A D’Annunzio sarebbe piaciuto Paul Weller?

LETTERATURA, MUSICA, Paul Weller, SCHIROPENSIERO

Domenica 5 luglio dentro al Vittoriale degli Italiani si moriva di caldo. La guida si faceva vento con un cartoncino mentre spiegava a 5 turisti che Gabriele D’Annunzio aveva organizzato tutto perchè in futuro la casa fosse visitata. Assieme all’Architetto Giancarlo Maroni, aveva ristrutturato perchè divenisse un omaggio alla sua inimitabile vita.
E’ successo che dal teatro sono partite le note di Above the Clouds, una canzone del primo album da solista di Paul Weller (1992). La guida si è fatta assorta: “Mica male, visitare il Vittoriale durante il soundcheck di Paul Weller“. Ha sorriso, è rimasto un attimo in silenzio e poi ha detto: “Sono convinto che a D’Annunzio i Mod sarebbero piaciuti”.

Con il busto del Vate al Vittoriale
Con il busto del Vate al Vittoriale

A leggere la prosa di D’Annunzio oggi, è inevitabile trovarla insopportabile. Prendo un esempio da Il fuoco, il romanzo che racconta la storia d’amore del Vate con Eleonora Duse, l’attrice più famosa dell’epoca: “Ella provava anche una volta, un’inquietudine e un timore ch’ella medesima non sapeva definire. Le pareva di smarrire il senso della sua vita propria e d’esser sollevata in una specie di vita fittiva, intensa e allucinante, dove il suo respiro diveniva difficile. Attratta in quell’atmosfera ardente come il campo d′una fucina, ella si sentiva passibile di tutte le trasfigurazioni che l’animatore volesse operare su lei per appagare il suo continuo bisogno di bellezza e di poesia”.
Non so se Paul Weller conosce D’Annunzio. Nel periodo in cui era leader degli Style Council (metà anni ’80) amava trascorrere le vacanze in Italia e dichiarava che il suo libro preferito era La Romana di Alberto Moravia. Cercò anche di incontrare Moravia, che declinò più o meno gentilmente l’invito. Più o meno come fece Paul Weller stesso con me nella primavera del 2001, prima di un concerto al Fillmore di Cortemaggiore. Ma sto divagando, perchè volevo solo dire che non è da escludere, che Paul Weller abbia letto qualcosa di D’Annunzio. Che oltretutto, tradotto in Inglese mostra uno stile decisamente ordinario ma anche più moderno. Però Paul Weller non può essere certamente definito decadente, nel senso letterario del termine. Ha recentemente dichiarato: “Io guardo poco al passato, perchè voglio vivere in pieno un’epoca che offre grandi opportunità”.

Il repertorio dei concerti di Paul Weller è sempre oggetto di discussioni. Lui potrebbe infiammare il pubblico con un concentrato dei grandi successi dei Jam (1977-1982) e non lo fa. Anche domenica si è limitato a Start (1980), la sua personale rivisitazione della ritmica di Taxman dei Beatles (Paul Weller è un magpie, una gazza ladra, che prende qua e là) con un testo dal grande valore letterario e (concedetemi) filosofico, perchè in pochi versi aspri e molto chiari esplicita il suo rapporto con chi lo ascolta: “Se potessimo comunicare per appena 2 minuti/Sarebbe un inizio/Per capire che c’è qualcuno al mondo/Che ama con una passione che si chiama odio”. L’ultimo verso, per me in Inglese è efficacissimo: “Loves with a passion called hate”, anche perchè Paul Weller conclude: “What you give is what you get (Quello che dai è quello che ricevi)”.
A Proposito di canzoni lontane nel tempo, uno dei momenti più intensi del concerto è arrivato con l’esecuzione di You do something to me (da Stanley Road, 1994). Nel testo Paul Weller fa un uso magistrale del simbolismo: “I’m dancing through the fire/Just to catch a flame/And feel real again”. Traduciamolo, ma non è la stessa cosa: “Ballo nel fuoco/Sto provando a prendere una fiamma/Per tornare a sentirmi vero”.
Ma il simbolismo in Paul Weller è quello classico dei romantici. A me i suoi versi più riusciti hanno sempre ricordato Shelley.
A citargli Shelley, facilmente D’Annunzio sarebbe andato in bestia. Infatti il suo simbolismo è tutt’altro. Se saccheggiamo La pioggia nel pineto, poesia con la quale più o meno tutti abbiamo fatto i conti alle superiori, leggiamo: “Taci. Su le soglie del bosco non odo parole…Ascolta, piove dalle nuvole sparse…Odi? La pioggia cade su la solitaria verdura”. Ammettiamolo: ha una certa forza.

