatto fa il giornalista di professione ma non è inquadrato né come professionista né come praticante, che sarebbe il periodo (18 mesi) che forma chi deve sostenere l’Esame. Inizialmente, il praticantato era l’unico sistema per accedere al mitico Esame, ma ormai stanno sorgendo le scuole di giornalismo, che valgono per il praticantato. Ma costano anche care. Io, nei primi anni ’90, non posso permettermi di spendere. Mando un’altra richiesta di praticantato all’Ordine, che molto cortesemente mi risponde che non ho diritto, neanche se lavoro a tempo pieno. Partecipo a un incontro con un rappresentante del Sindacato, che sostanzialmente dice: “Ma poi, chi ve lo fa fare di diventare professionisti, che tanto vi tocca rimanere dove siete…”.

Non è il mio problema peggiore. La Comunicazioni Parmensi s.r.l. diventa proprietà di Calisto Tanzi e della Parmalat, che pensano bene di scegliere come direttore una signora di circa 50 anni che chiameremo Barbie (se scrivessi nome e cognome, con quel che dirò di lei, verrei quasi certamente querelato) e che si presenta come grande giornalista. Per la cronaca, anche lei è pubblicista.
La Barbie ha una voce stridula e nasale, è evidentemente presbite e non ha nessuna idea. Legge il radiogiornale in maniera imbarazzante (rimarrà memorabile il suo attacco: “Click verde sulla città”) e mi chiede un parere su come legge. “Ma devi essere sincero”.
Sono sincero e,da quel giorno, inizia a perseguitarmi, senza mezzi termini. Io non sono uno che fa del vittimismo, ma il mio sistema nervoso è messo a dura prova. Un giorno sono a casa che ascolto una cassetta (c’erano ancora…) dei Clash e quando Mick Jones attacca le parole di Stay Free (We met, when we were at school) scoppio a piangere, facendo seriamente preoccupare mia moglie.
Le parole di Stay Free (che parlano di una persona che finisce in galera dopo un’infanzia disagiata) non si adattano per nulla alla mia situazione. Io ho avuto un’infanzia e un’adolescenza felici, se non privilegiate. Ma è il tono, quello dei ricordi, del come eravamo felici. E’ quello, che mi fa crollare. E infatti, non appena mi calmo, dico qualcosa tipo: “Ma cosa cazzo ne sanno loro, di cosa significa per me la radio”.
Loro è generico. Ma dopo quella crisi, la radio per me non sarà mai più la stessa cosa. Diventa un lavoro a tutti gli effetti, da onorare nel miglior modo possibile, ma cercando di far rispettare i miei diritti.
Chiedo un appuntamento al Sindacato dei lavoratori dello spettacolo. Mi riceve una persona con cui avevo avuto a che fare da Amministratore della Comunicazioni Parmensi. Ma sono parecchio ingrassato, porto gli occhiali e non mi riconosce. In compenso, mi tranquillizza: la Barbie non mi può cacciare.

Con le iniezioni di denaro che arrivano grazie a sponsorizzazioni di Parmalat, Cassa di Risparmio di Parma e altre aziende vicine a Calisto Tanzi (che non avremmo mai ottenuto, se la radio non fosse stata sua) viene rivoluzionata la strumentazione tecnica di Onda Emilia.
Sono anni importanti, professionalmente, che mi fanno crescere e mi danno grandi opportunità. Il Parma arriva ai vertici del calcio europeo e questo mi permette di viaggiare, di sedere fianco a fianco con colleghi noti e capaci. Io sono una spugna: guardo, osservo e assorbo.
Arriva anche qualche successo inequivocabile: quando Anna Maria Cancellieri è Commissario al Comune di Parma, mi dà in anteprima la notizia sulla data delle elezioni. Sono le 14, la replica del telegiornale di TV Parma va in onda dicendo che “Si attende che la Cancellieri si pronunci sulla data delle elezioni” e, pochi minuti dopo, io apro il radiogiornale di Onda Emilia con la data. La Barbie mastica amaro.

La Barbie è finita. I dirigenti del gruppo Parmalat che reggono la Comunicazioni Parmensi dal punto di vista amministrativo prendono atto del fatto che è totalmente incompetente e che ha fumato in pochi anni una cifra vicina al miliardo di lire. La emarginano e, di fatto, la gestione artistica della radio passa in mano mia.
Una radio come Onda Emilia deve a tutti i costi fare un certo numero di ore di informazione, per accedere ai contributi resi disponibili dalla Legge sull’Editoria. Tra le altre cose, mi invento il programma Terza pagina. Non è un titolo originalissimo, ma è un programma di cultura che attinge alla grande proposta di cui la città di Parma dispone. Ho la soddisfazione di intervistare grandi personaggi. Questo non è il romanzo, quindi non racconterò nei dettagli queste interviste, ma sono orgoglioso di aver intervistato Gabriele Lavia, Nancy Brilli, Massimo Dapporto. Porto a casa l’unica intervista concessa da Giorgio Gaber alla stampa di Parma. Era piccolo, Gaber. Piccolo, magro, con un naso enorme. Ma l’avrei voluto abbracciare.
Giorgio Albertazzi mi fa segno di non sedermi troppo vicino, con un gesto di fastidio che mi fa ancora sorridere. Un regista teatrale, dopo che gli dico se le scenografie sono ispirate ai disegni di Alcatena, commenta: “Complimenti per la competenza”. E ho la civetteria di lasciare la dichiarazione in onda.
In Terza pagina porto anche interviste a scrittori. Stefano Benni mi fa perdere tutto il giorno. Dopo che il critico della Gazzetta di Parma aveva iniziato l’intervista di presentazione della raccolta di racconti L’ultima lacrima con la seguente domanda: “Quale è stata l’ultima lacrima che Stefano Benni ha versato”,  Benni si era in effetti (e giustamente) incazzato e non voleva più concedere interviste. Ma lo conquisto dicendogli: “Mi ha molto colpito una frase che ho letto in Comici, spaventati guerrieri: non voglio né vincere, né perdere. Voglio che tu mi ricordi”.
“Beh” dice Benni “Fa piacere….ma non è proprio mia, l’ho copiata da un muro del DAMS, a Bologna….”.
Con altri, va meno bene. Aldo Busi mi attacca il telefono nei denti e poi chiama il direttore della libreria Feltrinelli (sponsor delle mie interviste) dicendo che ero un incompetente. In effetti, avevo detto che la sua scrittura non mi convinceva. Come mi ero permesso?

Di quegli anni ricordo anche il periodo di Tangentopoli. Che a Parma magari non fece scalpore come a Milano, ma che portò in galera un bel po’ di gente (specie pubblici amministratori). Prima che finisse in disgrazia, incontro anche Bettino Craxi, che era stato pochi anni prima per me un modello. E lo fu anche dopo questo incontro, per quanto avrei dovuto cogliere segnali che non colsi. Craxi era un uomo di grande fascino, dalla personalità evidentemente enorme, tendente alla tracimazione. Il segnale che avrei dovuto cogliere era la mediocrità dei cortigiani che gli stavano a fianco e annuivano a ogni sua dichiarazione, aggiungendo un sorrisetto ogni qual volta Craxi faceva fare la figura del coglione disinformato a un giornalista.

La mia vita da direttore artistico in pectore di Onda Emilia, voce principale del radiogiornale, radiocronista numero uno di calcio e baseball era praticamente perfetta. E infatti, finì nell’agosto del 1996.