Quando parliamo di Decadenti in letteratura, possiamo rivolgerci alla corrente di poeti che diedero vita a fine 1800 alla rivista francese Le Decadent e che reagivano alla decadenza dei valori nei quali si era creduto fino a quel tempo e alla delusione per il fatto che l’Illuminismo non era stato in grado di dare tutte le risposte. Possiamo però anche rivolgerci allo stile di vita di questa gente, ai suoi costumi dissoluti, all’abuso di alcol e droghe. In questo senso, erano loro decadenti. Non la società che contestavano.
Lo stile di vita di D’Annunzio noi lo potremmo considerare anche decadente (con la d minuscola), ma lui sicuramente non sarebbe d’accordo. Visto che era convinto di aver vissuto una “vita inimitabile”. E dobbiamo anche rendergli giustizia, magari lasciando stare il termine inimitabile e puntando decisi su un più sobrio notevole. D’Annunzio ha influenzato non poco la lingua italiana. Per dire: se la parola automobile è femminile si deve a lui, il termine tramezzino (a italianizzare l’Inglese sandwich) è un neologismo suo. I grandi magazzini La Rinascente li battezzò così lui.

I Mod degli anni ’60 erano certamente Decadenti con la D maiuscola. L’Inghilterra dei governi Labour aveva infatti creato una working class al cui (mediocre) stile di vita questi ragazzi in Lambretta si ribellavano. Non si accontentavano dello stesso destino dei loro padri (“Voglio morire prima di diventare vecchio” recita My Generation degli Who). E certamente decadenti (ma con la d minuscola) sono l’abuso di birra e amfetamine e le risse con i rivali rocker in moto e vestiti in pelle che scoppiavano a Brighton.
L’ho pensato quando la guida ha detto che: “Per D’Annunzio il lusso sostenta e s’ostenta“.
Non poteva pensarla diversamente, visto che ha fatto di una villa comprata per 130.000 lire un vero mausoleo, pieno di oggetti d’ogni tipo, disposti in ordine apparentemente caotico ma al preciso scopo di mostrarli.
Ho pensato anche a Benito Mussolini, che il 5 aprile 1921 aspetta 2 ore nella sala d’aspetto per gli ospiti sgraditi (c’era ovviamente quella per gli ospiti graditi). Doveva spiegare a D’Annunzio perchè il Governo Giolitti aveva fatto sgomberare i suoi Legionari da Fiume e convincerlo che aveva fatto bene a non prendere le sue difese. Ma certo, non poteva anticipargli che un po’ più di un anno dopo avrebbe marciato su Roma.

Paul Weller mentre suona dal vivo
Paul Weller mentre suona dal vivo

Il concerto di Paul Weller era in programma al Teatro del Vittoriale. Uscendo dalla visita, ho avuto modo di sbirciare l’ultima fase delle prove. Paul (a torso nudo e con gli occhiali da sole) suonava la chitarra seduto sul palco.
E’ stato un concerto raffinato, tecnicamente impeccabile. Paul Weller era ispirato alla chitarra e si è scambiato spesso il ruolo con l’altro chitarrista Steve Craddock, ora ritmico e ora solista. Ha addirittura strappato più di qualche applauso a scena aperta mostrando maestria nella tecnica del finger picking. Ha aperto con I am where I should be, dal nuovo disco Saturns Pattern e ha infilato una serie di canzoni senza commenti. Con un semplice: “Ho una canzone vecchia per voi” ha attaccato Above the clouds che, come sempre accade, ha scatenato l’entusiasmo.
E’ una canzone che per me vuol dire molto. Per ogni fase della mia vita c’è sicuramente un pezzo di Paul Weller che viene in soccorso della mia memoria per riviverla. Ma questo pezzo mi riporta alle scelte difficili e dolorose della primavera del 2001 e l’idea che presto potrebbero esserci scelte altrettanto difficili e non meno dolorose da fare non mi lascia indifferente. Non so come, il fatto che questa canzone sia importante per così tanta gente mi tranquillizza.

Paul Weller a fine concerto è stanco. C’è un mini cordone di persone che lo protegge mentre sale sul pullman con cui prosegue il tour. Risponde a un richiamo dei fan ma non si ferma.
Con i miei amici discutiamo se il concerto è stato freddo. Ma direi di no. Anche se è vero che dopo My ever changing moods (in una versione minimale ma anche rivista, rispetto ai già tanti arrangiamenti in cui l’ha proposta) e con il pubblico in visibilio ha negato il terzo bis.
Io comunque mi consolo pensando che il 9 luglio lo rivedrò a Roma.

QUALCHE VIDEO DAL CONCERTO